Ogni due mesi, il giorno 27, 5 serie TV per tutti i gusti: The Sofa Chronicles è la rubrica dove recensiamo le novità più popolari del momento, consigliandovi quali valga la pena guardare comodamente sul divano e quali no.
I Leoni di Sicilia, Stagione 1, Disney+ (Paolo Genovese) — Recensione di Nina Fresia
Bagnara Calabra è sconvolta dall’ennesimo terremoto a cavallo tra Settecento e Ottocento quando Paolo Florio (Vinicio Marchiori) decide di portare la sua famiglia, composta dal fratello Ignazio (Paolo Briguglia), la moglie Giuseppina (Ester Pantano e Donatella Finocchiaro) e il figlioletto Vincenzo, a Palermo in cerca di fortuna. E la troverà: a partire dalla faticosa apertura della “putìa” (bottega) di spezie del padre e dello zio, e passando attraverso il loro successo come commercianti nonostante l’antagonismo della nobiltà siciliana, Vincenzo Florio (Michele Riondino) intraprenderà brillanti iniziative industriali che lo porteranno a essere una delle figure più influenti dell’epoca. Centrale per la storia è l’ossessiva ambizione di Vincenzo, ereditata direttamente dal padre, il cui unico pensiero era quello di nobilitare il nome della sua famiglia. E anche se in termini di successo economico e imprenditoriale ci è riuscito in pieno, cercherà sempre di ottenere un titolo aristocratico per avere il riconoscimento e il rispetto dell’odiato ceto di signori ormai decaduti o sull’orlo della disgrazia. La vicenda dei Florio si sviluppa anche attraverso gli intrecci relazionali tra i tanti personaggi, come l’onesta amicizia tra Vincenzo e l’imprenditore inglese Ben Ingham, il suo complicato amore con Giulia Portalupi (Miriam Leone) o lo schizofrenico rapporto di questa con Giuseppina. Lo sfondo è quello della città di Palermo che cambia e si evolve, ma rimane inalterata nella sostanza. Ed è ottima l’interpretazione di Riondino di un personaggio complicato e multiforme come Vincenzo Florio, che attraversa fasi storiche cruciali per la Sicilia e l’Italia intera senza scalfire la sua lungimirante genialità. Le sue contraddizioni sono sia la sua forza che la sua debolezza, insieme al suo perfezionismo che raramente viene soddisfatto quando si tratta di legami umani. È forse più difficile dimostrare alle donne della sua vita (madre e moglie) l’amore incondizionato che prova per loro, che importare la rivoluzione industriale nella sua terra.
Fellow Travelers. Compagni di viaggio, Miniserie, Paramount+ (Ron Nyswaner) — Recensione di Matilde Elisa Sala
Sono gli anni Cinquanta e negli Stati Uniti domani il maccartismo. In una clima politico molto duro, basato su una severa repressione nei confronti di persone o organizzazioni filo-comuniste e membri delle comunità queer, il cinico Hawkins Fuller (Matt Bomer), in apparenza tipico uomo di Stato, rigido e forte, cerca di tenere nascosta la sua omosessualità. Ma diventerà molto più difficile farlo quando incontrerà il giovane Tim Laughlin (Jonathan Bailey). I due si innamorano, ma sono costretti a incontrarsi segretamente e clandestinamente per subire ripercussioni. La serie segue le vicende dei due protagonisti nel corso degli anni, durante i quali si perderanno più volte, per poi riuscire a ritrovarsi sempre. Tratta dall’omonimo romanzo di Thomas Mallon, Fellow Travelers racconta una storia d’amore, tragica ma splendida, vittima di una società piena di pregiudizi e di discriminazioni, che costringe le persone a nascondere ciò che sono realmente e, talvolta, persino a reprimerlo. Il messaggio che la serie cerca di trasmettere al pubblico è forte e molto chiaro, grazie anche all’interpretazione dei due attori protagonisti: Bomer e Bailey hanno una chimica incredibile, una capacità di trasmettere dolore, frustrazione, rabbia e molto amore, anche con un semplice sguardo. Per un occhio attento al mondo circostante, non sarà difficile rendersi conto che la situazione di quegli anni, purtroppo, non si discosta molto dalla situazione attuale. Ad oggi, 2024, ci sono sicuramente stati dei progressi, ma è avvilente rendersi conto che molti membri della comunità LGBTQ+ siano ancora costretti a vivere in realtà fortemente chiuse e bigotte. Come ha voluto ricordare Bailey nel suo discorso ai Critics Choice Awards, la comunità LGBTQ+ è sempre esistita, anche se nascosta per la maggior parte del tempo. L’augurio è che questa serie possa diventare un importante insegnamento per chiunque la guarderà.
Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo, Stagione 1, Disney+ (Rick Riordan, Jon Steinberg) — Recensione di Michele Cacciapuoti
Che fossero i razzisti alle versioni non bianche dei protagonisti o i fan devoti ai
libri originali, la prima puntata deve aver fatto ricredere molti scettici. La serie
di Disney+ infatti mantiene la fedeltà all’originale tanto ostentata dal creatore
Riordan, in contrapposizione esplicita ai film del 2010-2013: dall’età dei
personaggi ai principali snodi della trama, passando per i titoli stessi di ogni
puntata, la sensazione è quella di star rileggendo il libro.
