Vogue, Anne Hathaway, protesta. Cosa lega queste parole? La risposta è semplice: a fine gennaio, le strade di New York hanno visto lo sciopero di 24 ore di alcune testate del gruppo Condè Nast e la co-star di Meryl Streep ne Il Diavolo Veste Prada non si è tirata indietro. L’attrice, nel bel mezzo di un servizio fotografico per Vanity Fair, ha abbandonato la Freedom Tower (dove hanno sede le testate su cui regna Anna Wintour) per unirsi alla manifestazione. A riportare per primo la notizia è Variety, che ha ricostruito l’episodio.
La protesta arriva dopo che Condé Nast ha annunciato, il 1° novembre, di voler tagliare il 5% della sua forza lavoro.
I dipendenti di Vanity Fair, Vogue, GQ, Allure, Condé Nast Entertainment, Architectural Digest, Glamour, Self, Teen Vogue e altre pubblicazioni Condé Nast hanno, di conseguenza, marciato tenendo una manifestazione davanti agli uffici dell’azienda.
Per fare chiarezza, Condé Nast è una global media company, i cui contenuti raggiungono circa 1 miliardo di consumatori nei 32 mercati in cui è presente. Per citarne alcuni Cina, Francia, Germania, India, Giappone, Messico e America Latina, Russia, Spagna, Taiwan, Regno Unito, Stati Uniti e Italia. Lo scopo dell’azienda è di avere un effetto culturale sul pubblico, infatti crea e distribuisce contenuti su piattaforme diverse: con le sue invenzioni punta a definire nuovi modelli di comunicazione e format. L’impatto sociale dei brand di Condè Nast, quindi, è molto forte e nella maggior parte dei casi essi anticipano le tendenze o influenzano le mode che devono ancora venire.
Tornando ai motivi della protesta, qualche mese fa l’azienda aveva previsto un taglio del 5% della forza lavoro: in seguito, il piano è stato modificato ed è stato annunciato il licenziamento di 94 iscritti ai sindacati, circa il 20% del sindacato Condé Nast.
Questa decisione ha suscitato polemiche e, nonostante le forti opposizioni già espresse, l’azienda non ha cambiato la sua scelta: a inizio gennaio ha emesso la volontà di mantenere i 94 tagli e di dimezzare la proposta di licenziamento. Di conseguenza è stato organizzato lo sciopero di 24 ore, programmato inizialmente il giorno delle nomination agli Academy Awards: un segno di protesta contro la gestione illegale delle trattative sui licenziamenti e delle contrattazioni.
«Gli ultimi tre mesi di lotta per i nostri colleghi in cassa integrazione ci hanno portato fino ad oggi», ha dichiarato in un comunicato Ben Dewey, vicepresidente dell’unità CNE della Condé Nast Union. «Il nostro sciopero di 24 ore mira a mostrare al management di Condé Nast che non tollereremo la mancanza di rispetto al tavolo delle trattative per questi licenziamenti. È tempo di iniziare a contrattare in buona fede con noi».
A ciò si aggiunge anche la denuncia sporta dalla NewsGuild di New York (l’unione dei professionisti dell’informazione nella capitale americana dei media) per le pratiche lavorative sleali per conto della Condé Nast Union.
Susan DeCarava, presidente della NewsGuild di New York, ritiene infatti che «I dipendenti dei media di Condé Nast meritano che il loro impiego sia rispettato sul posto di lavoro e al tavolo delle trattative». Lo sciopero secondo DeCarava è stato organizzato anche con il fine di ricordare al management di Condè Nast il grande valore dell’operato, quindi è corretto contrattare per i tagli previsti.
Nel frattempo, Anne Hathaway, nel suo camerino agli studios di New York, si stava preparando per un servizio fotografico, quando il sindacato degli Screen Actors Guild-American Federation of Television and Radio Artists, noto come SAG-AFTRA, ha annunciato la manifestazione. Di fronte alle motivazioni dei dipendenti, ovvero i licenziamenti e le riorganizzazioni interne a Condé Nast considerate ingiuste, l’attrice ha immediatamente espresso la massima solidarietà e ha bloccato il set.
«Ha lasciato la Freedom Tower, quando ha appreso della manifestazione – ha dichiarato un testimone – La stavano truccando e le stavano sistemando i capelli, non avevano ancora cominciato a fotografare. Quando Anne ha capito cosa stava succedendo in strada, si è alzata dalla sedia e se ne è andata».
Il bagno di sangue nel settore non nasce dal nulla, anzi è iniziato qualche anno fa a causa del calo delle vendite, della crisi economica post pandemica e della difficoltà della carta, in un mondo in cui l’editoria sopravvive a stenti.
I tagli di Vogue, infatti, sono stati anticipati dalla chiusura della rivista di critica musicale Pitchfork, annunciata da Anna Wintour, la quale «non ha avuto neanche l’accortezza di guardarci in faccia e togliersi gli occhiali da sole neri…», secondo quanto affermato da uno dei dipendenti.
Wintour, che ricopre il ruolo di chief content officer di Condé Nast e di direttore editoriale globale di Vogue, ha spiegato i cambiamenti in una nota allo staff dell’azienda, scrivendo: «Oggi stiamo evolvendo la struttura del nostro team Pitchfork. Questa decisione è stata presa dopo un’attenta valutazione delle prestazioni e di quello che crediamo sia il miglior percorso da seguire per il marchio, in modo che la nostra copertura musicale possa continuare a prosperare all’interno dell’azienda».
Anche l’amministratore delegato di Condé Nast, Roger Lynch, è intervenuto per chiarire le motivazioni delle misure di riduzione dei costi, a suo avviso per migliorare l’efficienza. Secondo Lynch, le priorità odierne dell’azienda sono essenzialmente due: ridurre i costi attraverso il consolidamento degli spazi per uffici e riorganizzare alcuni progetti a lungo termine. «Le riduzioni previste avverranno nei prossimi mesi e ammontano a circa il 5% di tutti i ruoli del personale. Non esiste un modo semplice per condividere queste notizie e il nostro obiettivo sarà quello di rendere questa transizione il più semplice possibile per i nostri colleghi» ha concluso Lynch.
Immediatamente le immagini dello sciopero sono dilagate in rete, come per esempio i cartelli con la scritta: «I licenziamenti sono fuori moda». Inoltre, in un video condiviso su X si potevano sentire i membri dello staff in protesta cantare: «i capi indossano Prada, i lavoratori ottengono nada!». Sul medesimo social, intanto, il sindacato ha ringraziato Anne Hathaway: «Grazie Anne per non aver attraversato i nostri picchetti».
Il futuro, insomma, sembra tutt’altro che roseo.