Del: 27 Novembre 2023 Di: Matilde Elisa Sala Commenti: 0
The Sofa Chronicles, le serie TV del momento

Ogni due mesi, il giorno 27, 5 serie TV per tutti i gusti: The Sofa Chronicles è la rubrica dove recensiamo le novità più popolari del momento, consigliandovi quali valga la pena guardare comodamente sul divano e quali no.


Un’estate fa, Miniserie, Sky (Davide Marengo,Marta Savina) — Recensione di Nina Fresia 

Dopo trent’anni viene rinvenuto il corpo di Arianna: la diciottenne era scomparsa mentre trascorreva l’estate in un campeggio sul lago, segnando la vita di chi l’ha conosciuta. Elio, colpito da un’amnesia che gli impedisce di ricordare ciò che è successo in quei mesi, sembra essere l’indiziato perfetto: innamorato della giovane, è stata l’ultima persona vista con Arianna prima della sua sparizione. E mentre il commissario incaricato per l’indagine dubita sempre di più di una perdita di memoria troppo comoda, Elio inizia a ricordare. O meglio, Elio inizia proprio a rivivere l’estate del 1990: la nazionale ai mondiali, il gruppo di amici del campeggio, le partite a biliardino. E soprattutto rivede Arianna, riesce a parlarci e spera così di salvarla. Ad aiutarlo a riportare alla mente i ricordi ci sono Carlo, Costanza e Lauretta, riuniti a decenni di distanza, ritrovandosi cambiati ma profondamente simili.

La serie si svolge su due piani temporali differenti: quello passato, che si svolge attraverso le memorie di Elio e vede i protagonisti adolescenti, e quello presente, che comincia dal ritrovamento di Arianna e in cui gli stessi personaggi sono adulti. Anche le ricerche sul caso della giovane uccisa sono portate avanti con due livelli narrativi: da un lato l’inchiesta della polizia e dall’altro l’ossessiva indagine di Elio.

L’atmosfera dell’estate anni Novanta che domina le scene del passato è forse uno degli aspetti meglio riusciti della serie, ottenuta grazie a riprese dominate da colori caldi, all’ambientazione curata nei dettagli e alla colonna sonora ricca di brani cult.

Altro punto di forza di questa produzione è la scelta di Lino Guanciale per il ruolo di Elio adulto: con sguardo malinconico, interpreta perfettamente tutti i dubbi (rivolti verso gli altri, ma anche nei propri stessi confronti), le paure e la volontà di fare la cosa giusta che dominano l’animo del suo personaggio.


Only Murders in the Building, Stagione 3, Hulu, Disney+ (Steve Martin, John Hoffman) — Recensione di Matilde Elisa Sala

Durante la prima dello spettacolo di Oliver (Martin Short) a Broadway l’attore protagonista, Ben Glenroy (Paul Rudd), crolla sul palco. Subito si scatena il panico e, ancora una volta, si ritrovano al centro del caso proprio Oliver, Charles (Steve Martin) e Mabel (Selena Gomez). Il trio è pronto a ricominciare a indagare e, soprattutto, a proporre ai loro ascoltatori la terza stagione del podcast Only Murders in the Building. Ma la strada da percorrere è come sempre molto tortuosa e per la prima volta, anche i tre amici si ritroveranno a dover affrontare problemi e discussioni persino tra di loro.

Ripartendo dal cliffhanger con il quale si era chiusa la stagione precedente, il terzo capitolo di Only Murders in the Building si rivela essere estremamente vincente. La struttura della trama rimane sempre la stessa: un omicidio da risolvere alternato a numerosi momenti comici e, questa volta, molte scene nelle quali viene permesso allo spettatore di conoscere sempre di più i protagonisti. Il risultato è davvero eccezionale, complice anche un cast stellato: new entry della stagione sono infatti Paul Rudd e Meryl Streep, fondamentali per la storia e strepitosi nella loro interpretazione.

