
Il racconto visivo della Milano contemporanea è inevitabilmente compromesso. Parlare per immagini di una città in continua trasformazione, sempre più gentrificata e autoriferita, arroccata com’è sui suoi luoghi-simbolo, è una sfida che in pochi prendono sul serio.
Basta dare un’occhiata a qualche film italiano recente. La Milano oleografica di Supereroi, con le sue vedute da cartolina esasperate da una color correction satura e stucchevole, pensata apposta per non lasciare indifferenti, è il modello dominante. L’eccezione è un film come L’ultima notte di Amore, che trasforma Milano nel palcoscenico di un noir anni Settanta dove i personaggi sono una diretta emanazione dell’ambiente sociale, del milieu meneghino multiculturale che siamo abituati a conoscere.
Forse, per lasciarci travolgere da una rappresentazione sincera e personale della nostra città, non dovremmo guardare al cinema ma al fumetto.
Sono quasi 20 anni ormai che Paolo Bacilieri (autore veronese, classe 1965) rende le vie, gli edifici e i monumenti milanesi i veri protagonisti dei suoi graphic novel, dal pastiche falsamente autobiografico Zeno Porno e la magnifica desolazione al resoconto storico della Pinacoteca di Brera Ettore e Fernanda, passando per Fun, un saggio a fumetti sulle parole crociate che mescola realtà e finzione, narrativa popolare e arte “alta”. Milano è sempre graficamente (e dunque narrativamente) alfa e omega del racconto, un’ambientazione viva e vitale che si confonde di volta in volta con il tema del libro e arriva quasi a fagocitare i personaggi.

Lo stesso discorso vale per il lavoro più recente di Bacilieri, Basta a ciascun giorno la sua pena, una biografia a fumetti di Piero Manzoni alla quale l’autore ha lavorato per più di sette anni e che si propone come summa della sua poetica. Anche stavolta i fatti hanno luogo in una città precisa e riconoscibile a prima vista ma immaginaria nella sostanza, dove convivono il realismo mimetico delle architetture e la resa caricaturale di tutto il resto, esseri umani compresi.
Bacilieri non scade nella sterile ricostruzione accademica di un ambiente fisico e sociale. Ci catapulta al suo interno, trasfigurando ogni luogo-simbolo, ogni ipotetico punto di riferimento per gli abitanti della città, a partire dalla celebre Torre Velasca che, qui come altrove nella produzione dell’autore, appare di continuo, anche al di là della sua naturale collocazione geografica.
L’incipit mette subito in chiaro lo stretto legame tra i due grandi amori di Bacilieri, quello per il tessuto urbano e quello per la narrazione a fumetti.
Per le prime 20 pagine non vediamo altro che la Milano di inizio anni Sessanta, la Milano del boom economico, alle radici della metropoli alveare e cosmopolita che conosciamo, immortalata tanto nei suoi scorci più noti (da punti di vista comunque insospettabili) quanto in quelli più anonimi.
A movimentare il ritmo ci pensa la scansione dei riquadri: ora a tutta pagina, ora suddivisi su due piani orizzontali o verticali, gli scorci cittadini si danno al nostro sguardo candidamente, senza un ordine preciso. Proprio come le immagini di New York con cui si apriva Manhattan di Woody Allen, con la differenza che, al posto della maestosa Rapsodia in blu, in sottofondo scorrono le parole di El piscinin, una vecchia canzone popolare milanese che è anche la chiave per comprendere la parabola umana del “personaggio” Piero Manzoni.

Basta a ciascun giorno la sua pena conferma infatti l’interesse di Bacilieri per le figure più fraintese del panorama culturale italiano, molto più affascinanti e complesse di quanto le loro immagini storicizzate non facciano credere. Il fumettista aveva già adottato questo approccio in Sweet Salgari, che nel raccontare la vita del creatore di Sandokan fotografava l’Emilio Salgari più intimo, l’uomo dietro la macchina da scrivere, sfatando il mito del romanziere sedentario privo di esperienze concrete.
Piero Manzoni ha subìto una sorte analoga, e nell’immaginario collettivo è tuttora esclusivamente ricordato come “quello della Merda d’artista“, simbolo di un’arte provocatoria e incomprensibile che a scuola si fa appena in tempo a citare – spesso suscitando l’ilarità degli studenti. Il Manzoni di Bacilieri è invece prima di tutto un esteta, un dandy che insegue romanticamente l’opera d’arte totale. Dietro il suo viso infantile e la sua produzione votata al ready-made più estremo e prosaico si cela in realtà una visione critica del proprio ruolo nel proprio tempo, con l’arte pronta a diventare morboso oggetto dell’attenzione di élite sempre più chiuse in se stesse.
Anche per questo Bacilieri dedica molto poco spazio all’opera manzoniana più nota, e di tutte le altre, piuttosto che sulla ricezione del pubblico, decide di mostrare i processi creativi che hanno portato alla loro genesi. Anche la messa in pagina ne tiene conto, tanto che spesso ospita la sezione più squisitamente narrativa, con gli scorci di vita vissuta e le sperimentazioni spesso infruttuose, nei tre quarti superiori del foglio, e l’esecuzione del prodotto d’arte in parallelo, nel bordo inferiore, ricordando un’opera altrettanto stratificata sul piano formale come Rusty Brown di Chris Ware. Bacilieri si dimostra quindi attento alla dimensione tabulare del linguaggio che adopera, a scapito di quella sequenziale.
Il risultato è una biografia sui generis che procede per nuclei tematici: l’infanzia di Manzoni e la sua passione per i fumetti del Vittorioso, il rapporto quasi filiale con lo spazialista Lucio Fontana, i viaggi per l’Europa e l’amicizia con gli intellettuali del Bar Jamaica (altro luogo fantasmatico di una Milano che “esiste ancora” ma soltanto sulla carta geografica), e naturalmente il suo prematuro decesso, riproposto all’inizio e alla fine dell’opera.
La parabola umana e professionale di Piero Manzoni fu infatti intensa ma di breve durata.
L’artista morì d’infarto nel 1963, a soli 29 anni, e Basta a ciascun giorno la sua pena parte proprio da qui per ripercorrere i turbamenti interiori del protagonista. Lo stesso accadeva grossomodo in Sweet Salgari, dove Bacilieri mostrava il disagio del romanziere nell’attenersi ai contratti capestro con le case editrici. Le tappe cruciali della vita di Salgari scorrevano in parallelo alla messa in scena del suo suicidio, ma il sottotesto rimaneva fanciullesco e ironico, e il darsi la morte diventava sinonimo di liberazione da tutti i mali.
Alla dimensione dell’infanzia rimanda anche la vita di questo Piero Manzoni, che per la maggior parte del libro perde tempo al bar, legge, va al cinema, fa le ore piccole passeggiando per le strade di Milano, e ovviamente osserva tutto ciò che lo circonda.
Aprendo ogni sezione del volume con la riproduzione di un’opera dell’artista, Bacilieri confeziona un vero e proprio catalogo emozionale, un grande “contenitore di memorie” perfettamente in linea con i suoi lavori precedenti, che parte dalla propria città-feticcio e ne attraversa i simboli, senza rinunciare alle sfumature ironiche e dissacranti che una riuscita biografia su Manzoni richiedeva, come minimo.
Articolo di Emanuele Rossi Ragno