Wes Anderson ha lasciato un’impronta indelebile nel mondo del cinema con il suo stile distintivo e i suoi film unici, per la sua abilità di creare opere d’arte visivamente originali e narrativamente complesse.
Il regista hipster il 28 settembre 2023 è tornato in Italia, non solo nelle sale cinematografiche con la sua ultima creazione, Asteroid City, presentata in anteprima mondiale al Festival di Cannes, ma anche nella sede di Milano di Fondazione Prada con la mostra Wes Anderson – Asteroid City: Exhibition, aperta al pubblico dal 23 settembre 2023 al 7 gennaio 2024.
Varcando la soglia della galleria Nord di Fondazione Prada si entra nella cittadina di Asteroid City e negli anni Cinquanta.
Nello spazio espositivo, passeggiando tra le numerose e curatissime installazioni scenografiche, immersive e impeccabili, si possono notare gli oggetti di scena, i costumi, i modellini e persino le grafiche presenti nel film. Ogni oggetto è carico di significato e racconta il proprio vissuto, per trasportare lo spettatore nell’universo creativo di Wes Anderson.
Ancora una volta, il regista ci delizia con una storia la cui trama è secondaria e la cui ambientazione è incentrata in una cittadina appartenente alla realtà onirica, dove spiccano atmosfere retrò-futuristiche, accompagnate da colori pastello ed estetiche singolari, personaggi eccentrici e situazioni surreali, tipici dello stile andersoniano.
Con Asteroid City, allestito su un palcoscenico in cui emerge l’idealizzazione dell’America degli anni Cinquanta, alle prese con il patriottismo e la Guerra Fredda. Temi che furono il trampolino di lancio che rivoluzionarono il teatro, il cinema e la narrativa americane in genere. Il regista vuole omaggiare le figure iconiche di quel periodo, dai cowboy del vecchio West alle dive del cinema hollywoodiano.
In questa pellicola, curatissima in ogni suo aspetto, Anderson affronta temi seri e toccanti: la perdita e il lutto, la rinascita e il coraggio di rimettersi in gioco, la contemplazione dell’universo, la convivenza con la solitudine e l’angoscia. Elementi che albergano nel desiderio di trovare risposte nel senso della vita, dovute a uno stato di smarrimento dei personaggi. Per fronteggiare queste tematiche il regista sceglie, come in ogni suo lavoro, di farlo attraverso fantasia e leggerezza, per far spostare lo sguardo dello spettatore anche in una profonda riflessione.
La sceneggiatura frizzante della pellicola lascia spazio a una metanarrazione dinamica. Cioè pone il pubblico davanti a una costruzione a più piani narrativi e temporali, in cui si assiste al passaggio da livello diegetico a metadiegetico, e viceversa, al punto da diventare quasi confusionario per chi non è abituato allo stile registico eccentrico del regista.
La dimensione diegetica è immersa in un bianco e nero quasi elegante, narrata da un Bryan Cranston in veste di presentatore di un programma TV, in cui espone la messinscena di una compagnia teatrale che abbraccia un nuovo progetto che prende il titolo di Asteroid City. Quest’ultimo ci viene presentato «come un dramma immaginario che rappresenta un resoconto autentico del funzionamento interno di una moderna produzione teatrale», realizzata dal drammaturgo Conrad Earp (Edward Norton) insieme al regista Schubert Green (Adrien Brody), che mettono in scena un racconto di fantascienza e di tristezza umana ambientate in una città immaginaria americana degli anni Cinquanta, situata nel deserto, che titola Asteroid City. Tal nome perché́ millenni di anni fa cadde un asteroide presso questa zona desertica. Quest’immaginario deserto stilizzato e pastellato lo si può concepire come una versione hipster che allude all’Area 51 o alla Los Alamos dove Robert Oppenheimer creò la rivoluzione del nucleare.
A differenza del livello diegetico, nel secondo piano narrativo vi è la storia della commedia stessa che è invece a colori (prevalentemente caldi, adatti all’atmosfera del deserto). Questa scelta è utile per segnare la differenza da cosa esiste dentro il racconto e cosa fuori.
Uno degli aspetti strutturali più particolari nella metanarrazione è la presenza della divisione del lungometraggio in atti e di questi ultimi in scene, come se si fosse veramente a teatro ad assistere alla commedia Asteroid City.
Protagonisti di questa commedia sono diversi gruppi familiari, che si riuniscono nella cittadina di Asteroid City per il Junior Stargazer, un concorso di astronomia a premi per le invenzioni scientifiche futuristiche realizzate da cinque giovani cervelloni accompagnati, appunto, dai loro genitori. La cittadinanza di Asteroid City si anima anche per festeggiare, come ogni anno, il Giorno dell’Asteroide. Quest’ultimo fa da sfondo ai paradossali, fantasiosi e allo stesso tempo dolorosi dialoghi ed eventi della commedia.
Nel frattempo, la commedia va avanti e piano piano si snodano storie di morte e di sofferenza, di connessioni tra esseri umani apatici incompresi ed egocentrici ordinari che iniziano e non continuano, sotto un cielo che ospita solo astri e freddo vuoto cosmico.
Successivamente, come già anticipato nel trailer, durante la permanenza ad Asteroid City, i personaggi della commedia assistono a un incontro ravvicinato di terzo tipo, ovvero con un alieno, che piomba nel mezzo della premiazione del concorso da una navicella verde fosforescente e ruba l’asteroide. In questa scena “aliena” i colori della notte vengono improvvisamente invasi dal verde lucente, simbolo degli extraterrestri, nonché perfetto nell’introdurre l’animazione in stop-motion successiva.
Questo plot-twist sarà il pretesto per Conrad di mettere in discussione le vite e le certezze dei presenti e di quel piccolo pezzo di deserto, inserendo nella commedia una quarantena, messa in atto dal governo americano. Questa scoperta di creature extra-terrestri porta i personaggi a sentirsi ugualmente insignificanti, fino a riflettere su problemi quotidiani ed esistenziali.
Questo si rispecchia anche negli stessi attori della commedia, che sembrano non capire il senso di ciò che stanno recitando, dovendo dare conto anche al caos della vita reale che sono incapaci di affrontare, in quanto si sono lentamente rifugiati in mondi di finzione per sfuggire a uno stato di insofferenza e apatia.
Alla fine, la trama rimane poco riuscita perché viene sospesa durante il film: i tre piani narrativi si sciolgono molto frettolosamente senza risolvere nulla del dolore emerso dai personaggi, rendendo la loro caratterizzazione piatta nonostante l’iniziale curiosità nei loro confronti. L’attenzione si sposta su un altro punto focale della pellicola: il furto dell’asteroide da parte dell’alieno. Quest’ultimo in realtà è una metafora che ci ricorda l’aspetto analogico e spesso strano dei lavori di Anderson, che in questo caso richiama la finzionalità della narrazione nel film attraverso la figura dell’alieno.
Tutto, dagli scenari ai personaggi, sembra artificiale, ma questa artificialità è essenziale per sottolineare il processo di creazione cinematografica.
L’alieno ruba l’asteroide per farci comprendere che l’intero film è una finzione, in quanto la vera intenzione del regista è “fare un film” e comunicare il messaggio “sto creando”. Non si tratta di ingannare lo spettatore ma di tenerlo sveglio e coinvolto, affinché non si dimentichi della natura artificiale del cinema e della sua funzione di storytelling. Come recita il coro alla fine del film, il non potersi svegliare potrebbe riferirsi al fatto che rimanere immersi in una narrazione cinematografica è un modo per sfuggire temporaneamente alla realtà e vivere l’esperienza della finzione.