Le puntate sono un crescendo di divertimento e colpi di scena che lasciano il pubblico davvero confuso e sballottato, il tutto accompagnato da qualche vicenda surreale e musiche che rimarranno scolpite in testa e vi ritroverete a canticchiare tutto il giorno.

Nonostante un format del genere rischi di diventare ripetitivo, Only Murders in the Building si riafferma una delle migliori serie tv degli ultimi anni. Ricca ed eccezionale, questa stagione supera le precedenti portando sempre elementi in più che caricano il pubblico di aspettative. Ancora una volta, tocca ribadire che la serie meriterebbe molto più successo di quello che ha e che, senza ombra di dubbio, si merita più di una nomination agli Emmy.

Fortunatamente, visto soprattutto il successo negli Stati Uniti, è stata rinnovata per un’altra stagione. I misteri si infittiscono e le avventure del trio non finiscono qui!


Gen V, Stagione 1, Prime Video (Craig Rosenberg, Evan Goldberg, Eric Kripke) — Recensione di Michele Cacciapuoti 

Non sempre gli spin-off eguagliano l’opera originale da cui sono tratti, ma in questa circostanza è il caso di dire che quantomeno Gen V e The Boys competono nello stesso campionato, viaggiano su un pari ordine di grandezza. La serie racconta l’arrivo di una nuova studentessa, Marie, in un’università dedicata ai supereroi e in particolare nel gruppo dei migliori, mentre l’accademia rivela avere un lato oscuro e criminale.

Con un’ambientazione e un cast nuovi (Jaz Sinclair e Chance Perdomo avevano già lavorato insieme ne Le terrificanti avventure di Sabrina), Gen V riesce a circuire alcune aporie dei personaggi principali di The Boys che ne avevano rappresentato altrettanti nei, pur con una trama largamente intrecciata a quella della serie originale, alla cui comprensione concorre in modo importante (cosa in genere insolita per uno spin-off).

Questi otto episodi hanno dunque il classico sapore di The Boys (la vena parodica, la provocazione che sfiora il gore, gli intrecci politici e la critica sociale) ma declinato in versione teen, con un’ambientazione collegiale che aggiorna i presupposti della serie senza cadere lontano dall’albero: le visioni “burattinesche” di Sam sono la riproposizione di quelle cartoon di Black Noir, i disturbi del comportamento alimentare di Emma e l’identità di genere di Jordan sono la più adeguata prosecuzione delle tematiche sociale della serie originaria.


Bodies, Stagione 1, Netflix (Paul Tomalin) — Recensione di Nina Fresia 

Quattro epoche diverse (1890, 1941, 2023 e 2053), quattro detective diversi, ma un solo omicidio. Basterebbe questa breve descrizione per rendere la produzione Netflix “Bodies” accattivante, con una trama che unisce crime, storia e fantascienza. L’ermetico Hillinghead, l’affascinante Whiteman, la determinata Hasan e la controversa Maplewood sono tutti i detective che si ritrovano presso Longharvest Lane a scoprire lo stesso cadavere misterioso di un uomo nudo colpito da una pallottola nell’occhio. La miniserie, che si svolge attraverso 8 episodi, ha ritmi lenti e misurati, che non scivolano però nella pesantezza. 

Ciò che colpisce della serie è la cura del dettaglio, essenziale per tenere insieme così tanti piani temporali intrecciati fra loro e personaggi apparentemente distanti. L’attenzione è quindi immediatamente catturata: già dopo la prima puntata si entra nell’ottica che tutto sia collegato, che ogni particolare abbia un significato più ampio e che nessuna coincidenza sia lasciata al caso.

Un altro degli aspetti meglio riusciti di Bodies è la caratterizzazione dei personaggi: ognuno ha una sua evoluzione, un percorso completo che mette in luce aspetti positivi e negativi, esaltandone le contraddizioni. Non ci sono personaggi intrinsecamente buoni o cattivi: ciò che rende ciascuno una persona migliore o peggiore sono le esperienze, il mondo che lo circonda e come sceglie di relazionarvisi. Tuttavia, anche se spesso con mezzi controversi, il motore che muove i protagonisti della serie è la voglia di amore, di darlo e di riceverlo in tutte le sue forme e dimensioni.


