Del: 15 Settembre 2023 Di: Michela De Marchi Commenti: 0
Gli scatti di Robert Doisneau al Museo Diocesano

Dal 9 maggio al 15 ottobre 2023 il Museo Diocesano di Milano ripercorre, attraverso 130 scatti in bianco e nero, cinquant’anni di carriera di Robert Doisneau.

L’esposizione raccoglie le immagini provenienti dalla collezione dell’Atelier Robert Doisneau a Montrouge, nella periferia sud di Parigi; è curata da Gabriel Bauret, promossa da Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e prodotta da Silvana Editoriale, con il patrocinio del Comune di Milano, con il contributo di Fondazione Banca Popolare di Milano e di Fondazione Fiera Milano.

Robert Doisneau è considerato uno dei padri della fotografia umanista francese, corrente fotografica europea che poneva al centro delle proprie ricerche l’essere umano nei vari contesti sociali.

Nasce il 14 aprile del 1912 a Gentilly, sobborgo parigino che segnerà profondamente il suo modo di guardare le cose, e a 16 anni comincia ad interessarsi alla fotografia, scattando foto ai ciottoli prima di passare a soggetti umani.

Nel 1931 inizia a lavorare come assistente di André Vigneau, fotografo modernista; nel 1932 vende il suo primo racconto fotografico alla rivista Excelsior; nel 1934 diventa fotografo pubblicitario industriale per la fabbrica automobilistica Renault a Boulogne-Billancourt; infine, nel 1939 viene assunto dall’agenzia fotografica Rapho.

Quest’ultimo incarico gli permette di viaggiare in tutta la Francia dandogli anche l’opportunità di scattare le prime fotografie di strada da professionista, ma termina il periodo di lavoro presso l’agenzia quando viene arruolato come soldato e fotografo dall’esercito francese durante la Seconda Guerra Mondiale.

Durante l’occupazione nazista, mantenendo la famiglia e sfuggendo all’STO (Service du Travail Obligatoire) e alle deportazioni, Doisneau ha modo di partecipare alla Resistenza, con il compito di contraffare  documenti e carte ufficiali grazie alle proprie competenze tecniche: emblematica di questo periodo è la fotografia che ritrae un giovane partigiano appoggiato a un muro mentre riposa con lo sguardo perso nel vuoto.

Le Repos du FFI, 1944

Subito dopo la guerra lavora principalmente come fotografo freelance, collaborando con le riviste più importanti dell’epoca, tra cui Life, e anche come fotografo a contratto per Vogue, nonostante la sua predilezione fosse per lo scatto di vita reale piuttosto che di moda.

Nel 1949 pubblica il suo primo libro caratterizzato da immagini iconiche sulla vita della capitale francese, una quotidianità non commerciale o basata sull’apparenza, ma semplice.

Muore nel 1994 a Parigi lasciando nel suo atelier di Montrouge oltre 40.000 negativi: ancora oggi sono molte le mostre dedicate al fotografo francese, riferimento del mondo della fotografia internazionale.

Bauret, parlando di Doisneau, afferma:

È un umanista, nel senso in cui uomini, donne e bambini sono al centro della sua opera. Ma è anche la sua attitudine che è autenticamente umana: la sua fotografia è l’espressione di uno sguardo interessato, di un’empatia verso l’uomo. Egli sa raccontare le difficoltà del quotidiano, mostrare la miseria nella quale vivono e lavorano alcuni dei suoi personaggi. Tuttavia ciò non gli impedisce di cogliere nel frattempo dei momenti di felicità. Non è soltanto un testimone: il suo approccio all’umanità è ben più complesso della semplice leggerezza che si tende normalmente ad associare alle sue immagini.

La rassegna dal titolo Robert Doisneau è divisa in sezioni, ognuna delle quali ha lo scopo di analizzare i temi più riconoscibili nei suoi scatti: guerra, liberazione, lavoro, amore, giochi dei bambini, tempo libero, musica e moda, quindi i tratti essenziali dell’umanità dagli anni Trenta agli anni Sessanta.

Il pubblico è così immerso nella Francia di quei decenni, in un percorso nel quale le strade del centro e le vedute della Parigi del dopoguerra si alternano a foto inerenti al mondo del lavoro, con al centro il “teatro della strada”.

