Non è una canzone di Gaber, ma una domanda legittima davanti alle ambiguità che per forza di cose scaturiscono da una protesta articolata come quella che sta interessando diversi Paesi europei da fine 2023, quando si scontra con le semplificazioni binarie del discorso pubblico.
Ambiguità non tanto nel senso del “doppiopesismo” riservato da alcuni esponenti del centrodestra italiano a modalità di protesta come blocchi stradali (anche pericolosi) e abbattimenti di statue, a seconda che gli autori siano agricoltori o ambientalisti.
Essa va piuttosto ricercata nel merito delle manifestazioni: il settore agricolo sarà particolarmente colpito a lungo termine dagli effetti del cambiamento climatico, eppure protesta anche contro le politiche ecologiste dell’UE; in Italia il movimento dei trattori si rivolge polemicamente contro il governo Meloni, ma diversi esponenti di quest’ultimo sembrano averne sposato le cause.
La lettura “anti-meloniana” della protesta può essere stata rafforzata dal riflettore che vi ha puntato il Festival di Sanremo, teatro di prese di posizione invise all’attuale maggioranza già da prima della direzione di Amadeus; eppure, a leggere le motivazioni degli agricoltori (dall’opposizione ai divieti eco-burocratici di Bruxelles alla richiesta di aiuti economici), non sembra di poter rintracciare grosse divergenze rispetto alle politiche ideali di Fratelli d’Italia e Lega. Meloni viene cioè contestata per delle scelte che de facto ha preso (forse per ragion di Stato), ma che non rappresentano sue battaglie di bandiera.
Per sciogliere alcuni dubbi occorre indagare le richieste di questo movimento, le cui manifestazioni Vulcano ha già provveduto a ricostruire dal punto di vista degli avvenimenti.
I motivi sono in realtà differenti: si spazia dal malcontento per l’aumento dei costi energetici, parallelo alla diminuzione dei ricavi e dunque dei guadagni agricoli, passando per l’opposizione in Europa centro-orientale alla competizione ucraina sul grano, percepita come sleale; grande obiettivo polemico sono infine le politiche ambientaliste proposte dall’UE.
Per quanto riguarda l’abbassamento dei guadagni, le richieste degli agricoltori risultano relativamente fondate, per quanto il settore primario sia tutt’oggi uno dei principali beneficiari dei sussidi comunitari (che ancora nel 2018 rappresentavano quote considerevoli del reddito agricolo, pur con differenze nazionali) iniziati nel 1962 con la Politica Agricola Comune della CEE.
Quest’ultima è anche legata ai risentimenti nei confronti dei prodotti ucraini che oggi beneficiano degli accordi mediati dall’ONU sul trasporto tramite il Mar Nero e soprattutto dei “corridoi di solidarietà” istituiti nel 2022 dall’UE, de facto abolendo a scopo umanitario i dazi sull’importazione. L’Ucraina spaventa dunque i governi centro-orientali, anche perché qualora entrasse nell’Unione Europea attrarrebbe buona parte dei sussidi della PAC, calcolati in base all’area agricola (in cui Kyiv primeggia).
Analogamente, c’è chi protesta contro la concorrenza sleale dei prodotti sudamericani (sottoposti a standard qualitativi diversi da quelli UE), a seguito del trattato di libero scambio con il Mercosur avviato nel 2019.
Sono però le politiche ambientaliste comunitarie a rivelare le vere contraddizioni. Anch’esse sono variegate (dal divieto di certi pesticidi al disincentivo verso il biodiesel), contemplando diverse linee d’azione spesso confuse quando si parla di ecologismo: la lotta all’inquinamento e al disboscamento, la riduzione dei gas a effetto serra e in generale del cambiamento climatico, la preservazione della biodiversità.
