28 Maggio 2023, Senago. Il trentenne Alessandro Impagnatiello denuncia la scomparsa della sua fidanzata, Giulia Tramontano, ventinovenne incinta di sette mesi. Il volto di Giulia inizia a circolare via internet e a suscitare nell’opinione pubblica un apprensivo interesse rispetto alla sua sorte. Passano due giorni e di Giulia ancora nulla. Le indagini però si fanno più serrate; Alessandro viene iscritto nel registro degli indagati e la tensione generale cresce.
Il 31 Maggio Alessandro confessa: è stato lui a uccidere Giulia. L’agitazione fermentata esplode in un boato di rabbia e indignazione.
Tutta Italia ne parla e, intanto, la cronaca nera si nutre di ogni minimo dettaglio per darlo in pasto al pubblico lettore, famelico di nuove informazioni.
Meno di un mese dopo e l’onda emotiva del caso Tramontano si è già sgonfiata, ma, di contraccolpo, emerge un quesito su cui è necessario interrogarsi: perché la vicenda di Giulia, rispetto a tanti altri femminicidi, ha destato un interesse generale così sentito?
Ma, soprattutto, dove andava a parare la narrazione che ne è stata fatta? A informare il pubblico oppure a intrattenerlo?
Dall’inizio dell’anno sono state uccise 47 donne e, di queste, 39 sono state vittime di femminicidi. Nessuno di questi casi, però, ha ricevuto un’attenzione mediatica come quello di Giulia Tramontano; nessuna morte ha fatto così tanto rumore come la sua. Per comprenderne la ragione, è possibile analizzare il caso Tramontano alla luce di un’indagine effettuata dall’Osservatorio di ricerca sul femminicidio, da cui è emersa, in particolare, una classificazione dei femminicidi basata sul loro diverso grado di notiziabilità.
Senza ombra di dubbio, l’uccisione di Giulia rientra tra i femminicidi “ad alto grado di notiziabilità”, quelli capaci di mobilitare l’interesse giornalistico e di generare, di conseguenza, un maggior numero di notizie, essenzialmente per tre caratteristiche. Prima di tutto la presenza di un mistero, di un giallo da risolvere, che dà vita ad un fenomeno di spettacolarizzazione che mescola aspetti di resoconto giornalistico ad intrecci e ipotesi narrative dal sapore letterario. Il mistero si combina poi con elementi scabrosi, dettagli morbosi che si risolvono in un’estetizzazione della violenza; infine, a tutto questo si aggiungono dettagli che riportano a una dimensione di pathos tragico, con narrazioni che ruotano intorno a sviluppi particolarmente drammatici.
La storia di Giulia Tramontano è finita esattamente nel vortice di questa modalità narrativa, una narrazione romanzata che fa della cronaca nera una macchina d’intrattenimento per lettori affamati di brivido. Proprio per questo se ne è parlato tanto: tutti gli italiani, dai giornalisti ai politici, hanno prestato un’attenzione straordinaria al caso Tramontano. Allora, inevitabilmente, sorge un nuovo quesito: la mercificazione delle notizie di cronaca nera può essere il giusto mezzo per avvicinare i lettori alla questione dei femminicidi e per spingere la politica ad adottare nuove misure di prevenzione per contrastare la violenza contro le donne?
Per rispondere, occorre analizzare quali sono stati gli effetti prodotti dalla narrazione del caso Tramontano. L’insistenza dei cronisti sul racconto del contesto, prima ancora del fatto stesso, ha finito per mostrarci la vicenda di Giulia come un caso eccezionale, un fenomeno emergenziale e non strutturale, la storia anomala di un ragazzo che da un momento all’altro ha perso la testa.
E così si è arrivati alla fase successiva, quella della “mostrificazione” di Impagnatiello, una deumanizzazione del carnefice che ha inevitabilmente portato a ricercare la causa dell’omicidio di Giulia in una dimensione di colpa individuale piuttosto che in quella di un radicato fenomeno sociale.