Loki, Stagione 2, Disney+ (Justin Benson, Aaron Moorhead) — Recensione di Michele Cacciapuoti 

Non era scontato che la seconda stagione di Loki fosse apprezzata dal pubblico, con un gradimento dell’81% su Rotten Tomatoes, e non solo perché si tratta del prosieguo di una serie TV: gli standard delle serie Marvel della Fase 4, quelle cioè concepite sin da subito come parte del MCU su Disney+ (e non recuperate ex post come Daredevil), sono piuttosto bassi, anche per titoli iniziati bene come WandaVision.

Sin dalla prima stagione (2021), Loki appariva controcorrente, fra le poche o l’unica ad essere giunta a compimento senza enormi problemi. Da questo punto di vista, la seconda stagione si è attestata su livelli altalenanti.

I primi episodi, seppur narrativamente concitati e un po’ confusi, immergono bene lo spettatore nella trama che va avanti: si risolve brevemente il grosso del cliffhanger immediato rimasto dal 2021 (Loki finito in una timeline alternativa), ma non il problema esistenziale della moltiplicazione all’infinito delle ramificazioni temporali, che costituisce il leitmotiv della nuova stagione.
Dal punto di vista registico emerge però sin da subito una fastidiosa impostazione della fotografia, molto buia, che aumenta la confusione e si esacerba nell’episodio 1893 (l’unico diretto da K. Farahani). Sono le due puntate finali a risollevare il tono complessivo della stagione, chiudendo per quanto ne sappiamo l’intero ciclo di Loki.

La scrittura dei personaggi non è ottimale nella figura di Victor Timely, né in quella di Sylvie, evolutasi in modo coerente e interessante, ma qui relegata in secondo piano in una forma di sviluppo potenziale. Risultano riuscite invece la scrittura e l’interpretazione di Mobius e Loki, incarnati rispettivamente da Owen Wilson (non al suo esordio in un ruolo drammatico, ma certamente in vesti non caratteristiche) e Tom Hiddleston, che chiude l’arco del dio norreno portandolo a una trasformazione a 180°.

La serie conta anche sull’efficacia umoristica di Ouroboros (con un Ke Huy Quan adulto ormai tornato alla ribalta dopo Everything, everywhere, all at once) e sullo sfruttamento astuto delle dinamiche dei loop temporali, ma forse proprio da questo punto di vista emerge quanto Loki sia separata dal resto del MCU: non solo ogni prodotto Marvel sembra dare versioni contrastanti o comunque diverse dei viaggi nel tempo e del multiverso, ma qui la trama è molto distaccata da quella generale (pur avendo implicazioni teoricamente esistenziali), con Loki e Kang che sono solo varianti dei personaggi visti nei film.

E forse è proprio questo il motivo dell’unicità di una serie MCU così apprezzabile, il fatto che non condivida i problemi di un universo condiviso ormai in declino: nonostante abbia introdotto quello che sarebbe dovuto essere il villain delle intere Fasi 5 e 6, sembra che la forza di Loki sia al contempo la debolezza del MCU.

Matilde Elisa Sala
Studio Lettere, mentre aspetto ancora la mia lettera per Hogwarts. Osservo il mondo con occhi curiosi e un pizzico di ironia, perdendomi spesso tra le pagine di un buon libro o le scene di un film. Scrivo, perché credo che le parole siano lo strumento più potente che abbiamo.
Nina Fresia
Studentessa di scienze politiche, curiosa per natura, aspirante giramondo e avida lettrice con un debole per la storia e la filosofia. Scrivo per realizzare il sogno della me bambina e raccontare attraverso i miei occhi quello che scopro.

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