A questo proposito forse c’è alla radice un più generale equivoco da risolvere, per quanto col senno di poi possa risultare banale: le proteste degli agricoltori non sono sotto il segno dell’ambientalismo. Il retroscena politico-culturale di queste manifestazioni risiede piuttosto in un pensiero che all’ecologismo e ai Verdi è spesso contrapposto, quello agrario.
Un tempo più diffusi ma oggi ancora presenti in gran parte d’Europa, i partiti agrari raccolgono a dire il vero una gamma di posizioni sì varia ma entro certi limiti: è difficile trovarvi ad esempio partiti di sinistra, ne esistono al massimo di progressisti sui diritti civili (come il Centerpartiet svedese), ma gran parte di essi si attesta quantomeno sul “conservatorismo verde”. Sono spesso partiti cristiani (quale l’AGROunia polacca), talvolta anti-immigrazionisti (come l’UDC svizzera, la Venstre danese e l’anti-abortista Partito di Centro islandese).
Più diviso è il posizionamento nei confronti dell’UE: se molti sono euroscettici (dal BBB olandese al filorusso AKKEL in Grecia, passando per il PPM monarchico in Portogallo e il Senterpartiet norvegese), ve ne sono non pochi di europeisti, come il PSL polacco o l’ASV slovacco.
I più antichi nacquero fra il XIX e il XX secolo a difesa degli interessi contadini (rimasti nel nome di molti di questi partiti, spesso tradotti in peasant party), ma quello che li unisce a livello transnazionale oggi è soprattutto un’impronta economica liberista, nell’ottica della deregolamentazione e del decentramento a favore dei piccoli agricoltori. Meno tasse, meno burocrazia, meno regole – ma comunque con chi chiede politiche protezioniste contro i prodotti esteri e sussidi alla produzione interna. Da questo punto di vista, l’analogia con il movimento dei trattori c’è tutta.
Per quanto riguarda i Paesi membri dell’UE, molti di questi partiti aderiscono al gruppo euro-parlamentare dei Popolari, il centrodestra liberale moderato di Von der Leyen. Altri però si sono posti diversamente: nel 2020 l’AKKEL greco è entrato nel partito euroscettico EFDA (in cui figura anche il Partito Animalista Italiano), aderente al gruppo Conservatore-Riformista (insieme a Fratelli d’Italia e Vox); all’EPCM cristiano invece aderiscono i monarchici portoghesi e i Cristiani Democratici romeni, usciti dai Popolari. D’altronde, AKKEL nel 2019 aveva aperto a un’alleanza euroscettica con il Movimento 5 Stelle.
Solo un paio di partiti agrari aderisce ai Verdi europei di centrosinistra: si tratta del Partito Ecologico Democratico tedesco e dell’Unione Lituana di Agricoltori e Verdi, più vicini alle istanze ambientaliste. Coerentemente con l’impostazione liberista, infatti, il resto di questi partiti si oppone all’idea di “Verdi” che più facilmente ci viene in mente, quella eco-socialista della regolamentazione e delle eco-tasse (per quanto molti partiti agrari abbiano collaborato coi socialdemocratici). Questo non nega che si possa pur sempre parlare di ambientalismo: peculiare è il ramo dei “partiti agrari nordici”, che in Scandinavia condividono il proposito decentralizzante e liberista (tanto da chiamarsi nel 60% dei casi “Partito Centrista” e da aderire per il 90% ai Liberali europei).
Ad esempio in Svezia il Centerpartiet promuove iniziative ambientaliste individuali e consensuali da parte dei proprietari terrieri, piuttosto che imposizioni statali; il Partito Progressista islandese ha fatto opposizione a Sinistra – Movimento Verde, almeno finché nel 2017 non è fuoriuscita la costola più conservatrice, il Partito di Centro che ha proposto di insegnare nelle scuole il negazionismo sul cambiamento climatico. Diverso il caso dei Cristiani Democratici svedesi, che imposta l’ecologismo sul principio teologico della stewardship, la responsabilità amministratrice dell’umanità nei confronti del Creato divino.
