Una persona con indosso una t-shirt bianca, nera o grigia sorride al centro di una stanza semi-vuota, invasa di luce naturale. Un singolo quadro è appeso a una delle pareti.
Gli utenti più attivi su YouTube, ma anche su Instagram e simili, potranno riconoscere in questa descrizione quella di un trend che negli ultimi anni è comparso sempre più di frequente nei feed: il minimalismo.
Si tratta di un termine che abbraccia diversi ambiti, dal design alla letteratura, ma l’accezione che oggi spopola su Internet è quella riguardante lo stile di vita. Chi aderisce a quest’ultimo, in breve, cerca di liberarsi di tutto il superfluo che lo circonda: dagli indumenti nell’armadio alle cianfrusaglie accumulate negli anni, dalle abitudini poco sane fino, addirittura, alle persone. L’obiettivo? Vivere consapevolmente. O, nelle parole di Joshua Field Millburn e Ryan Nicodemus – protagonisti del documentario Less is now (2021), divenuto un classico nella comunità dei minimalisti – «liberarti degli eccessi della vita, in modo da poterti concentrare su ciò che è importante, così da trovare felicità, soddisfazione e libertà».
Letta così, questa definizione non sembra nulla di nuovo. Svariate dottrine hanno predicato, nel corso dei millenni, l’allontanamento dalla materia e dal superfluo per avvicinarsi ad uno stile di vita più frugale e ad un senso di appagamento più autentico. Per citarne uno, il filosofo ellenistico Epicuro, già tra il IV e il III secolo avanti Cristo, invitava i suoi discepoli a distinguere fra piaceri necessari e non necessari. Tuttavia, come ogni scuola di pensiero, anche il minimalismo è figlio dei suoi tempi.
Il trend, in particolare, sembra intercettare due degli aspetti che caratterizzano maggiormente la nostra epoca: la società iper-consumista e la rivoluzione digitale (che, a ben vedere, sono strettamente collegate).
Quotidianamente, migliaia di annunci online propongono il prossimo prodotto o servizio di cui il consumatore, l’utente, il target non può assolutamente fare a meno. Chiunque abbia uno smartphone lo sperimenta. L’algoritmo è un avversario difficile da contrastare, perché, nutrendosi delle informazioni che spargiamo per il web, propone un’infinita serie di cose interessanti per ciascuno. La tentazione è accresciuta dal senso di appagamento che segue immediatamente l’acquisto. Infatti, come spiega la neurochirurga Ann-Christine Duhaime, il nostro cervello rilascia più dopamina quando riceve gratificazioni inaspettate, piccole e variegate: proprio come quelle che si acquistano in pochi secondi su Amazon, senza rifletterci troppo.
È su questo meccanismo che interviene il minimalismo, presentandosi come un filtro alle scelte impulsive (d’acquisto e non solo). Un minimalista si chiede sempre quale apporto l’elemento x darà alla sua vita, nella quale x potrà essere un bene materiale, un servizio, un’abitudine o una relazione. La logica è sempre di tipo funzionale: a che cosa mi serve x?
Una delle forme più interessanti in cui questa mentalità si presenta è il cosiddetto “minimalismo digitale”, ossia l’utilizzo consapevole di Internet e soprattutto dei social. Sì perché, anche se non compriamo niente, stare online comunque ci “deruba” spesso di un bene importante quanto il denaro, ossia il tempo. Internet produce intrattenimento infinito che intercetta con facilità la noia quotidiana. Ormai i tempi vuoti (aspettare un autobus, stare in coda, rilassarsi a fine giornata…) sono spesso e volentieri riempiti da contenuti su un piccolo schermo portatile. Come per gli acquisti impulsivi, anche in questo caso è difficile resistere all’esca a causa di un motivo neurologico.
Nel saggio “Minimalismo digitale”, Cal Newport spiega che «l’attività cerebrale sempre presente, come un brusio di sottofondo, di solito riguarda […] pensieri sulle altre persone, su noi stessi o su entrambi. […] In altre parole, non appena ha un po’ di tempo libero, il cervello pensa di default alla nostra vita sociale». Ecco l’esca sfruttata dai social. Ed ecco che, anche nell’ambito delle nuove tecnologie, il minimalismo propone un approccio ponderato, volto ad evitare di esserne sopraffatti anziché aiutati. Newport sottolinea l’importanza della noia e della solitudine, ritenendole fondamentali per lo sviluppo individuale e per vederci chiaro nelle proprie priorità e nei propri obiettivi.
Insomma, in un mondo pieno di distrazioni, aderire a questa filosofia significa concentrarsi su “ciò che conta davvero”. È difficile, però, convincersi che solo i grandi progetti di vita possano rientrare in questa categoria. Se è vero che comprare una casa, conquistare il lavoro dei sogni o rappresentare la foto del “dopo” in una televendita di discutibili prodotti fitness sono traguardi importanti, è anche vero che per raggiungerli sono necessari anni di impegno e sacrifici, mesi e mesi di concentrazione. Inoltre, come detto sopra, sono le gratificazioni più piccole che danno chimicamente più soddisfazione al nostro cervello, dunque essere costantemente concentrati su obiettivi a lungo termine, privandosi di gioie più piccole, non rischia di causare quel medesimo stress che il minimalismo dichiara di combattere? È vero, evitando di bere caffè fuori casa si risparmiano più di 30 euro al mese che si potrebbero usare per scopi più utili.
Ma fino a che punto è utile, oltre che sano, rendere la propria vita funzionale al raggiungimento di qualcosa di lontano, sacrificandosi tutti i giorni?
In effetti non è raro che la “predicazione” del minimalismo provenga da guru della produttività che offrono consigli (a pagamento) su come lavorare di più ogni giorno e su come essere più disciplinati. L’idea in questi casi, più che quella di fare spazio alle cose essenziali, sembra essere quella di rendersi delle macchine più efficienti. Oltre che quella di vendere corsi online.
Per farla breve, sicuramente siamo di fronte a un fenomeno che risponde all’esigenza, proveniente dalla parte della popolazione mondiale che ha il privilegio di avere più di quanto necessita, di svincolarsi da un senso di “troppo” presente nella propria vita. Chi si rivolge a questo movimento sente il bisogno di riprendere il controllo, e le regole suggerite dal minimalismo possono essere valide alleate in questo senso. D’altro canto, però, è bene chiedersi a quante cose non necessarie o vagamente dannose si è disposti a rinunciare nel quotidiano. In fin dei conti, la vita non può essere immacolata e perfettamente organizzata come una cucina di design minimalista.