Punta un numero, giocalo. Scegli una combinazione, punta, attendi l’estrazione, sarà quella vincente? Forse neanche questa volta. Non importa, la prossima sarà quella buona. Punta di nuovo, gioca. Un’ultima giocata e poi basta. Magari ancora due. Nella seconda le probabilità di vincita sono più alte. E allora punta ancora. Le offerte di gioco sono tante e tutti sono benvenuti nel variegato mondo del gioco d’azzardo. Ma cosa rappresenta questa attività ludica per la realtà quotidiana di moltissimi italiani? In che modo è regolamentata da chi ne tiene le redini?
Con gioco d’azzardo si intende una serie di attività in cui ricorrono denominatori comuni: una puntata in denaro, il fine di lucro desiderato dalle parti e il carattere aleatorio del risultato. Il caso, insomma, determina l’andamento del gioco. Vincita o perdita dipendono da lui, alla faccia del calcolo e delle abilità personali.
In Italia, questo tipo di gioco è legale, ma solo quando autorizzato dallo Stato, altrimenti costituisce reato. Siamo in presenza, quindi, di un monopolio pubblico.
Naturalmente, laddove ci sia un monopolio e, di conseguenza, una limitazione della libertà di iniziativa economica e privata, deve esserci necessariamente il perseguimento di un fine sociale o di utilità generale. Nel caso del gioco d’azzardo, le finalità sociali perseguite dallo Stato sono ben precise: tutelare la salute pubblica, sottrare il mercato del gioco dalle mani della criminalità organizzata e, nondimeno, guadagnare una quantità di denaro non indifferente attraverso le tasse trattenute (solo nel 2022, queste hanno raggiunto i 10,3 miliardi di euro).
Le finalità sembrano giustificare i mezzi. Eppure, qualcosa non torna, una falla nel sistema è ancora drammaticamente aperta: la ludopatia, meglio definita gioco d’azzardo patologico (GAP), è una delle dipendenze più diffuse, tanto che in Italia, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, i giocatori considerati considerati “problematici” sono circa un milione e mezzo. Fino a che punto, allora, possiamo giustificare i mezzi utilizzati dallo Stato alla luce delle finalità perseguite? Ma soprattutto, quali sono i punti di debolezza di queste politiche di regolamentazione?
Negli ultimi anni le dimensioni del gioco d’azzardo, soprattutto di quello online, sono aumentate moltissimo. In particolare, i dati del 2022 hanno fatto toccare al settore un nuovo record: oltre 136 miliardi di euro in giocate, con una perdita per gli italiani di circa 20 miliardi. Insomma, l’impressione è che anziché ridimensionare il settore del gioco d’azzardo, questo sia stato protagonista di una progressiva espansione.
Con la finalità di contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nel gioco, si è arrivati a un allargamento notevole del mercato legale, a discapito, tuttavia, di una delle finalità stesse perseguite dallo Stato, ossia la tutela degli utenti e, più in generale, della salute pubblica. «Il gioco legale può essere argine del gioco illegale, ma a condizione di una limitazione complessiva dell’offerta e dei punti vendita» ha ricordato Cafiero de Raho, vicepresidente della Commissione Antimafia.
Certamente un sistema di soli divieti non eliminerebbe questa piaga e anzi incentiverebbe il mercato nero del gioco, ma ciò non toglie che nell’attuale sistema di regolamentazione ci siano dei punti di debolezza che vanno affrontati: primo fra tutti, la mancanza di un discorso chiaro da parte dello Stato in termini di prevenzione. Le istituzioni dovrebbero prendere una posizione ferma e impegnarsi maggiormente nell’evidenziare i possibili rischi cui vanno incontro gli utenti del gioco. Ma a questo interesse, ovviamente, si contrappongono le invitanti quantità di denaro incassate dallo Stato attraverso le tasse.
