
Partiamo subito in medias res con una domanda: la scansione o la fotografia di un documento, di un libro, di un manoscritto, di una pergamena o di qualsiasi altro materiale corrisponde alla sua digitalizzazione? La risposta è…udite, udite, no!
Infatti, vi è una sostanziale differenza tra digitizzare e digitalizzare (in Italia questa distinzione terminologica è poco usata, a differenza dell’area anglosassone).
Digitizzare allude a quel procedimento di acquisizione di fotografie e/o scansioni di un bene: al prodotto finale sono automaticamente associati dei metadati “basici” (banalmente, data e titolo/identificativo foto, dati di storage come accade quando facciamo una normalissima foto con il nostro smartphone) ma non quelli tecnico-gestionali fondamentali per inserire il risultato della digitizzazione in un archivio nativo digitale vero e proprio.
Al contrario, la digitalizzazione risulta essere un intervento fisico e materiale di dematerializzazione del bene “originale”, che produce oggetti digitali costituiti da immagini, metadati automatici e tecnici e dalla sua descrizione. Quest’ultima è fondamentale, poiché da una parte crea il cosiddetto vincolo archivistico, cioè l’insieme delle relazioni logico-formali naturali e originali che esistono tra documenti, che costituiscono pertanto un complesso organico, il contesto, la rete in cui viene inserito il prodotto, in questo caso, di digitalizzazione.
Dall’altra traduce l’immagine in oggetto con valore di bene culturale a tutti gli effetti.
In altre parole, la descrizione sottopone l’oggetto digitalizzato – non digitizzato – alla tutela dello Stato.
Inoltre, questo procedimento associa all’immagine dei metadati descrittivi, tecnici, amministrativi e gestionali, quali ad esempio: il soggetto produttore (colui il quale durante la propria attività produce l’oggetto), il titolo o identificativo, gli estremi cronologici, le caratteristiche tecniche, le misure, la segnatura.
In sostanza, non è possibile digitalizzare un bene senza descriverlo e successivamente inventariarlo: l’inventario è uno degli strumenti di corredo che permette la fruizione del patrimonio archivistico.
La digitalizzazione di un archivio può essere effettuata solo ed esclusivamente dopo aver ottenuto l’approvazione della Soprintendenza archivistica e bibliografica competente (una in ogni regione), la quale riceve e valuta un progetto che deve essere conforme alle linee guida PND-Digital Library dettate dal Ministero della Cultura.
La scansione e la digitalizzazione del patrimonio deve essere effettuata da operatori dotati di un’adeguata preparazione professionale con l’utilizzo di strumenti hardware e software idonei.
Infatti, tale progetto deve necessariamente esplicitare almeno i responsabili dello stesso, dove e da chi saranno conservate le risorse digitali, le chiavi di accesso richieste, chi e come potrà consultare la banca dati creata. Si deve inoltre specificare che tipo di hardware e di software gestionali e di fruizione si intende utilizzare in corso d’opera, il formato del prodotto digitale e i metadati associati, il sistema di conservazione delle immagini create e le misure di backup.
La Soprintendenza valuterà il progetto, tenendo anche conto della sua fattibilità tecnica, i costi-benefici che ne derivano, se è necessario ottenere una copia digitale dell’archivio o di una parte di esso (in base anche alla frequenza con cui i documenti sono normalmente richiesti internamente e dell’utenza), l’unicità e la rarità del bene, la possibilità di poter essere fruito online anche per fini storici e di ricerca scientifica.
Bisogna infine tenere bene a mente che il prodotto finale della digitalizzazione è tecnicamente un archivio nativo digitale (diventa egli stesso un archivio originale dematerializzato), eventualmente aperto e soggetto a incrementi, pertanto è soggetto alla tutela dello Stato. Soprattutto, il processo di digitalizzazione non presuppone la distruzione degli originali analogici, che mai e poi mai andranno scartati.
Articolo di Federica Fornasiero.