Del: 13 Gennaio 2024 Di: Michela De Marchi Commenti: 0
Marco temporal. Il problema dei diritti degli aborigeni

Approvata dal Congresso del Brasile la legge che prevede l’applicazione del marco temporal. Ciò rappresenta un attacco grave e feroce ai diritti indigeni, infatti proprio per questo motivo, subito, l’Associazione dei popoli indigeni del Brasile (Apib) si è mossa con l’intenzione di fare nuovamente ricorso alla Corte suprema.

Con la nuova legge si concede maggiore libertà agli interessi minerari, dell’agrobusiness e ai ricchi proprietari terrieri; inoltre, si consente a trafficanti di legname, allevatori e invasori illegali di permanere sui territori indigeni finché non saranno ufficialmente demarcati. Ciò che non si sottolinea è che questo processo potrebbe richiedere anni o addirittura decenni, portando conseguenze negative per i popoli in questione.

Infine, è riconosciuto il concetto di “limite temporale”: con esso i popoli indigeni perderebbe il diritto sulle loro terre, a condizione che non si possa dimostrare il loro stabilimento prima dell’ottobre 1988, data della promulgazione della Costituzione brasiliana.

Ciò non è tutto. Con il marco temporale è previsto l’annullamento dei ricorsi presentati dalle popolazioni indigene, negli ultimi decenni, per la tutela delle loro “terre ancestrali”. La denominazione indica un’area abitata dalle popolazioni, le quali otterrebbero il diritto di proprietà e di sfruttamento esclusivo delle sue risorse. La legge, invece, autorizza l’avvio di progetti per la costruzione di strade, dighe e miniere, portando a un cambiamento radicale di quei luoghi e all’aggravarsi della deforestazione.

Inizialmente il caso aveva ricevuto un giudizio nel giugno 2021. Un primo contrasto era arrivato da Edson Fachim, ministro e relatore del processo, avverso al criterio del marco temporale, poi anche il ministro Alexandre de Moraes era intervenuto nella questione chiedendo di posporre la sentenza per esaminare meglio il caso. Il 25 agosto era stato ripreso, per essere nuovamente rimandato e poi sospeso il 15 settembre del medesimo anno dalla Corte suprema. Contemporaneamente, i leader indigeni avevano chiesto al presidente Luiz Inacio Lula da Silva la protezione delle popolazioni protagoniste del caso, come da lui promesso durante la campagna elettorale.

La richiesta era stata avanzata in quanto i leader in questione ritenevano che l’approvazione della legge fosse frutto della pressione della lobby dell’agribusiness sul congresso brasiliano, quindi si erano rivolti al presidente Lula, che si è sempre dichiarato contrario al marco temporale. Un comportamento molto differente rispetto al rivale, Jair Bolsonaro, il quale con la sua diligence, dal 2019, aveva attuato specifiche politiche contro gli indigeni, con lo scopo di favorire la deforestazione con un conseguente incremento economico.

Tornando a quest’anno, inizialmente si poteva prevedere uno spiraglio di luce. Il 28 aprile 2023 alcune comunità indigene della Foresta Amazzonica, infatti, hanno raggiunto un accordo storico, ottenendo la demarcazione di sei territori primordiali. “Oggi demarchiamo 6 territori indigeni, un passo importante”, ha commentato il presidente Lula, convinto che il governo esista per servire gli interessi del popolo.

A settembre, la Corte Suprema del Brasile era tornata sull’argomento, esprimendo un parare contrario alla legge, ma il parlamento l’aveva approvata lo stesso una settimana dopo. Anche in questo caso il presidente Lula si era schierato a favore degli indigeni, ponendo il veto su gran parte del contenuto, senza ottenere grandi risultati in quanto poi era stato a sua volta parzialmente annullato dal parlamento. Infine, al termine dell’anno, si è giunti all’approvazione della legge e con essa la distruzione del processo di demarcazione delle terre indigene.

