Del: 21 Novembre 2023 Di: Michele Cacciapuoti Commenti: 0
Radici. Quando l'Italia si ritrovò a governare la Somalia

Radici racconta fatti, personaggi e umori della storia della Prima Repubblica italiana, dal 1946 al 1994. A questo link è possibile trovare gli articoli precedenti della rubrica.


Tutti sanno che la Repubblica Italiana nacque a seguito della liberazione alleata e della resistenza partigiana, da cui la marcata matrice antifascista espressa anche nella nuova Costituzione.

Questo, insieme al rilevante ma ridimensionato ruolo internazionale della nuova Italia nel contesto della Guerra Fredda, determinò l’annullamento di velleità e potenzialità imperialiste, quantomeno quelle espresse nei termini del colonialismo più tradizionale che invece ancora resisteva in Paesi come Francia, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi e USA. Insomma, niente più colonie per l’Italia.

Eppure, proprio in questo contesto Roma si trovò a governare per un intero decennio sulla Somalia, territorio che aveva già colonizzato sin da fine Ottocento in epoca liberale.

A differenza di altri possedimenti dell’Italia fascista (quali il protettorato d’Albania, le isole del Dodecaneso e il Carnaro dalmata) che dopo il cambio di alleanze nel 1943 vennero occupati dalla Germania, le colonie africane passarono sotto il dominio britannico nel corso della Seconda Guerra Mondiale: la Libia venne divisa fra Londra e Parigi per un decennio, mentre nel Corno d’Africa solo l’Etiopia recuperò la propria indipendenza, con il Regno Unito rimasto ad amministrare Eritrea e Somalia.

Intanto, nel 1945 era nata l’ONU, che decise di affrontare il problema dei territori non autonomi come le ex-colonie italiane, ritenute ancora insufficientemente sviluppate e dunque bisognose dell’aiuto di una potenza del Nord del mondo che le accompagnasse verso una futura indipendenza.

Vennero così istituite le amministrazioni fiduciarie, tracciando un evidente parallelismo con quanto accaduto dopo la Prima Guerra Mondiale, quando la Società delle Nazioni aveva creato i cosiddetti mandati allo scopo di gestire, fra l’altro, le ex-colonie tedesche.

Come i mandati, anche le amministrazioni fiduciarie (seppur sulla carta improntate all’internazionalismo) risentivano di una forte impostazione imperialista o quantomeno paternalista:

accanto all’indipendenza venne posta come obiettivo l’opzione del semplice autogoverno, con particolare renitenza di Churchill ad applicare il principio di autodeterminazione dei popoli ai territori dell’Impero Britannico, scriveva nel 2006 Morone su Italia contemporanea.

L’ONU dovette dunque decidere a quale potenza assegnare l’amministrazione fiduciaria della Somalia: nel 1949 l’Assemblea Generale scelse proprio l’Italia, su spinta statunitense e contro il parere di URSS, Etiopia e Regno Unito.

Le perplessità di chi votò contro non erano immotivate: si trattava dell’unica amministrazione affidata a una potenza sconfitta, che proprio per questo al tempo non faceva nemmeno parte dell’ONU e che, secondo Morone, ottenne questo risultato in virtù della sua ormai dichiarata scelta filo-americana.

Soprattutto, la Somalia veniva affidata alla nazione che per oltre mezzo secolo l’aveva colonizzata.

La specificità italiana comportò una serie di limitazioni assenti nelle altre amministrazioni fiduciarie: l’obiettivo era in questo caso univocamente l’indipendenza della Somalia, fissata entro il 1960; il territorio doveva essere governato da una struttura, l’AFIS, vincolata a determinati principi costituzionali e dipendente da un ministero di natura non coloniale, quello degli Esteri.

Inoltre, ed era questo un unicum fra le amministrazioni fiduciarie, venne creato un organismo ONU adibito al controllo dell’operato italiano, l’UNACS: con esso la nuova Italia di De Gasperi, desiderosa di riaffermazione e di prestigio internazionale, formalmente collaborò sempre, pur limitandone fortemente le ingerenze. L’UNACS, d’altronde, non fu mai risolutivo, anche perché diviso nella sua composizione fra delegati egiziani e filippini (favorevoli alle istanze locali somale) e delegati colombiani (più filo-italiani).

