Dolores Ibárruri, detta La Pasionaria, viene ricordata per la sua partecipazione all’interno della resistenza repubblicana spagnola nel periodo della Guerra civile, durante la quale divenne un simbolo internazionale della lotta al fascismo.
Ciò che spesso si dimentica è invece il suo impegno per una maggiore partecipazione politica delle donne, anche all’interno del Partito Comunista.
Isidora Ibárruri Gómez, conosciuta come Dolores Ibárruri, nacque il 9 dicembre 1895 a Biscaglia, una provincia dei Paesi Baschi, in una famiglia di minatori.
Crebbe in un ambiente famigliare e sociale in cui la fede cattolica si intrecciava con credenze superstiziose, escogitate e tramandate di generazione in generazione per alleviare le sofferenze degli abitanti della zona: la regione di Gallarta, infatti, era dominata dal pericolo costante della dinamite usata nelle miniere.
Nella sua autobiografia ¡No pasarán!, pubblicata nel 1966, ricorda episodi legati alla sua terra natale, come il suono assordante dell’allarme che avvertiva di sgomberare le strade poco prima delle esplosioni nelle miniere, o della morte di suo nonno, che rimase schiacciato sotto un blocco di roccia in seguito a un forte scoppio in una miniera.
Da bambina sognava di diventare insegnante, ma a 15 anni abbandonò gli studi: la rinuncia alla carriera dell’insegnamento fu per la giovane una prima forma di tensione con il sistema patriarcale che regnava nella regione. L’indipendenza economica delle donne era vista come una forma di sovversione dell’ordine e come una minaccia al potere gerarchico del marito. Inoltre, la professione di insegnante non le avrebbe permesso di essere facilmente sostituita una volta diventata madre, il quale avrebbe dovuto essere, secondo l’ordine sociale, il suo unico sogno nella vita.
Adattandosi controvoglia alle aspirazioni che altri avevano scelto per lei, all’età di 20 anni si sposò con Julián Ruiz, minatore e attivista politico iscritto al Partito socialista.
L’esperienza matrimoniale, che per Ibárruri assomigliò più ad “una forma di schiavitù”, fu un punto di svolta cruciale, sia per il suo sviluppo personale, sia nel processo di formazione della sua identità politica.
Durante gli anni del matrimonio Ibárruri soffrì un vero e proprio isolamento sociale: quando non si trovava in carcere o in qualche pub, poteva contare sulla compagnia del marito Julian, altrimenti le uniche interazioni della giovane erano quelle con i figli.
La disillusione totale verso il modello di vita che le era stato imposto la portò a un progressivo allontanamento dall’educazione cattolica che aveva ricevuto e ad un avvicinamento radicale alle idee socialiste del marito.
Nel 1917, dall’altra parte del mondo, avviene la Rivoluzione russa e Ibárruri a stento riesce a trattenere l’entusiasmo: per far addormentare la piccola Esther sostituisce le ninnananne con le canzoni della Rivoluzione e il senso di vuoto e solitudine svanisce pian piano, colmato dalla speranza portata dal vento di una rivoluzione che prima sembrava remota e irraggiungibile.
Dopo un primo momento di eccitazione pura, l’arresto del marito in seguito ad un tentativo di sciopero fallito la riporta alla cruda realtà.
La povertà è estrema e Ibárruri e i suoi figli sopravvivono solo grazie alla solidarietà degli abitanti del villaggio. L’aiuto delle altre famiglie e le varie proteste che iniziano a susseguirsi in Spagna all’indomani della rivoluzione bolscevica, riaccendono in lei la fiamma: nel 1918 inizia a scrivere articoli per il giornale locale El Minero Vizcaíno, firmandosi con il celebre pseudonimo La Pasionaria, per mantenere l’anonimato.
Il significato allegorico di questo pseudonimo è il primo tassello fondamentale nella costruzione della figura politica di Ibárruri: la passiflora (in spagnolo “pasionaria”) è un fiore che presenta diversi fattori di somiglianza con i simboli religiosi della Passione di Gesù; soprattutto, la sua raggiera corollina ricorda la corona di spine che indossava Gesù durante la Via Crucis.
Il decennio degli anni ’20 fu per Ibárruri un periodo di forte attivismo politico: contribuì a fondare il Partido Comunista de España (PCE) e funse da delegato provinciale eletto a vari comitati e congressi del Partito. All’interno del Partito Comunista lottò sin da subito per ottenere una maggiore rappresentanza politica delle donne.
Durante questi anni continuò il processo di creazione della figura politica di Dolores Ibárruri.
Tra i principali elementi che permisero l’edificazione del mito de La Pasionaria, vi sono i continui riferimenti alla dimensione cattolica, i vari elementi della sua figura che sono convenzionalmente legati alla figura maschile e il suo attivismo politico strettamente relazionato, soprattutto nella fase iniziale, al ruolo di moglie e madre.