Ovviamente ci sono stati numerosi pareri contrari e ribellioni all’approvazione, in primis le dimostrazioni da parte dei rappresentanti delle popolazioni indigene: a San Paolo esse hanno provocato il blocco dell’autostrada, dato fuoco a pneumatici come segno di protesta e infine usato archi e frecce per affrontare la polizia, che li ha dispersi con gas lacrimogeni.

Tra le numerose critiche, va ricordata quella legata all’imposizione del limite al 1988. Prima di quell’anno il Governo federale non aveva mai dialogato con molte popolazioni indigene con il fine di stipulare un accordo, anzi in molti casi le seconde erano state cacciate dai propri territori ancestrali dai governi brasiliani, soprattutto durante i 21 anni della dittatura militare, dal 1964 al 1985.

Sul tema sono intervenuti anche movimenti mondiali, come per esempio Survival International, associazione che si batte per i diritti dei popoli indigeni.

La direttrice generale Caroline Pearce,  sulla questione, ha dichiarato:

Questa legge fa a pezzi molte delle protezioni legali sulle terre indigene garantite dalla Costituzione, e le butta nella spazzatura. Dà a grandi aziende e bande criminali ancora più libertà di invadere i territori indigeni e di farvi ciò che vogliono. Segna la rovina di gran parte dell’Amazzonia e di tutte le foreste del Brasile.

Pearce ritiene, quindi, che con l’approvazione della legge si spianerebbe la strada alla riduzione o alla cancellazione di qualsiasi territorio indigeno del Brasile, che sarebbe poi sostituito da miniere, pozzi petroliferi o altri progetti industriali. I popoli protagonisti hanno potuto contare anche dell’appoggio di altri alleati, i quali hanno espresso il loro impegno a sostenerli nella difesa dei loro diritti.

Il marco temporale, quindi, non è una tutela nei confronti dei popoli indigeni. Essi soffrono ancora oggi le conseguenze di ingiustizie storiche, per citarne solo alcune, la colonizzazione, la sottrazione di terre e risorse, forme di oppressione e discriminazione. Costretti ad allontanarsi dai loro luoghi d’origine, gli indigeni sono schiacciati dalla società dominante,  inoltre, lo sfruttamento dei loro territori causa numerosi aborti e decessi per malattie, come il cancro. Ciò avviene perché, nelle aree in questione, vengono realizzati scavi minerari e coltivazioni intensive che avvelenano le falde acquifere e il terreno.

Nonostante ciò, è pensiero comune nell’industria brasiliana e nel Governo che gli indigeni posseggano territori troppo vasti in rapporto alle loro piccole comunità, con il conseguente inutilizzo di  molte aree. Ciò si scontra però con una realtà ben diversa: l’ecosistema terrestre e il patrimonio culturale e antropologico sono due beni estremamente protetti dalle popolazioni indigene, le quali danno il loro contributo costante alla manutenzione degli equilibri naturali amazzonici. Tra le attività in questione possiamo nominare la regolazione climatica e del regime piovano, l’abbassamento della temperatura e la limitazione alla deforestazione.

I prossimi anni potrebbero, quindi, vedere l’estinzione di 5.000 culture indigene, proprio causata dalle relazioni di dominio e dalla discriminazione da parte della società dominante, che considera queste culture come qualcosa da sradicare e trasformare. Sono pochi i Paesi che riconoscono il diritto alla terra per i popoli indigenie, quando viene riconosciuto, è minato da scavi minerari, infrastrutture e usi lucrosi delle terre, che vengono distrutte con pesticidi e fertilizzanti.

I popoli indigeni, quindi, devono subire numerosi abusi: marginalità sociale, negazione del diritto alla terra e razzismo sono solo alcuni dei fenomeni che li colpiscono in ogni parte del mondo. È necessario un impegno costante nella difesa dei diritti umani e delle terre indigene, da sviluppare tenendo presenti i principi fondamentali che caratterizzano la loro cultura.

Michela De Marchi
Studentessa di Scienze umanistiche per la comunicazione che aspira a diventare una giornalista. Sono molto ambiziosa e tendo a dare il meglio di me in ogni situazione. Danza, libri e viaggi sono solo alcune delle cose che mi caratterizzano.

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