Il passaggio di consegne dal Regno Unito all’Italia avvenne nel 1950 e fu ratificato l’anno seguente, non senza contrasti: la Lega dei Giovani Somali, partito nato nel 1943, si oppose fortemente all’amministrazione italiana, inizialmente anche con la forza.

Il giornalista Vincenzo Meleca riporta alcuni casi di scontri armati che comportarono anche dei caduti, mentre è ancora Morone (ne L’ultima colonia, 2011) a riportare le ipotesi di responsabilità dell’esercito britannico nell’aver fomentato il nazionalismo somalo, sollevate dalla Croce Rossa Italiana e indagate dallo stesso governo di Attlee.

Per paternalista che fosse, in ogni caso, il sistema delle amministrazioni fiduciarie dell’ONU disponeva di alcune cautele in più rispetto ai mandati della Società delle Nazioni:

era prevista la possibilità per le popolazioni “amministrate” di emanare delle petizioni; inoltre, nel 1952 l’ONU raccomandò l’inserimento di esponenti locali nelle delegazioni al Consiglio di Tutela, raccomandazione però poco recepita dalle potenze amministratrici (nel caso dell’Italia, si dovette aspettare il 1955 perché M. F. Siad fosse nominato delegato).

L’ONU prevedeva anche periodici controlli sull’operato delle amministrazioni fiduciarie, che nel corso degli anni Cinquanta rilevarono evidenti carenze da parte dell’Italia nella gestione del deficit e del confine con l’Etiopia, sullo stato di avanzamento della democrazia e nei confronti dell’uso di punizioni collettive.

Nel 1963, del resto, Ernesto Rossi, padre fondatore europeista e protagonista del Partito Radicale, scriveva sul suo periodico L’Astrolabio che la gestione italiana dell’economia somala si era limitata al monopolio delle banane.

L’AFIS era guidata da un amministratore, che capeggiava le forze armate e inizialmente deteneva anche il potere legislativo. Il primo amministratore fu il diplomatico Fornari, che portò avanti la linea ambigua dei governi De Gasperi: il presidente del consiglio e molti dei suoi ministri (Carlo Sforza, l’ex-partigiano Brusasca e il futuro primo ministro Pella) non vedevano la Somalia in ottica strettamente coloniale e, per ragioni innanzitutto economiche, erano favorevoli alla riduzione dei dislocamenti militari nel territorio, a cui si opponeva invece il repubblicano Pacciardi, ministro della difesa.

De Gasperi, Pacciardi e Scelba, 1948

La nomina di Fornari dimostrava la volontà dei governi centristi di rompere con il passato fascista, ma si trattava in parte di mere apparenze: sotto il rango dei vertici, infatti, il microcosmo di funzionari che lavorava nell’AFIS era legato a passate esperienze colonialiste e fasciste, che, stando all’UNACS e allo stesso ministro Brusasca, ne influenzavano ancora la mentalità.

D’altronde, erano ormai passati diversi anni dall’Amnistia Togliatti del 1946, che in chiave continuista aveva chiuso definitivamente le porte a un’epurazione e a una resa dei conti con i fascisti anche nell’apparato burocratico-amministrativo. Per quanto la linea di Togliatti abbia avuto le sue ragioni storiche in Italia, Morone non manca di sottolinearne le conseguenze nell’amministrazione della Somalia, il cui corpo di funzionari appariva poco incline ad accettare il dissenso.


In particolare, aveva fatto molto discutere nel 1949 l’ipotesi di nominare Guglielmo Nasi alla gestione del passaggio di consegne: Nasi durante il fascismo aveva guidato le truppe coloniali in Africa per conto del generale Graziani (criminale di guerra e poi presidente dell’MSI); durante il conflitto era poi divenuto governatore della Somalia e ultimo Viceré d’Etiopia. A seguito delle forti critiche da parte di Pajetta, esponente di spicco del PCI, il governo ritirò la nomina a Nasi. Non è dunque casuale che Rossi, nel suo intervento del 1963 su L’Astrolabio, interpretasse ironicamente la sigla AFIS come “Ancora Fascisti In Somalia”.