Il quadro è dunque vario e non significa comunque che tutti questi partiti agrari siano implicati nelle attuali proteste (come invece avviene col BBB olandese). In Italia, anzi, nemmeno l’associazione di categoria Coldiretti sembra avere appieno la presa sul movimento, che la accusa di collusione col sistema governativo per aver sostenuto alcune politiche UE: gli organizzatori del movimento sono piuttosto gruppi spontanei organizzati anche sui social, come Vanghe Pulite, CRA e Riscatto Agricolo.
Quella che emerge è però da un lato la distanza (se non contrapposizione) verso l’ecologismo europeo e, dall’altro, la parziale coincidenza con gli ideali dell’attuale centrodestra: no alle imposizioni dei burocrati di Bruxelles liberal e lontane dai veri bisogni della gente; linea economica vagamente ispirata alla destra sociale ma declinata come una riduzione dell’intervento statale in materia fiscale e di regolamenti, e una sua espansione nel campo dei sussidi.
Del resto, la PAC stessa è definita dallo storico Varsori una misura protezionista, peraltro mossa anche dall’identità moderata e cristiana di gran parte della popolazione agricola degli anni Sessanta.
Inoltre, anche se non sono gli organizzatori delle proteste, in tutta Europa diversi partiti di destra più o meno radicale tentano di egemonizzarle: il Guardian menziona l’AfD tedesca e il BBB (primo partito nel Senato olandese, minaccia da destra quella che ancora è descritta come la novità elettorale sovranista, il PVV di Wilders). Persino negli USA la stampa conservatrice inneggia alla rivolta rurale qualora dovessero concretizzarsi imposizioni ambientaliste da parte di Biden («wok[e] liberal socialists», dicono i commenti, e il modello è l’anomia western di Yellowstone).
E in Italia? Da un lato parte del movimento è entrata in contatto con il neofascismo di Forza Nuova e Calvani (leader del CRA) aveva guidato nel 2013 il Movimento dei Forconi, anch’esso implicato nell’estrema destra; tuttavia qualcosa si può aggiungere, almeno rispetto ad altri Paesi europei.
L’adesione della destra più mainstream (da Salvini a Lollobrigida), per quanto possa essere interpretata come gioco di potere contro Meloni nel caso del leader leghista, risponde a un milieu culturale in cui i trattori si sono per certi versi inseriti: si tratta del sovranismo che da politico-giurisdizionale diviene culturale, che trova un nemico nella farina di grillo e che tutt’oggi insiste sullo stereotipo dell’Italia che “potrebbe vivere solo di turismo” e di sacre tradizioni culinarie. È la reinterpretazione della “sovranità alimentare”, concetto apparso sui cartelloni degli agricoltori francesi e aggiunto al nome del ministero di Lollobrigida ma che, viene il dubbio, in Italia più che come estensione del diritto alla sicurezza alimentare viene equivocato come lotta alla carne coltivata.
E il ministro Lollobrigida (che romanticizzava «l’odore di letame» contro i radical chic, pur con alterne fortune) non ha inventato nulla: lo faceva già Salvini nel 2019 supportando le proteste dei pastori sardi. Un nuovo tipo di populismo agrario, riporta il Guardian, che unisce il complottismo all’idea del legame fra suolo e sangue.
E che ha successo: i governi francese e irlandese hanno fatto retromarcia su sussidi, burocrazia e Mercosur; quello tedesco invece sulle tasse; la stessa Commissione UE ha ridotto la pressione “ecologista” sul settore primario, su spinta peraltro degli stessi Popolari minacciati da destra (e influenzata, si sostiene, dalle imminenti elezioni europee).
Con i tradizionali Verdi in crisi, con il generale Vannacci che accusa gli ambientalisti di operare contro la natura (idee che si stanno facendo strada anche nel PD) e una destra che al di fuori dei simboli è lontana dalla nouvelle droite dei Campi Hobbit, a queste istanze la maggioranza di oggi sembra sensibile.