31 agosto 2023: al valico di Allenby, lo studente universitario Khaled El Qaisi, di ritorno da una visita alla famiglia, viene trattenuto dalle autorità israeliane e condotto nel centro di detenzione di Petah Tiqwa senza alcuna accusa ufficiale.
Ancora oggi, a quasi un mese di distanza, le motivazioni dell’arresto tardano ad arrivare: El Qaisi è solo l’ultimo di un elenco di cittadini, soprattutto studenti, che svaniscono in territorio straniero, ma è il primo a essere così dimenticato dalla nostra stampa e dal governo nazionale.
Nato a Gerusalemme e cresciuto a Betlemme, Khaled vive da oltre dieci anni in Italia e possiede la doppia cittadinanza; conosciuto per il suo attivismo, è co-fondatore del Centro di Documentazione Palestinese a Roma insieme alla moglie, Francesca Antinucci. Presente con lui all’arresto, a lungo Antinucci viene interrogata sull’orientamento politico e sull’attivismo del marito, per poi essere rilasciata senza cellulare o denaro contante.
«Nell’area di pertinenza israeliana [i territori occupati di Cisgiordania, ndr], senza preavviso vedo ammanettare e portare via mio marito […]. Non ho avuto risposte alle mie domande su dove lo stessero portando o su cosa avesse fatto. […] Quando invece ho chiesto alle addette israeliane come avrei potuto proseguire il viaggio, mi hanno risposto: ‘Questo è un tuo problema’», ha raccontato il 15 settembre durante un’assemblea presso l’Università La Sapienza di Roma, dove El Qaisi era immatricolato come studente di Lingue e civiltà orientali.
Solo il giorno prima, i giudici avevano rinnovato la custodia preventiva in carcere per altri 7 giorni, arrestando allo stesso tempo il fratello, ora rilasciato, e due suoi cugini (la famiglia estesa, originaria di Beit Jibrin, tutt’oggi vive nel campo profughi di Al Azza).
Dopo il 1° ottobre, la custodia preventiva non sarà più prorogabile e il rischio è che si passi alla detenzione amministrativa, che permette allo Stato israeliano l’arresto e la detenzione ad oltranza, senza processo, di chiunque costituisca una «minaccia alla sicurezza dello Stato». Rinnovabile a tempo illimitato ogni 6 mesi, la detenzione amministrativa è una misura ampiamente applicata alle persone palestinesi in Cisgiordania; dal 1989 ad oggi, è stata usata in media 500 volte l’anno, spesso anche contro detenuti minorenni.
In tal caso, vi è la concreta possibilità che al nostro concittadino venga imposta la rinuncia alla carta d’identità palestinese in cambio del rilascio, oppure che venga espulso e rimpatriato in Italia con divieto permanente di ritorno – come accaduto nel dicembre scorso al cittadino franco-palestinese Salah Hammouri, liberato dopo 10 anni di carcere.
È allora lo slogan «Colpevole di Palestina» ad essere stato adottato dai gruppi solidali per spiegare il misterioso silenzio che avvolge non solo le autorità israeliane, ma anche l’ambasciata italiana di Tel Aviv e le nostre forze governative, che pure dovrebbero ancora aver ben presenti diversi casi simili. Viene alla mente la prigionia di Patrick Zaki, il quale ha di recente espresso in un tweet il suo sostegno alla causa:
#KhaledElQaisi è stato trattenuto in terre occupate dal 31 agosto senza che fossero state mosse accuse contro di lui. Ieri, il tribunale ha esteso la sua detenzione di ulteriori 11 giorni. Richiediamo il suo immediato rilascio — Patrickzaki (@patrickzaki1) September 23, 2023
Il Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani ha sì di recente affermato che la Farnesina sta seguendo il caso, ma è rimasto fermo nel dichiarare che l’Italia non interferirà mentre Israele indaga lo studente.
Tali indagini, si ricorda, vengono svolte quotidianamente senza possibilità d’assistenza legale e sono condotte non da un giudice, bensì presumibilmente da membri della polizia giudiziaria o dai servizi di sicurezza dello Shin Bet – i cui metodi repressivi sono stati ripetutamente denunciati da Amnesty International e da B’Tselem, centro informativo per i diritti umani nei territori a oggi occupati.
Per contro, la ricerca di possibili informazioni è stata avviata all’interno dello stesso governo israeliano dal deputato comunista Ofer Cassis, membro del partito arabo-ebraico Hadash. In una conversazione con il manifesto, Cassis ha detto d’aver presentato una richiesta alla procura e alla polizia penitenziaria per poter incontrare Khaled, «in modo da accertarmi delle sue condizioni e offrirgli assistenza». Pur prevedendo un rifiuto da parte delle autorità, ha aggiunto d’esser «pronto a ripresentare la richiesta».
Il sostegno è anche arrivato dalle recenti mobilitazioni d’ateneo che hanno avuto luogo in tutta la penisola, inclusa una protesta svoltasi in Statale, nella sede di via Festa del Perdono, lo scorso 28 settembre.
Si tratta, nell’insieme, di marce e proteste organizzate dal gruppo Giovani Palestinesi.
«L’arresto di Khaled è un arresto prettamente politico: l’accusa implicita, visto che non ne è stata formalizzata alcuna, è solo quella di essere palestinese», scrive l’organizzazione in un comunicato tuttora disponibile sulla loro pagina Instagram (@giovanipalestinesi.it) e iterato in una lettera aperta alla Presidente del Consiglio Meloni, consultabile invece sulla piattaforma Change.org.
Il sistema carcerario e giudiziario israeliano ha come scopo fondamentale quello della repressione e dell’annientamento totale del popolo palestinese. L’ultimo rapporto di Amnesty International sulla Palestina afferma che i militari israeliani si avvalgono quotidianamente della tortura e dei maltrattamenti all’interno delle carceri […]. Perché l’Italia in un mese non ha fatto nulla? Perché è chiaro che i rapporti economici e politici con Israele sono più importanti della democrazia, del diritto internazionale e soprattutto della vita e della libertà del popolo palestinese.
Oggi, 30 settembre, si svolgerà a partire dalla città di Roma una nuova mobilitazione nazionale indetta dal comitato #FreeKhaled. L’occasione è un’altra (l’ultima) inchiesta preliminare in Israele sul caso di Khaled El Qaisi: sarà questa a determinare il corso del suo processo o un eventuale, ma alquanto improbabile, rientro in Italia.