Il femminismo islamico è un fenomeno diversificato e complesso, che assume declinazioni differenti a seconda del luogo e dell’epoca a cui si fa riferimento.
A partire dal XIX secolo, in diversi Paesi a maggioranza islamica, sia in Nord Africa che in Medio Oriente, il tema della parità tra uomo e donna conquista centralità all’interno del dibattito pubblico. I primi movimenti di emancipazione femminile nascono in seno alla Nahda, in arabo “rinascita, risveglio”, ovvero un periodo di rinascita della cultura e letteratura araba fortemente influenzato dalle nuove idee provenienti dall’Europa.
In questo contesto, l’emancipazione femminile era intesa come un passo necessario per la modernizzazione della società.
I contributi intellettuali del periodo della Nahda furono fondamentali per raggiungere i primi obiettivi sociali, come ad esempio i lavori svolti da Rifā‘a al-Ṭahṭāwī per quanto riguarda l’educazione di ragazzi e ragazze, che portò il governo egiziano a istituire le prime scuole femminili nel 1873.
A livello teorico, in generale tutti i movimenti pionieri dei diritti delle donne musulmane, per legittimare le proprie rivendicazioni, si mossero all’interno di un discorso che riscontrava in un’interpretazione misogina dell’Islam, non nell’Islam stesso, la causa fondamentale della segregazione femminile nelle società musulmane.
Nella prima metà del XX secolo iniziò a delinearsi una spaccatura fondamentale all’interno dei diversi movimenti femminili: una parte maggioritaria, che mirava a compiere le stesse battaglie portate avanti dalle femministe occidentali e una corrente minoritaria, che aspirava ad affermare una soggettività femminile all’interno della religione islamica e conforme alla cultura autoctona. Il deisderio di questa corrente era proprio quello di liberarsi dalle rappresentazioni coloniali e neo-coloniali che giudicavano la cultura locale e la religione islamica come la causa della condizione di inferiorità della donna.
Alla base di questa divisione vi sono le differenti interpretazioni della posizione della donna all’interno della religione islamica e nelle società arabe, che si possono riassumere in tre modelli principali: il modello tradizionalista, il modello negazionista e il modello interpretativo.
Il modello tradizionalista è caratterizzato dall’interpretazione letterale dei Testi: prevede una naturale inferiorità della donna nei confronti dell’Uomo e di conseguenza la disparità di trattamento.
Il rifiuto del modello tradizionalista dà vita al modello negazionista, che rappresenta la totale negazione della posizione tradizionalista: si tratta di una concezione radicale, portata avanti da donne musulmane emigrate in Europa e negli Stati Uniti, che si sono rese protagoniste di una forte polemica nei confronti dell’Islam, del Corano e del Profeta, ritenendoli responsabili di tutte le ingiustizie e sofferenze inflitte alla donne nei Paesi musulmani.
Le femministe negazioniste aspirano a una riforma drastica e radicale dell’Islam.
Infine, il modello interpretativo punta a una nuova interpretazione del Corano, in quanto, secondo le rappresentanti che sostengono questa concezione, i risvolti negativi sui diritti delle donne sono dovuti a una lettura del Corano istituita da uomini, che l’hanno successivamente utilizzata per la creazioni di leggi all’interno delle comunità patriarcali.
Le esponenti del femminismo interpretativo affermano che l’epistemologia coranica è assolutamente contraria alla concezione patriarcale e che, al contrario, permette di stabilire un punto di vista che afferma la parità tra sessi. Inoltre, rifiutano l’idea di imitazione delle battaglie femministe occidentali, centrale nel modello negazionista, poichè risulta inapplicabile nei Paesi musulmani.
Tra le autrici più importanti vi è Amina Wadud, secondo la quale il testo coranico rappresenta un incoraggiamento alla parità tra uomo e donna.
Un altro importante contributo è quello di Asma Barlas, che utilizza un approccio storico per analizzare i rapporti tra potere e sapere nel corso dei secoli, dimostrando che è sempre stata favorita una lettura non-egalitaria del Corano per legittimare strutture storiche e sociali patriarcali.
Ad oggi, il modello interpretativo risulta essere il più adatto per conciliare diritti delle donne e religione, che costituisce in molti Paesi la base della giurisprudenza. Il lavoro di Amina Wadud, Asma Barlas e tante altre donne musulmane è indispensabile per costruire un’interpretazione femminista del Corano e in generale un’immagine di un Islam più progressista, giusto e umanista.