Tra i sintomi del disturbo da gioco d’azzardo spiccano in particolar modo la necessità di giocare quantità di denaro sempre crescenti e la necessità di tornare a giocare dopo una perdita con lo scopo di recuperare il denaro perso e rimediare così ai fallimenti finanziari.
Eppure, ogni gioco è organizzato per fare in modo che il banco abbia un margine di guadagno fisso e sicuro; quindi, alla lunga i giocatori perdono sempre. Per questo motivo bisognerebbe garantire e promuovere una maggiore chiarezza sui numeri che riguardano il settore, oltre che un ridimensionamento dello stesso.
A questo si aggiunge il tema, più subdolo, del calcolo, o meglio, dell’idea che il calcolo possa in qualche modo influire sulla vincita o sulla perdita della giocata. Calcolo delle probabilità, intuizioni matematiche, “legge dei grandi numeri” sono soltanto alcuni degli strumenti matematici che si crede possano avere una qualche rilevanza su giochi che sono, per definizione, aleatori.
Il fascino della fortuna, del caso e dell’idea che quest’ultimo possa in qualche modo essere controllato o calcolato è più forte, irresistibile, cieco anche di fronte alle statistiche che ci ricordano che il banco vince sempre e che questo non è soltanto un modo di dire.
C’è poi tutta una serie di idee condivise, ma indimostrabili, che abbiamo sul caso: si tratta, in particolare, della “Fallacia dello scommettitore”, la credenza immotivata che eventi occorsi nel passato influenzino quelli futuri in situazioni governate dal caso, come per il gioco d’azzardo.
Questo errore logico porta a ritenere più o meno probabile un evento che non si è verificato per un certo periodo di tempo, o a ritenere più o meno probabile un evento che si è verificato di recente. Insomma, si tratta di una vera e propria distorsione cognitiva il cui risultato è quello di spingere a giocare, puntare, calcolare sempre di più.
Lo ricorda anche Dostoevskij ne ‘Il giocatore’, che descrive molto bene le dinamiche psicologiche legate al gioco: «Intanto osservavo e notavo; mi pareva che il calcolo in se stesso servisse molto poco e non avesse affatto quell’importanza che molti giocatori gli attribuiscono. Essi se ne stanno seduti davanti a foglietti di carta rigata, segnano i colpi, contano, deducono le probabilità, fanno calcoli e infine puntano e perdono come noi, semplici mortali che giochiamo senza calcoli».
Oltre alla necessità di introdurre misure di prevenzione, informazione e trasparenza più forti, è altresì necessario un cambiamento in termini di percezione pubblica di quello che è il gioco d’azzardo patologico.
Siamo di fronte a una dipendenza che ancora fatica a essere percepita come tale, probabilmente perché questa condizione non fa parte dell’immaginario comune e condiviso in tema di dipendenze e disturbi psicologici.
La consapevolezza sociale in materia, quindi, è ancora debole, spesso di nicchia, per lo più propria di chi ha toccato con mano questo tipo di condizione e di chi ha dovuto, per forza di cose, guardarla in faccia e affrontarla. E questo significa una sola cosa: servono campagne di sensibilizzazione. L’empatia, d’altronde, necessita di allenamento.
Negli ultimi anni il nostro ordinamento è intervenuto più volte per regolamentare ulteriormente il settore del gioco d’azzardo, ma quello che sembra ancora mancare, oltre che investimenti in campagne di sensibilizzazione sui rischi derivanti dal gioco, è una disciplina organica della materia (al momento regolata in modo frammentario da norme di varia fonte e natura), che tenga conto soprattutto dello sviluppo avuto dal mercato online che, a causa delle novità introdotte, riesce a sottrarsi più facilmente alla tradizionale regolamentazione.
Siamo quindi di fronte a un sistema complesso, variegato, dove questioni di profitto e di introiti invitanti si scontrano inevitabilmente con irrisolte questioni etiche e con costi sociali che sono sintomo di un mercato in cui le regole e i controlli, soprattutto in termini di prevenzione, necessitano ancora di miglioramenti.