Nel 2022, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare ha bandito per la prima volta un concorso aperto alle studentesse magistrali di fisica, offrendo 25 borse di studio come incentivo per la prosecuzione degli studi nel campo. Il progetto “Più donne nella fisica” prevede non solo l’assegnazione di un sussidio economico, ma anche di un tutor di sostegno e di orientamento su cui poter contare nella via piena di ostacoli della carriera di ricercatrice.
L’obbiettivo è incrementare la presenza femminile nel mondo della ricerca e incoraggiare la loro partecipazione attiva in un ambito ancora tutto al maschile.
L’idea prende ispirazione forse da Space4Women un programma che ha lo scopo di costruire e implementare una serie di mentori per supportare e guidare le giovani donne nel settore astrofisico.
L’iniziativa verrà ripetuta quest’anno, con il nuovo bando pubblicato appena una settimana fa, e offre l’occasione per parlare delle grosse asimmetrie di genere presenti nel mondo della ricerca.
Nel libro “Per soli uomini”, l’autore spiega come un’indagine sul gender gap nella ricerca mostra che ci vorranno circa 258 anni per raggiungere la parità di genere in fisica, se si procede con questi ritmi. L’indagine passa al vaglio il genere di 36 milioni di ricercatori provenienti da tutto il mondo ed è la proiezione più accurata ad oggi.
Nelle scienze “dure”, la fisica, la matematica, la chimica, il divario di genere è ancora vastissimo. Il problema più grosso non è tanto la bassa percentuale di iscrizioni ai corsi di laurea, ma la bassissima percentuale di donne che arrivano alla fine del percorso della carriera di ricercatrice. Il numero di donne si assottiglia sempre di più ad ogni step del percorso, con una conseguente carenza di donne nelle posizioni più importanti. Nonostante a livello globale il 53% dei diplomati e laureati magistrali sia donna, i giovani dottorati sono prevalentemente uomini (72%), percentuale che cresce ulteriormente se si considerano i ricercatori di primo livello (78%).
Il problema è tremendamente radicato nella nostra società e porta ad avere dei pregiudizi di cui spesso non ci si accorge nemmeno.
Ai livelli più alti, ad esempio, i pregiudizi infondati sono un grosso ostacolo: « In un uomo autorevolezza e piglio manageriale sono considerate qualità positive, mentre una donna con tali caratteristiche è definita assertiva o addirittura aggressiva», evidenza Simonetta di Pippi nello stesso libro.
Un altro pregiudizio di genere tende a sminuire la credibilità e la rigorosità degli studi condotti da donne, piuttosto che dai loro colleghi maschi. E così la storia è costellata di casi in cui il contributo del genere femminile è stato nascosto, oscurato per non “perdere di rispettabilità a livello pubblico”. E’ il caso di Lisa Meitner, che insieme a Otto Han scoprì la fissione nucleare, ma per qualche strano motivo fu soltanto Han a ricevere il premio Nobel; Emmy Noether, il cui contributo nella fisica teorica fu fondamentale; Jocelyn Bell Burnell, che scoprì i pulsar da giovane studentessa, ma fu il suo mentore a ricevere il riconoscimento per la scoperta; e ancora Mary Tsingou, che lavorò insieme a Fermi, Ulam e Pasta alla simulazione di un sistema non lineare di masse e molle, ma il suo nome venne omesso dal paper pubblicato. E con loro tante altre di cui conosciamo la storia e tantissime altre ancora ingiustamente rimosse dal libro della storia, le cui pagine non verranno mai riscritte.
Troppo spesso le donne nelle discipline STEM (Science Technology Engineering Mathemathics) sono ancora delle “Hidden Figures”, come le scienziate che contribuirono alla missione spaziale Apollo 11, che portò gli americani sulla Luna nel 1969, la cui storia è raccontata nell’omonimo film di Theodore Melfi.
Negli ultimi anni, si sono fatti grossi passi avanti. Il CERN, il più grande centro di ricerca mondiale nell’ambito della fisica delle particelle, è oggi diretto da una donna italiana, Fabiola Gianotti. Differenze salariali sono ridotte grazie all’introduzione di alcune policy, come è stato fatto presso il prestigioso MIT di Cambridge. La rete SWAN (Scientific Women’s Academic Netwoek) raccoglie dati da oltre 140 istituzioni scientifiche e permette di incoraggiare le istituzioni che offrono migliori condizioni per le scienziate.
Ma molti passi restano ancora da fare.
Ci sono ancora tante posizioni di rilievo che non sono mai state ricoperte da una donna, come in Italia la presidenza dell’INFN. Se al CERN la prima donna presidente è arrivata nel 2016, questo non è ancora avvenuto al Fermilab o ai Laboratori di Berkeley. Le percentuali sono ben lontane dalla parità. Nella storia, le donne che hanno ricevuto il Premio Nobel per la Fisica sono soltanto quattro: Marie Curie, Maria Goeppert Mayer, Donna Strickland e Andrea Ghez. Soltanto quattro contro duecentododici uomini. Così come su duecentoquaranta persone che hanno visitato la Stazione Spaziale Internazionale (ISS), soltanto 65 sono state donne.
Insomma, c’è bisogno di iniziative come quella dell’INFN per colmare il gap di genere nelle discipline scientifiche. Ogni giorno di quei duecentocinquantotto anni che ci separano dalla parità rappresenta un’enorme perdita non solo per le donne, ma per la società intera, che si priva di una comunità di ricerca più bilanciata e quindi più capace di analizzare e risolvere i problemi della più disparata natura.