Il rapporto con la popolazione locale iniziò a migliorare già sotto l’amministrazione di Fornari, quando nel 1951 vennero nominati ufficiali alcuni soldati somali, ma soprattutto sotto il suo successore, il repubblicano E. Martino:

nel 1954 si tennero le elezioni locali, che videro una larga vittoria della Lega dei Giovani Somali, il cui presidente proprio quell’anno era divenuto il moderato A. A. Osman Daar. 

Iniziò così un periodo di distensione fra la Lega e l’AFIS (specie sotto il successivo amministratore, il diplomatico Anzilotti), il cui vero punto di svolta è il 1956. Si tratta di un anno spartiacque anche per la politica internazionale e italiana: rappresenta l’inizio della destalinizzazione nell’URSS e, con l’invasione sovietica di Budapest, l’allontanamento del PSI dagli alleati comunisti, che avrebbe lentamente aperto ai futuri governi di centrosinistra in Italia.

Nel 1956 si tennero anche le prime elezioni politiche per la semi-autonomia somala: venne creato un organo legislativo, in cui 43 seggi su 70 vennero occupati dalla Lega dei Giovani Somali e un’altra decina venne riservata alle minoranze etniche; province e distretti cominciarono a essere amministrati da personalità locali; Osman Daar venne eletto presidente dell’organo legislativo, mentre il governo venne affidato ad A. Issa Mohamud (esponente della Lega).

Osman Daar e Saragat, 1966

Erano quelli gli anni della decolonizzazione (spinta anche dagli interessi di USA e URSS nella Guerra Fredda, con l’emblematica esautorazione dell’Europa in Nordafrica nella Crisi di Suez), che trasformarono radicalmente l’assetto dell’ONU e portarono a quello che il giovane politico kenyota Mboya nel 1958 definì scram from Africa (l’opposto della scramble for Africa, la corsa all’Africa).

Non è un caso che alcuni libri scolastici somali identifichino proprio il 1956 come l’anno in cui l’Italia iniziò davvero ad adoperarsi per l’indipendenza della Somalia. In quell’anno, inoltre, Osman Daar e Issa Mahmoud vennero anche inviati all’ONU come consiglieri dei delegati italiani.

Vi fu un momento di crisi nel 1957, quando ai vertici della Lega dei Giovani Somali arrivò H. M. Hussein, figura più anti-occidentale di Osman Daar: il ministro degli esteri Pella (nel governo Zoli, che godeva anche dell’appoggio esterno dell’MSI neofascista) fece pressioni all’Egitto di Nasser, ottenendone il ritiro dell’endorsement a Hussein.

La transizione verso la decolonizzazione era però definitivamente avviata: nel 1959 la Lega vinse nuovamente le elezioni e, come programmato, la Somalia ottenne l’indipendenza nel luglio del 1960 (nel pieno dei disordini di Genova causati dall’alleanza DC-MSI nel governo Tambroni, e a pochissimi giorni dai moti di Reggio Emilia). L’ex-colonia italiana si unì all’ex-Somalia Britannica, anch’essa appena divenuta indipendente:

il 1960 è d’altronde chiamato anno dell’Africa, per via dell’emancipazione di una ventina di Stati dalle potenze europee.

Il bilancio complessivo dell’operato italiano in Somalia fra il 1950 e il 1960 rimane dunque ambivalente, nonostante l’apprezzamento espresso da H. Chapin Metz (soprattutto in contrasto all’operato britannico). La storia della nuova Somalia non si sarebbe del resto dimostrata rosea: poco dopo la prima presidenza di Osman Daar, si sarebbe instaurata la dittatura di Siad Barre, con l’incarceramento successivo dell’ex-presidente somalo.

Michele Cacciapuoti
Laureato in Lettere, sono passato a Storia. Quando non sto guardando film e serie od osservando eventi politici, scrivo di film, serie ed eventi politici.

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