Un “bugiardo”, un “manipolatore”, un “narcisista”, un “mostro”: questo è quello che si è detto su Impagnatiello, fino ad arrivare a uno stravolgimento della realtà, al capovolgimento di una banale verità, cioè che Impagnatiello era un ragazzo come tanti, un insospettabile. Però questa verità fa male, è difficile da digerire l’idea che un ragazzo abbia ucciso la sua fidanzata soltanto perché “stressato dalla situazione che si era venuta a creare”, come da lui dichiarato. Meglio allora prendere le giuste distanze e ricercare in Impagnatiello il mostro che è in lui, così da esorcizzare quello che è presente in ognuno di noi, il mostro della violenza che attanaglia l’intera società.
Passaggio ulteriore: la politica interviene. A poche ore dalla confessione di Impagnatiello, il Consiglio dei ministri approva un disegno di legge che introduce una serie di misure volte a rafforzare la repressione dei fenomeni di violenza contro le donne.
Tra le misure più rilevanti c’è sicuramente l“arresto in flagranza differita” per chi sia individuato, in modo inequivocabile, quale autore di condotte perseguibili, sulla base di documentazione video-fotografica o che derivi da applicazioni informatiche o telematiche, a condizione che non si superino le 48 ore dal fatto che si vuole documentare.
Emerge, inoltre, il rafforzamento del cosiddetto “ammonimento”, uno strumento che il questore può già usare contro una persona su cui c’è stata una segnalazione per atti di violenza domestica, cyberbullismo o stalking: permette il ritiro di eventuali armi legalmente possedute dalla persona “ammonita” e la procedibilità d’ufficio dei reati menzionati in caso di reiterazione della condotta, senza il bisogno di una querela.
È poi previsto un inasprimento delle pene per i reati commessi da una persona che aveva già ricevuto un ammonimento. Un altro obiettivo importante del disegno di legge è velocizzare i processi sulla violenza contro le donne: nel comunicato del governo per ora si dice solo che a questi processi sarà assicurata una certa priorità, ma non è ancora del tutto chiaro come.
Tutti buoni propositi, intenti veramente nobili, verrebbe da dire. Ma, inevitabile chiedersi, queste misure avrebbero potuto aiutare Giulia? Avrebbero potuto offrirle un’ancora di salvezza? La risposta purtroppo è no. Giulia non aveva denunciato, quindi queste misure non le sarebbero servite a nulla. Il punto è che sono necessari interventi in termini di prevenzione, e non l’adozione di misure dettate dall’enfasi del momento, altrimenti tutto finisce per ridursi in un «pacchetto presentato in risposta ad un’emergenza che cavalca l’onda emotiva dell’ultimo femminicidio», come dichiarato da Antonella Veltri, che presiede la rete D.I.Re – Donne in Rete contro la violenza. «La proposta annunciata come rivolta a prevenire la violenza alle donne diventa un insieme di misure volte a intervenire senza affrontare nelle sue radici il fenomeno» .
Ritornando allora al quesito iniziale, la narrazione romanzata del caso Tramontano ha giovato alla causa della lotta contro i femminicidi? Questo tipo di narrazione è realmente riuscito ad avvicinare i cittadini al tema della prevenzione della violenza e a smuovere la politica in questa direzione? Sulla base dell’analisi degli effetti prodotti dalla narrazione della storia di Giulia, la risposta è no, questa modalità di informazione ha soltanto portato a distogliere ulteriormente l’attenzione dalla vera causa della violenza e a sottovalutare un fenomeno che non è emergenziale, ma strutturale.
Ma comunque il problema resta: la narrazione del caso Tramontano, sia pur sbagliata nelle modalità, ha attirato l’attenzione di tutta Italia, ha coinvolto la politica, ha intasato tutti i canali di comunicazione. E allora, come trovare una valida alternativa, in termini di narrazione, che possa suscitare un interesse così sentito da parte dei cittadini, senza ridursi a mercificare storie di violenza per offrire ai lettori racconti romanzati ai limiti del vouyerismo?
Forse la soluzione non risiede in una diversa modalità di informazione, ma in un maggiore sostegno e appoggio offerto dal Governo e dai cittadini ai Centri antiviolenza che quotidianamente agiscono in termini di prevenzione. La cronaca nera, per parte sua, dovrebbe rinnovarsi in nome della sobrietà e dell’informazione al di sopra dell’intrattenimento. Altrimenti, come affermato da Joseph Pulitzer, «una stampa cinica e mercenaria, prima o poi, creerà un pubblico ignobile» .