Del: 20 Novembre 2023 Di: Jessica Rodenghi Commenti: 0
Tdor, cosa significa dover chiedere il permesso per essere se stessə?

Il TdorTransgender Day of Remembrance è la giornata in cui si ricordano le vittime di transfobia. Fu inaugurato nel 1999 dall’avvocata Gwendolyn Ann Smith, che decise di commemorare la morte di Rita Hester, una donna nera trans* uccisa a coltellate nel 1998. È stata uccisa nel quartiere dove viveva e tuttora l’assassinə non è statə identificatə.

Nonostante la morte, i giornali dell’epoca decisero di parlare di lei al maschile, utilizzando il nome assegnato alla nascita e non quello d’elezione: una pratica che purtroppo viene ancora utilizzata da alcune testate. Insomma, nemmeno nella morte Rita ha trovato rispetto. 

A questo punto l’avvocata Gwendolyn Ann Smith decide di istituire una giornata per ricordare lei e tutte le vittime di violenza transfobica, scegliendo il 20 novembre

Ma chi sono le persone trans*? Trans* o transgender è un termine ombrello, che comprende diverse soggettività. Quando nasciamo, l3 genitor3 assegnano un genere allə bambinə, basandosi su caratteristiche fisiche e cromosomiche. 

Esistono casi in cui questa differenza non è così chiara, perché molt3 nascono con caratteristiche che non possono essere assegnate soltanto ad un genere: queste persone si dicono intersex

Ora, dopo che l3 genitor3 hanno assegnato il genere, lə bambinə crescerà e potrà identificarsi in quel genere che è stato deciso per ləi: questa persona si definirà cisgender. Nel caso in cui si identifichi, invece, in modo diverso rispetto a ciò che l3 genitor3 hanno deciso per ləi, sarà una persona trans* o transgender.

L’identità di genere, però, non è necessariamente binaria: le scelte possibili non sono soltanto maschile e femminile ed è qui, infatti, che si aprono le prospettive dell’ombrello trans*. L’asterisco che poniamo dopo la parola trans, infatti, non è un errore di battitura, ma indica la volontà di includere con questo termine anche le persone non-binary e di genere non conforme. 

Nonostante l’immaginario sulle persone trans* sia purtroppo ancora definito da enormi stereotipi, che vengono veicolati da rappresentazioni sempre molto simili tra loro, non esiste un solo modo di essere trans*. 

Il termine transgender era stato coniato per indicare tutte le persone che non si identificassero nel genere assegnato alla nascita, indipendentemente dal fatto che volessero subire un’operazione chirurgica o utilizzare delle terapie ormonali per vivere meglio nel proprio corpo.

L’idea che tutte queste persone vogliano necessariamente sottoporsi a operazioni di questo tipo è errata e veicola uno stereotipo limitante. 

Le persone trans*, infatti, possono anche non identificarsi in uno dei due generi binari (uomo-donna): è il caso delle persone non-binary e di genere non conforme, che quindi appariranno anche a livello estetico come non richiudibili nelle categorie binarie classiche. 

Ad ogni modo, molte di queste persone possono provare disforia di genere, un sentimento di malessere legato a come il proprio corpo viene percepito. Spesso non è facile scegliere di vivere la propria identità di genere in modo libero, in quanto la società (soprattutto quella italiana) ha idee e comportamenti transfobici, che possono sfociare anche in violenza. È proprio questo il senso del Tdor: sensibilizzare su come le persone trans* vengano aggredite, discriminate e uccise per il solo fatto di esistere. 

Ci sono poi diversi stereotipi che veicolano enormi pregiudizi e che sono ancora molto radicati. Un esempio che sicuramente tutt3 abbiamo sentito troppo a lungo è che le persone trans* siano quasi sempre sex worker

Come spesso accade, gli stereotipi nascono a causa di comportamenti esistenti: da secoli le persone trans* sono relegate al margine della società e una delle professioni meno regolamentate e più ricercate dagli italiani riguarda proprio il lavoro nel mondo del sesso

A questo punto, però, chi si rivolge a quest3 lavorator3 ha un immaginario ben preciso, ha già in testa l’idea di come dovrà essere la persona trans* che ricerca: proprio questo è lo stereotipo. Mentre leggete queste righe avrete sicuramente capito di cosa si sta parlando, perché anche nel mondo del porno mainstream, spesso l’unica rappresentazione delle persone trans* è questa: una sola

Il problema è che, oltre a non permettere a tutt3 quell3 comprese da questo termine di identificarsi con ciò che viene mostrato nel porno, lo stereotipo porta avanti anche la feticizzazione del corpo trans*. Ciò significa credere che il corpo di queste persone sia valido soltanto quando incarna lo stereotipo e, se lo rispetta, è degno di attrazione sessuale. 

Tralasciando il fatto che nessun corpo esiste per il compiacimento sessuale di qualcun’altrə, le rappresentazioni limitanti discriminano una comunità che molto spesso viene invisibilizzata dietro a stereotipi che, alla lontana, potrebbero sembrare uno spazio da rivendicare. 

Sin dal primo episodio da cui è scaturita l’istituzione del Tdor, la lotta è stata intersezionale.

Questo significa che per parlare delle vittime di transfobia non si può prescindere da altre coordinate che sono fondamentali. Ad esempio, Rita Hester era una donna razializzata, che quindi subiva discriminazioni legate al vivere in un mondo dominato da persone bianche in posizioni di potere, che sfruttavano (e ancora oggi sfruttano) quelle posizioni per discriminare le minoranze. 