Con questo appellativo si fa riferimento a celebri scatti rappresentanti scene di interni e bistrot parigini: grazie a curiosità, amore, umiltà e semplicità, Doisneau reinterpreta il mondo che fotografa, mescolando immagini catturate dal vivo ad altre “messe in scena”. Egli ha saputo testimoniare uno straordinario spaccato della società del suo tempo, mantenendo uno sguardo attento ai contesti sociali modesti o svantaggiati grazie a cui è riuscito a consegnarci immagini vibranti di vita.

I soggetti delle fotografie di Doisneau sono proprio i parigini: donne, uomini, bambini, innamorati, animali e amici artisti, scrittori e poeti come Jacques Prévert, Malraux, Tinguely, Picasso, Léger e Giacometti.

Questi soggetti esemplificano lo sguardo positivo di Doisneau sulla realtà, visibile in particolare negli scatti dedicati ai bambini, un mondo al quale l’autore si dichiara molto legato.

Le loro attività non sono banalizzate o guardate con ironia, al contrario sono trattate con il massimo rispetto, raccontando tramite i gesti dei più piccoli un importante spaccato di vita urbana. L’artista segue i bambini nei loro giochi oppure li accompagna tra i banchi di scuola, con numerosi scatti che li vedono protagonisti fin dalla metà degli anni Trenta.

Quello che cercavo di mostrare era un mondo in cui mi sentivo a mio agio, in cui le persone erano gentili e dove potevo trovare la tenerezza che desideravo ricevere. Le mie foto erano come una prova del fatto che quel mondo può esistere.

Robert Doisneau

Tra i capolavori esposti vi è il celebre Le baiser de l’Hôtel de Ville del 1950, in cui si può ammirare una giovane coppia che si bacia davanti al municipio di Parigi mentre la gente cammina veloce e distratta. L’opera venne identificata come simbolo della capacità della fotografia di fermare l’attimo, ma in realtà Doisneau stava realizzando un servizio per la rivista americana Life, quindi chiese ai due giovani di posare per lui. Si seppe solo a distanza di anni che i soggetti erano di Françoise Bornet, una studentessa di teatro, e del suo ragazzo, Jacques Carteaud.

Le baiser de l’Hôtel de Ville, 1950

A conclusione dell’esposizione vi è un’intervista video al curatore Gabriel Bauret e la proiezione di un estratto dal film realizzato nel 2016 dalla nipote del fotografo, Clémentine Deroudille, Robert Doisneau, le révolté du merveilleux (Robert Doisneau. La lente delle meraviglie), il quale approfondisce la conoscenza dell’artista e della sua opera.

Il documentario permette di realizzare un viaggio tra le sue prime pubblicazioni sui giornali, l’esperienza all’interno della Renault, l’occupazione, la liberazione, i felici anni del dopoguerra e la nascita della sua fotografia più iconica. Le registrazioni d’archivio, mostrando anche il fotografo all’interno del proprio laboratorio, creano una sensazione di intimità e prossimità che si può ritrovano anche nelle stesse fotografie di Doisneau tra l’osservatore e i soggetti ritratti.

La sua opera ci trasmette qualcosa ancora oggi perché ha un carattere di atemporalità.

Il messaggio degli scatti è di soffermarsi su ogni momento dell’esistenza ascoltando ciò che la realtà insegna. Lo sguardo di Doisneau riesce a cogliere attimi di felicità, le tenerezze tra gli innamorati, la spensieratezza dei giorni di vacanza o il momento festoso dei matrimoni: tutto ciò esprime la sua “joie de vivre”, elemento che ancora oggi affascina chi guarda le sue fotografie.

Lo stesso Robert Doisneau nel 1976 affermò:

Le fotografie che mi interessano, quelle che trovo riuscite, sono quelle aperte, che non raccontano una storia fino alla fine, ma lasciano allo spettatore la possibilità di fare a sua volta un pezzetto di strada insieme all’immagine, di continuarla e concluderla a proprio piacimento: una specie di trampolino del sogno.

Michela De Marchi
Studentessa di Scienze umanistiche per la comunicazione che aspira a diventare una giornalista. Sono molto ambiziosa e tendo a dare il meglio di me in ogni situazione. Danza, libri e viaggi sono solo alcune delle cose che mi caratterizzano.

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