Ogni tanto ci vuole, ogni tanto se ne ha bisogno, ogni tanto ci si vuole solo divertire con gusto, cercando l’azione e poter dire solo: “Che figata”. Questo è il primo film di Predator, una storia di soldati, armi, azione, tensione e un alieno minaccioso, incombente come nessuno. Tutto in puro stile cinema muscolare d’azione anni 80, in cui i bicipiti sono sempre più grossi, le armi sempre più imponenti e le frasi d’effetto sempre garantite ma, e in questa pellicola si nota da subito, una qualità non scontata.
La pellicola racconta di un gruppo di berretti verdi scelti che devono compiere una missione straordinaria nella giungla dell’America centrale.
Qui, però, si imbatteranno in una creatura più forte di loro: il Predator, un alieno dalla tecnologia avanzata, capace di mimetizzarsi e combattere in vari modi, che vuole cacciare come trofei il gruppo di soldati uccidendone uno a uno. Si innesca così una battaglia all’ultimo sangue tra il gruppo e l’alieno, uno scambio continuo di proiettili, furbizia, furtività e tensione fino ad un finale che tiene incollati.
Nel cast a comporre il gruppo di americani vi sono grandi attori: il capo è Dutch interpretato da Arnold Schwarzenegger, George Dilton è interpretato da Carl Weathers, Mac Eliot è impersonato da Bill Duke, Billy è Sonny Landham. Questi personaggi sono l’esagerazione del soldato americano, non si vuole puntare ad un realismo dell’immagine del soldato, ma qualcosa di diverso, uomini muscolosissimi che sanno sempre qual è la cosa giusta da fare, quando è il momento di sacrificarsi, ognuno armato fino ai denti e senza una pretesa di realtà, ma quasi più del gioco (insomma un soldato è armato con una minigun portata a mano) ma comunque interpretati perfettamente, statuari nei loro personaggi e che comunicano con gli sguardi, incrociandoli e comprendendosi con essi.
Ma tutto è permesso qui, fin da subito la macchina del racconto ci ambienta in questo mondo, con questi tipi tipizzati, sfruttando abilmente anche con la loro stessa rappresentazione di ultra-macho, scherzando con la loro immagine (una di queste scene, il primo incontro tra Dutch e Dilton, è un meme ancora oggi).
Così si amplifica il ruolo del Predator, l’alieno cacciatore combatte contro dei quasi super soldati e questi sono inermi a lui. Non che sia un espediente nuovo per i tempi mettere dei super esperti contro una minaccia più forte di loro che li batte sul loro stesso campo, ma qui il tutto è portato al massimo. L’arrivo del predator è pericolo, è tensione, è qualcuno dei nostri protagonisti che rischia di morire. Raramente il senso di pericolo in una pellicola d’azione è così ampio, ognuno è a rischio nonostante il film ci faccia affezionare al personaggio. Ogni secondo è quello in cui il predator potrebbe uscire da qualche albero e far fuoco.
Una tensione così è costruita dalla abile mano del regista, John McTiernan, ai tempi al suo secondo lungometraggio e che, dopo il grande successo che quest’opera fu, incassò altri due capolavori in carriera come Die Hard e Caccia a Ottobre Rosso. Qui con grande abilità gioca con i campi e fuori campi, mostrando sempre l’alieno per pochi secondi o in movimento, come un’ombra invisibile che ovunque si inserisce e si muove, un essere veloce e fluido che contrasta con la messa in scena delle armi dei soldati: grosse, rumorose, inquadrate in primo piano e che impongono ai berretti verdi di sparar quasi sempre da fermi, scaricando i caricatori inutilmente, più come uno sfogo che una strategia.
Notevole poi l’uso dei suoni e delle armi dell’alieno, entrati nella storia più riconoscibili del cinema fantascientifico, spesso suoni fuori campo e da cui il non saper la fonte aumenta la tensione.
Il design dell’alieno è uno dei più famosi della storia del cinema, creato da Stan Winston (un maestro nel mestiere, che vinse il premio Oscar per gli effetti speciali per Aliens-Scontro finale, Terminator 2 e Jurassic Park): inventa qui una creatura dai connotati di varie influenze tribali, mostruoso ma antropomorfo, dalla tecnologia avanzata ma che non si allontana dal tribalismo come dimostra l’uso di lance, artigli artificiali ed altre armi bianche.
Creatura così suggestiva che verrà ampliata moltissimo in futuro con un intero franchise, con altri film come il sequel Predator 2 del 1990 fino ad oggi con Prey del 2022, ma anche libri, fumetti, serie, cross over. Ma pochi se non nessuno di questi prodotti raggiunge il livello di questo primo film che spicca sia per la già citata tensione, sia per la sua natura di intrattenimento puro, divertendo come pochi action riescono a fare. Basti pensare alle frasi d’effetto che i soldati dicono: «Maggiore, so soltanto una cosa: che gli ho tirato dritto addosso 20 caricatori dell’M60. Li ho vuotati. Niente di questa Terra sarebbe sopravvissuto…a quella distanza» ; «Lei sta sanguinando» risposta: «Non ho tempo per sanguinare» . Talmente esagerate, come anche le sparatorie spesso lo sono, da introdurre una certa ironia che fa legare gli spettatori a questi personaggi, tifare per loro ridendo e sentendo il pericolo come lo sentono loro.
Predator è tutto questo e molto altro. Un film senza pretese che vuole fare qualcosa di rispettoso: intrattenere e divertire il proprio pubblico dall’inizio alla fine, giocando sulla tamarraggine ma non sulla bassa qualità, su un’azione ben calibrata e una costruzione della tensione che si prende i suoi tempi e i suoi spazi, come dimostra l’impressionante finale, una lezione di regia che stupisce anche oggi. Un film quindi che tutti hanno sentito nominare ma che ben pochi oggi hanno visto o a cui darebbero tempo, e invece stupisce ancora e rimane in mente da capolavoro quale è.