Dal grido di battaglia dei popoli antichi ai “bombardamenti” di volantini durante le due guerre mondiali, spaventare i civili di una nazione nemica è sempre stata una strategia bellica subdola ma efficace.
Intrecciate alla più ampia guerra ibrida e al concetto di zona grigia, le operazioni psicologiche (psy-op) sono state usate in campagne di disinformazione americane sulla Guerra in Ucraina, o per converso dalla Cina, ma notoriamente anche dalla Russia.
Le descrizioni della guerra ibrida russa, nota come new generation warfare, esistono almeno dal 2009 ma sono limitate dall’essere spesso prodotte dagli ambienti militari occidentali, specie dopo l’invasione del Donbass nel 2014. Questa strategia è caratterizzata da mezzi asimmetrici come la guerra d’informazione, allo scopo di deprimere il morale del fronte interno al nemico e creare scontento fra i civili.
Il canadese Mackenzie Institute propone un modello a otto fasi, mentre l’ICDS estone include esercitazioni ostentate e supporto ai nazionalismi etnico-religiosi.
Le origini della sua applicazione (cronologicamente parallela all’ascesa di Putin) risalgono alla Seconda Guerra Cecena (1999-2009) e alla Seconda Guerra Russo-Georgiana (2008), ma anche alle varie esercitazioni anti-atlantiste Zapad e alla Guerra Civile Siriana iniziata nel 2011, o alle influenze cibernetiche in Estonia (2007), USA (2016) e Francia (2017).
È comunemente ritenuta un punto di svolta l’annessione della Crimea nel 2014 e la conseguente invasione del Donbass, in cui Putin impiegò la tattica novecentesca della maskirovka (finte azioni ingannevoli) e troll sui social, ma anche la sedizione tramite agi-prop e i referendum fittizi.
In ogni descrizione rientra comunque il terrore: secondo l’Università del Washington e la NPR, la Russia in Donbass ha seminato paura e confusione, sfruttando peraltro i timori di un pericolo fascista.
Tutto questo è stato formalmente descritto nella vera e propria teoria militare russa, a partire dalle riforme del 2007 ad opera del ministro della difesa Serdyukov e del generale Makarov, sostituiti nel 2012 rispettivamente da Šojgu e Gerasimov (i due obiettivi del recente tentato golpe di Prigožin): come scrive M. Snegovaya, il controllo riflessivo russo consiste nella manipolazione della percezione altrui al fine di accrescere la paura o al contrario sminuire la propria pericolosità.
Nel 2013 Gerasimov formalizzò in un articolo un approccio olistico, incentrato su strumenti come le minacce e l’escalation, in risposta alle Primavere Arabe, alle Rivoluzioni Colorate (come quella ucraina) e all’uso occidentale di mercenari in Libia e Medio Oriente.
Anche se il professore Galeotti nega l’esistenza di una cosiddetta Dottrina Gerasimov e lo studioso McDermott sostiene che la guerra ibrida sia aliena alla teoria militare russa, con lo scoppio della Guerra in Ucraina del 2022 è stato possibile vedere un’ulteriore applicazione di mezzi asimmetrici: secondo il professore Song, nelle prime fasi i media statali e i servizi segreti russi hanno impiegato fake news e finti dispiegamenti di armi per dare l’impressione di star vincendo, demoralizzando l’avversario.
Certo, è stato argomentato che questi strumenti siano minoritari in una guerra dai tratti quasi novecenteschi, ma essi esistono e non è privo d’interesse il loro uso, peraltro non ad opera della sola Russia: Song sottolinea che anche l’Ucraina ha plasmato la narrazione di una guerra di difesa della democrazia e dell’Europa.
Come riportava tra gli altri Cecilia Sala già prima dell’invasione, insomma, quella che si è profilata è anche una infowar.
La strumentalizzazione della paura, in un approccio olistico, non è sempre distinta dalle azioni militari: già l’intervento russo nelle due Guerre Cecene è stato definito terroristico, negli stessi termini in cui l’Ucraina ha recentemente denunciato al Tribunale dell’Aia alcuni fatti in Donbass del 2014.
In riferimento alla Guerra in Ucraina, nel 2022 hanno definito la Russia uno «Stato che supporta il terrorismo» i parlamenti lettone, estone, ceco e polacco, il Consiglio d’Europa, l’Europarlamento e l’assemblea lituana (che ha parlato anche di genocidio), mentre la risoluzione del Senato USA non è ancora stata recepita dalla Casa Bianca.
Anche se quest’uso disinvolto della parola terrorismo è stato problematizzato, esso può essere argomentato da azioni come l’uso di droni kamikaze o l’attacco a zone residenziali di Dnipro e alla rete elettrica ucraina.