Senza con ciò appiattirsi su una riproposizione pedissequa, sfruttando anzi le
potenzialità del mezzo televisivo: la serie mostra più punti di vista tramite il
ricorso al montaggio alternato, costella la trama di flashback approfonditivi sul
retroscena familiare di Percy, racconta la vita di Efesto tramite i murales.
Meccanismi sfruttati però insufficientemente: restano eccessivi i momenti in cui
a flashback e azione viene sostituito lo strumento del dialogo; a ciò si
aggiungano i combattimenti ridotti letteralmente a pochi secondi (forse per un
problema di CGI, visibile nel caso di Cerbero), eccetto per il Minotauro. Sono in
realtà stati cambiati elementi importanti della trama in modo poco sensato, ma
giudicabile definitivamente solo davanti al finale di settimana prossima.
Il vero problema è che la serie sembra stretta fra la tensione enciclopedica di
Riordan e la volontà di appellarsi a un pubblico anche inesperto, da cui il
dialogismo didascalico e il modo precoce con cui, entro un minuto dalla loro
apparizione sullo schermo, i protagonisti identificano ciò che hanno davanti a
sé (Medusa, la Chimera, Ares, Procuste… Si salva Echidna): viene a perdersi la
suspence caratteristica insita in un fantasy urbano in cui i nemici sono mostri in
abiti “civili”. Fra i pregi, la caratterizzazione di Ares e i fondali dell’Ade; fra le
pecche, il Caronte semi-dantesco che perde l’essenza di psicopompo che aveva
nei libri
Per Elisa – il caso Claps, Miniserie, RaiPlay (Marco Pontecorvo) — Recensione di Viviana Genovese
Elisa è uscita di casa per andare a messa in una radiosa domenica di settembre del 1993. Da quel giorno il suo destino rimane celato nel mistero lungo un arco temporale di 17 anni, che si srotola tra depistaggi, segreti ed errori commessi durante le indagini sulla tragica scomparsa della giovane di Potenza. Questa è la vicenda che si sviluppa nella stimata fiction, trasmessa in prima visione su Rai 1 dal 24 ottobre al 7 novembre 2023 e già disponibile su Rai Play, che narra uno dei casi di cronaca nera più noti in Italia. Calorosamente consigliamo la visione di questo prodotto prezioso e minuzioso, che si distingue per la sua capacità di intrecciare il fascino psicologico alle sfaccettature contorte di una trama avvolta in un intrigo avvincente, ideale per gli appassionati di casi crime reali. Infatti, la docuserie mette tutte le carte sul tavolo, mantenendo costantemente alta tensione attraverso la svelatura graduale di nuovi elementi, e suscitando curiosità e coinvolgimento emotivo. Inoltre, offre uno sguardo dettagliato della figura sinistra dell’omicida, rivelando un individuo in grado di ingannare e manipolare le persone intorno a lui con sembianze e comportamenti poliedrici.
Oltre a esplorare la mente dell’assassino, la serie si propone di delineare la vita quotidiana di Elisa Claps, evidenziando la sua personalità e le relazioni che la legavano alla sua famiglia. In particolare, viene approfondito il coraggio straordinario e la determinazione con cui la sua famiglia ha affrontato l’accaduto, persistendo nella ricerca della verità senza mai arrendersi.
Skam Italia, Stagione 6, Netflix (Ludovico Bessegato) — Recensione di Matilde Elisa Sala
Torna su Netflix una delle serie tv più amate dal pubblico italiano, Skam Italia, che ha per protagonisti adolescenti alle prese con scuola, amore, mondo esterno e scoperta di sé. La protagonista della sesta stagione è Asia (Nicole Rossi) ragazza forte, sicura di sé, leader della lista Rebelde a scuola, deliberatamente antifascista, contro le discriminazioni e a favore della parità. O almeno è così che lei si presenta agli altri: Asia in realtà è fortemente insicura, vive l’instabilità di una relazione a distanza, e si arrabbia per questi ricchi giovani che vivono “nella bambagia” e che se ne fregano di ciò che accade nel mondo. Rendendosi conto di non poter controllare tutto, Asia decide invece di avere il controllo su un’unica cosa: l’alimentazione. La ragazza soffre infatti di un disturbo del comportamento alimentare. Di fronte a quello che è recentemente successo, la scelta di questa tematica è ancora più importante: la serie mostra, in maniera molto fine e delicata, le cause e gli atteggiamenti tipici di chi soffre di un DCA e come questo sia una vera e propria malattia che deve essere curata, qualora ce ne sia la volontà. Nonostante lo scetticismo di fronte a una stagione senza i personaggi caratteristici di Skam e, soprattutto, di trattare questa tematica senza partire da Silvia (Greta Ragusa), con la quale il discorso era già stato introdotto nelle stagioni precedenti, Skam è sempre un’ottima serie tv, piacevole e stimolante (sarebbe però forse stato adeguato un trigger warning all’inizio della prima puntata). Per coloro che non reputano i DCA dei disturbi o delle malattie, prendetevi del tempo per guardare questa serie, riflettere e imparare a immedesimarvi anche nei problemi delle altre persone.