Giovedì 7 settembre l’Università degli Studi di Milano ha ospitato La Giornata della Parità: l’anteprima de Il Tempo delle Donne, la Festa-Festival di Corriere della Sera che si è tenuta dall’8 al 10 settembre in Triennale. Nel corso del pomeriggio, dalle 14.30, in diverse aule del nostro Ateneo si sono svolti parecchi workshop che hanno permesso a studentesse e studenti di ascoltare e di dialogare con docenti e giornaliste su inclusività, libertà, scienza e giornalismo, violenza e educazione maschile, medicina di genere, hate speech e democracy.
In particolare, nell’Aula 201 di Festa del Perdono, il workshop La libertà dei corpi coordinato da Benedetta Liberali, professoressa di Diritto costituzionale presso la Statale, ha voluto soffermarsi su tematiche come la libertà sessuale e la tutela dell’identità di genere.
Uno dei primi interventi è stato quello dell’avvocata penalista e consigliera di fiducia Silvia Belloni che ha insistito sulla violazione della libertà del proprio corpo in caso di molestie e violenza sessuale. Belloni ci ha tenuto a sottolineare di come sia fondamentale che, in qualunque tipologia di relazione intima debba sussistere il consenso, che deve perdurare necessariamente dall’inizio alla fine.
Un ripensamento da parte della donna, così come una sua reazione non tempestiva di fronte ad una molestia, infatti, non alleggerirebbe la colpa di chi commette il reato: la manifestazione del dissenso può avvenire in intervalli temporali variabili e soprattutto, deve essere rispettata e non ignorata.
Purtroppo, però siamo sempre più abituati a leggere notizie di cronaca, vedi quella di Busto Arsizio, in cui si viene a conoscenza di sentenze che assolvono gli imputati di reati sessuali solo perché le vittime ci avrebbero messo del tempo per rifiutare avances o atteggiamenti intimi e avrebbero revocato il consenso in maniera non troppo esplicita. Non è raro che, in casi come questi, la cronaca, quasi per un accordo implicito stipulato con sentenze simili, si spinga a fare del victim blaming verso le vittime di violenza, additandole, paradossalmente, come corresponsabili del trattamento subito.
La seconda relatrice del workshop, Margherita Fontana, dottoranda in filosofia in UniMi, ha invece fornito degli interessanti spunti di riflessione riguardo la rappresentazione del corpo femminile che, nel corso del XX secolo, grazie soprattutto a opere immersive messe a punto da artiste femministe, ha trasformato la raffigurazione delle fattezze fisiche femminili da mero oggetto di contemplazione e sessualizzazione, a soggetto artistico protagonista. Tra gli esempi riportati non si possono non citare le installazioni Hon – En Katedral esposta a Stoccolma nel 1966 e The Dinner Party (1974- 1979) di Judy Chicago, tra l’altro utilizzata per una sfilata di Dior, accomunate dall’intento di monumentalizzare il corpo femminile e di renderlo un ambiente esplorabile e, al contempo, maestoso, quasi divino.
Durante il suo intervento Fontana ha anche mostrato delle opere concepite in digitale che si sono rivelate utili per comprendere in modo istantaneo il punto di vista di chi vive, oggigiorno, una disforia di genere e che, quindi, si sente di abitare un corpo che non lo rappresenta. Tra queste si ricorda Body of Mine, esperienza interattiva proposta alla recentissima Biennale di Venezia, che si propone di rendere accessibile al suo visitatore un percorso in cui, dopo essersi calato nelle viscere di un corpo estraneo, si trova costretto a vedere la propria immagine riflessa in uno specchio che, tuttavia, riproduce la sagoma di alter ego che, fisicamente parlando, rappresenta il suo opposto e da cui, inevitabilmente, si sente dissociato.
Uno degli ultimi punti che sono stati toccati nel corso dell’incontro è stato il riconoscimento del diritto all’identità alias da parte del nostro Ateneo.
Sara Valaguzza, professoressa di Diritto amministrativo, ha ricordato di come nel 2018 il Senato Accademico abbia approvato il Regolamento per l’attivazione di un’identità alias per persone in transizione di genere, con l’obiettivo di promuovere il riconoscimento dei diritti della persona in transizione e di eliminare quindi situazioni di discriminazione o di disagio legate al sesso, all’orientamento sessuale e all’identità di genere. La modifica normativa ha permesso quindi, da cinque anni a questa parte, a quegli studenti che ne sentissero l’urgenza, di acquisire un’identità alias, ossia un nome differente rispetto a quello anagrafico, da poter utilizzare durante gli anni universitari. La modifica normativa al regolamento del nostro Ateneo, a detta di Valaguzza, è stata un’importante forma di inclusività.
Sarebbe quantomeno auspicabile, anche se utopico, visto i tempi che corrono, che anche le istituzioni nazionali si mobilitino per mettere a punto delle misure che permettano di tutelare e includere, ma anche educare e prevenire, al posto di reprimere e punire chi alimenta fenomeni di violenza e discriminazione.