Un’altra coordinata che si deve considerare è la presenza di persone con disabilità, perché in questo caso le violenze sono ancora più invisibilizzate e spesso sono perpretrate dall3 caregiver.  Allo stesso modo consideriamo l’orientamento sessuale, che tuttora è una discriminante che domina aggressioni di stampo omofobo, le quali non sono tutelate da alcuna aggravante per crimini d’odio secondo la legge italiana.

Anche la “classe” deve essere considerata. Infatti, sappiamo che il 78% delle vittime di transfobia tra il 2022 e il 2023 erano sex worker. Un lavoro che non viene ancora considerato come tale, che quindi è relegato ad una condizione di invisibilità che non permette di tenere conto di tutta la violenza sommersa che non viene denunciata. 

Ci sono molti altri fattori da tenere in conto, come l’età, che spesso è motore di discriminazioni, ma anche status sociale, ecc.

L’intersezionalità è la presa di coscienza che queste oppressioni non nascono da sole, sono tutte profondamente connesse ad un sistema millenario che mantiene il proprio ordine grazie alla discriminazione e alla violenza. 

In Italia chi vuole intraprendere un percorso di riaffermazione di genere sa che dovrà superare numerosi ostacoli, perché sono previsti dei passaggi che spesso vengono considerati eccessivi. 

Innanzitutto, si parte dal consenso informato (ai sensi della legge n. 219/2017): significa che la persona in questione deve essere messa a conoscenza di tutte le possibilità per vivere con serenità nel proprio corpo. Dopo aver messo per iscritto il consenso informato, se richiesto, si potrà richiedere l’inizio di un trattamento ormonale

Per finalizzare la domanda ci sono diversi criteri da rispettare, come ad esempio un’incongruenza di genere stabile, che però, come abbiamo descritto prima, non funziona allo stesso modo per tutte le persone trans*. 

Nel caso in cui si voglia richiedere un’operazione chirurgica per la riaffermazione del genere, sarà necessario ottenere la sentenza del Tribunale nel comune di residenza. Per quanto riguarda la riattribuzione anagrafica, quindi ottenere sia all’anagrafe che nel portafoglio dei documenti indicanti il nome d’elezione e l’identità di genere corretta, è nuovamente necessario riferirsi al Tribunale. Qui verrà attestata la disforia di genere che, di nuovo, è comunque una discriminante per le persone trans* che non la provano e, a questo punto, si procederà con la modifica di documenti e registri ufficiali nel Comune.  

A quanto avrete capito la procedura non è immediata, visto che dal giorno in cui si fa la richiesta a quando si ottiene il risultato, viaggia un mare di burocrazia, che in Italia può essere molto lenta.

Come si sente una persona trans* che sta affrontando questo percorso? Quanto è difficile vivere ogni giorno in luoghi in cui il nome con cui si viene chiamat* è il deadname, quindi quello assegnato alla nascita e non il nome d’elezione? E come è sfiancante sentirsi chiamare con il pronome sbagliato, secondo una procedura che si chiama misgendering? Ancora, quanto è difficile per una persona trans* non essere considerata, perché la società veicola stereotipi millenari, che fanno sentire le persone privilegiate in potere di decidere sull’esistenza altrui?

Nonostante la situazione in Italia, però, ci sono altri Paesi in cui sono state approvate delle misure che sostengono le persone trans*. Nel 2022 in Spagna è stata approvata la cosiddetta Ley Trans che permette all3 14enni di chiedere la modifica del genere all’anagrafe senza bisogno di una sentenza giudiziaria e dai 16 anni in poi questo potrà essere attuato senza l’obbligo del consenso dell3 genitor3. 

Dai 12 anni, inoltre, esiste una forma di carriera alias, per cui l3 bambin3 possono richiedere di essere chiamat3 con il nome d’elezione e con i pronomi scelti nelle scuole. Questo è un importantissimo passo avanti, in quanto conferisce maggiore importanza all’autodeterminazione, rispetto a quello che si trova scritto sul documento, che può non essere aggiornato.

In Finlandia, a febbraio, è stata cancellata la legge che richiedeva alle persone trans* che volessero essere riconosciute a livello legale con i dati d’elezione di sottoporsi ad una diagnosi psichiatrica e anche alla sterilizzazione.

In Giappone è stata di recente eliminata la legge che prevedeva come obbligatoria la sterilizzazione per potersi identificare con un genere diverso da quello assegnato. Ad ogni modo è comunque obbligatoria l’operazione per modificare le proprie caratteristiche fisiche in linea con quelle del genere scelto, fatto che ovviamente limita la libertà di tutt3 le persone trans* che non vogliano effettuarla. 

È chiaro come la strada per l’affermazione dei diritti sia ancora lunga, tenendo conto dei continui passi indietro che si stanno facendo in diversi Paesi

Per le persone della comunità LGBTQIA+ rimane comunque assurdo dover negoziare su diritti di base, che alle persone eterosessuali e cisgender vengono garantiti senza troppe pretese. 

Ad ogni modo, è importante che questi problemi entrino nel dibattito pubblico, per diventare una questione che venga affrontata con discussioni serie e non con battaglie ideologiche che confermino stereotipi e pregiudizi, peggiorando la situazione di una comunità discriminata ed invisibilizzata.

Jessica Rodenghi
Jessica, attiva nel mondo e nelle società, per fare buona informazione dedicata a tutti e tutte.

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