La pasionaria si autodefiniva “donna del popolo” e questo ebbe un duplice effetto: da un lato, riuscì a risultare legittima agli occhi dei cattolici e del Partito Comunista e dall’altro lato, ciò permise che le donne cattoliche potessero identificarsi in lei, suscitando così le prime forme di mobilitazione politica delle donne spagnole.
Negli anni ’20 e ’30 con il termine “donna del popolo” si alludeva ad una donna che, attraverso sacrifici e dolore, poteva gradualmente allontanarsi dalla figura di “responsabile del peccato originale”, per avvicinarsi sempre più alla figura di Gesù, che nell’ideale cattolico rappresentava la virtù.
In questo duplice processo di legittimazione e identificazione, giocò un ruolo fondamentale anche il modo in cui essa si presentava: sin dagli albori della sua carriera politica, si mostrò sempre austera, vestita di nero, con i capelli raccolti in chignon e gli orecchini come unico gioiello. Così, nonostante le sue scelte vitali l’avessero resa una donna emancipata, Ibárruri rinunciò sin da subito a costruirsi un’immagine alla moda, di donna moderna e indipendente.
Questo fu fondamentale per ritagliarsi uno spazio all’interno del Partito Comunista: in quegli anni, anche per la cultura comunista la figura della donna era associata al concetto di “donna fatale”, colpevole di aver ceduto alle tentazioni del consumo e della società di massa e di voler corrompere gli uomini. Per la dottrina comunista del tempo, il prototipo di donna che combatte per una partecipazione più egualitaria nella lotta di classe, non corrisponde a quello della donna moderna, bensì a quello della donna tradizionale.
Infine, sia nelle sue autobiografie, sia nei suoi discorsi, Ibárruri sottolinea continuamente il suo ruolo di madre.
Essa non stravolse mai l’immagine tradizionale della donna moglie e madre, ma decise di sfruttare proprio i ruoli tradizionali femminili per includere le donne nella mobilitazione politica.
Ad esempio, nel 1927, in seguito all’arresto di Julian e altri attivisti, Dolores riuscì a organizzare una manifestazione con le mogli degli altri detenuti, per rivendicarne i diritti e richiederne la scarcerazione, presentandosi alla manifestazione con i propri figli.
Nel 1931 Ibárruri lasciò il marito e si trasferì a Madrid con gli unici due figli sopravvissuti. Nel 1933 la sua carriera politica iniziò ad affermarsi a livello nazionale: fu delegata al 13° congresso internazionale del partito e nel 1936 fu eletta in Parlamento. Nel breve periodo precedente allo scoppio della Guerra civile spagnola, promosse un forte movimento per il miglioramento delle condizioni lavorative, abitative e sanitarie dei lavoratori.
Nel luglio del 1936 scoppiò la guerra civile: Dolores fu uno dei principali dirigenti della coalizione repubblicana. I suoi discorsi e il suo celebre grido “¡No pasarán!”, conquistarono gran parte della popolazione, specialmente le donne.
Durante gli anni dello scontro, La Pasionaria diventa un vero e proprio simbolo, nazionale e internazionale, degli ideali antifascisti: a livello nazionale la sua figura assunse nuove sfaccettature, divenne la “madre” di tutti i combattenti spagnoli. Inoltre, i suoi discorsi per ottenere il sostegno di governi e popoli di altre parti del mondo furono ampiamente diffusi dalla stampa, dando vita ad un mito internazionale.
Nel 1939, con la caduta di Madrid e la vittoria di Franco, Ibárruri andò in esilio nell’Unione Sovietica, dove continuò la sua attività politica.
I discorsi dell’eroina spagnola raggiunsero gli angoli più remoti del pianeta e nel decennio seguente, il Partito Comunista lavorò sulla figura di Ibárruri per renderla l’incarnazione dei valori comunisti e antifascisti: Ibárruri veniva descritta dalla stampa comunista come una grande dirigente del movimento rivoluzionario mondiale, simbolo per eccellenza del martirio sofferto dal popolo spagnolo. Per rafforzare ulteriormente l’immagine di “perfetta comunista”, venne sfruttato anche l’evento drammatico della morte del figlio Ruben, che combatté con l’Armata Rossa nella Battaglia di Stalingrado del 1942.
Dopo la morte di Franco nel 1975, Dolores tornò in Spagna e fu eletta come deputata del Partito Comunista. Negli anni della vecchiaia però diminuì progressivamente la sua presenza pubblica.
Il 12 novembre 1989 morì a Madrid: oltre trecentomila persone, arrivate da tutti i punti della Spagna, percorsero l’itinerario funebre dalla sede del Partito fino al cimitero civile di Madrid. Dopo la sua morte, il mito della Pasionaria, nelle sue molteplici sfaccettature di donna del popolo, rivoluzionaria o madre di tutti i combattenti antifascisti, continuò a vivere e ad ispirare.