D’altro canto nemmeno l’Ucraina ha risparmiato attacchi non del tutto strategici, come i due attentati al Ponte di Crimea (il primo del 2022 applaudito, il secondo del 2023 pienamente rivendicato da Kyiv), che Putin ha avuto buon gioco a definire terroristici (così come i droni arrivati sul Cremlino), ma anche quello a Dar’ja Dugina (di cui gli stessi USA incolpano il governo ucraino) e forse quello ai gasdotti Nord Stream, stando ai cosiddetti Discord leaks del Pentagono.
Del resto lo stesso silenzio operativo imposto sulla controffensiva ucraina del 2023, per quanto motivato da esigenze tattiche, secondo Reuters aveva anche lo scopo di intimidire gli avversari accrescendo l’apprensione per un nemico invisibile, prossimo ad attaccare chissà dove e chissà quando: il video del soldato che fa segno di tacere (trasmesso tramite hacking anche in Russia) è stato descritto come parte di una «strategia della tensione».
Entrando nel regno delle fake news, non è sempre facile distinguere fra quelle volte a demoralizzare l’avversario e quelle galvanizzanti per il proprio esercito.
Come dice Kilgore in Apocalypse Now, la musica di Wagner «spaventa a morte i vietnamiti e i miei ragazzi l’adorano».
Esemplificativa in questo senso è la leggenda del Fantasma di Kyiv, originata nei primissimi giorni di guerra dall’emittente 5 Kanal, dal governo e dall’esercito ucraini, che sparsero la voce di un solo aviatore responsabile dell’abbattimento di quaranta velivoli russi. In realtà si è sempre trattato di un fantasma: le sue foto venivano da videogiochi o erano vecchie, come quelle diffuse dall’ex-presidente Porošenko.
Due mesi dopo, lo stesso esercito ucraino ha ammesso la falsità del Fantasma: le ragioni del mito, come scrive il professor Woolley, erano insieme di galvanizzare l’Ucraina e spaventare la Russia, oltre che di spingere la narrazione di una lotta eroica fra Davide e Golia.
Anche i metodi della compagnia militare privata Wagner (che in quanto mercenaria è connaturata alla guerra ibrida) sono stati definiti terroristici: dall’uso del martello in Siria nel 2017 all’Africa Occidentale e al Donbass, passando per la Libia dal 2019, i mercenari di Prigožin esaltavano la brutalità delle proprie tecniche anche tra Mariupol’ e Bakhmut.
A chiamarli terroristi sono stati la Francia, l’UK e l’Europarlamento, che si è visto dedicare da Prigožin un martello insanguinato; a inizio 2023 l’Ucraina ha persino accusato la Wagner di mentire sui propri avanzamenti ai fini di un’operazione psicologica, ma ha poi ammesso che l’80% di ciò che Prigožin diceva (specie se contro Mosca) era vero.
Il tentato golpe di giugno ha portato non solo la Russia a rispondere con misure anti-terrorismo, ma ha reso probabile un accentramento delle psy-op mercenarie nelle mani del Cremlino o una loro ripartizione (ma ancora ad agosto la Wagner seminava paura sul confine polacco).
In ogni caso, già nel 2019 la Queen’s University annoverava nei megafoni delle operazioni psicologiche russe tanto la Wagner quanto la Chiesa Ortodossa Russa.
Anche il presidente ceceno Kadyrov può essere incluso in questo lungo elenco: nei primissimi giorni della Guerra in Ucraina la propaganda russa ha sfruttato lo stereotipo dei «cacciatori» ceceni per infondere paura nei civili. Come e più della Wagner, Kadyrov è stato accusato di mentire a fini propagandistici: a marzo 2022 avrebbe falsamento detto di trovarsi vicino Buča, a Kyiv e infine a Mariupol’.
Come aggiunge Al Jazeera, il vero target di queste operazioni psicologiche è domestico, allo scopo di dipingere in patria Kadyrov come un temuto signore della guerra. Ciò comunque non nega che le truppe cecene si trovino davvero in Ucraina (e altre accuse di menzogna si sono rivelate false esse stesse).
Nella strategia della paura non è stata risparmiata l’intelligenza artificiale.
A meno di un mese di guerra, hacker russi hanno diffuso un deepfake che mimava Zelens’kyj mentre quest’ultimo annunciava la resa (già erano circolate fake news su una sua fuga). La tecnica (poi usata anche per mimare il sindaco di Kyiv) è stata denunciata dall’Ucraina come volta a «seminare il panico», ma nel 2023 è stato trasmesso in Russia un deepfake di Putin che annunciava la legge marziale (azione ricondotta alla «strategia della paura»).
Altre azioni rivelano un terzo e ultimo target di questa strategia adottata dai due Stati, oltre al nemico e al fronte interno: a fine 2022 l’azienda russa Gazprom ha diffuso un video intimidatorio in cui minacciava di lasciare l’Europa al freddo, mentre già a inizio guerra Kyiv aveva realizzato un finto video di Parigi bombardata. Senza arrivare alle continue minacce di uso dell’atomica dell’ex-premier Medvedev, è chiaro che il terzo destinatario da spaventare sia l’Occidente.