Del: 20 Aprile 2024 Di: Andrea Pravato Commenti: 1
Il Pnrr rivela una mancanza di strumenti di policy in Italia

Il 12 Marzo, la premier Meloni, durante la cerimonia di firma dell’Accordo per lo sviluppo e la coesione tra il governo e la Provincia autonoma di Bolzano, ha avuto l’occasione per rammentare i traguardi raggiunti dall’Italia con il Pnrr: ha dichiarato con toni trionfalistici che l’Italia è stata «la prima nazione in Europa ad aver completato gli obiettivi della quinta rata» e ad aver «rinegoziato il Pnrr» (min. 34:00).

Una notizia positiva, dato che le scadenze temporali imposte dall’UE per la presentazione dei progetti devono essere rispettate, pena il blocco dei fondi. Ma analizzando quelle che sono le politiche pubbliche adottate ed il modo in cui sono state implementate, emergono tutti i limiti dell’apparato pubblico italiano. Tralasciando le frodi fiscali sotto indagine legate al PNRR, che a fine 2023 erano ben 179, ciò che manca all’Italia è un approccio di policy, che implica mancanza di programmazione e monitoraggio delle politiche pubbliche intraprese.

Un esempio? Il sub-investimento M6C2 I1.1.2,  parte della Missione 6 del PNRR, ossia delle politiche pubbliche rivolte alla sanità. 

Più in particolare questo sub-investimento riguarda il Rinnovamento delle attrezzature ospedaliere ad alto contenuto tecnologico, come TAC o mammografi per esempio, da acquistare in sostituzione di tecnologie obsolete o fuori uso (oltre 5 anni), con un investimento previsto di quasi due miliardi di euro. Secondo il progetto, entro il 2022 si sarebbero dovute concludere le gare d’appalto con la firma dei contratti con i fornitori vincitori ed entro il 2024 le nuove attrezzature sarebbero dovuto essere operative. 

Ma le previsioni iniziali sono state del tutto ricalibrate dalla realtà dei fatti e le scadenze completamente ritracciate. A partire dalla gara d’appalto che è stata pubblicata, e non conclusa, entro dicembre 2022, fino all’installazione delle macchine con la scadenza rimodulata a dicembre 2026. Tra le motivazioni che hanno portato alla ripianificazione delle scadenze, oltre all’aumento dei prezzi e ai ritardi nell’approvvigionamento delle materie prime, compaiono anche le necessità organizzative dei soggetti attuatori. Il risultato di questa disorganizzazione dell’apparato statale, che ha peccato di capacità analitiche e progettuali, è l’installazione di macchine ospedaliere nel 2026 con tecnologie in corso di obsolescenza, essendo state acquistate sulla base di un bando del 2021.

Certamente le cause sono molteplici, a partire da quelle inattese: su tutte l’aumento dei prezzi delle materie prime dovuto allo scoppio della guerra in Ucraina . Ma se le crisi sono inaspettate e spesso passeggere, vi sono invece dei problemi nel settore pubblico italiano che sono strutturali e più difficili da affrontare. In moltissime comparazioni internazionali l’Italia riporta valutazioni negative riguardo all’effettiva capacità di governo

Tra i parametri che definiscono la capacità dell’esecutivo rientrano la capacità strategica, l’uso di strumenti di intervento basati sull’evidenza, il coordinamento interministeriale, l’adattabilità, le consultazioni sociali, l’implementazione e la comunicazione delle politiche intraprese. 

Questi parametri sono direttamente collegati alle diverse capacità degli Stati di progettare politiche pubbliche secondo l’approccio della policy analysis, e l’Italia ha dimostrato di non essere in grado di adottare questo metodo. In Italia è ingombrante lo spazio impegnato dalla politics, a discapito della policy

La prima, secondo il Professor Alessandro Pizzorno,  viene concepita in senso assoluto, «l’azione politica, essendo intesa come l’unica azione capace di trasformare la società». In Italia, infatti, è ben radicata la convinzione che la soluzione dei problemi dipenda da come sono strutturate le istituzioni politiche, dai rapporti di potere e dalla ricerca del consenso. 

In maniera semplicistica, spesso si pensa che basti un governo che gode di ampia fiducia per avere delle politiche pubbliche efficaci. Ma la realtà è diversa, perché le politiche pubbliche hanno dinamiche proprie (relative a coordinamento, capacità e collaborazione), autonome, anche se non necessariamente indipendenti dalla politics

L’approccio di policy ribalta completamente lo stereotipo comune di cosa sia una politica pubblica. 

Perché fare una politica pubblica non significa solo fare una legge, spendere del denaro pubblico, organizzare e coordinare gli apparati amministrativi. Più in generale, fare policy, significa trovare una soluzione a problemi pubblici, basandosi su evidenze empiriche. È dunque importante analizzare una politica pubblica sotto la lente del ciclo del problem solving

Molto brevemente, secondo questo paradigma, l’intero ciclo di vita di una politica pubblica viene valutato in base ad evidenze empiriche. Individuando il problema e le sue cause, analizzando ipotetiche soluzioni, implementando la politica pubblica scelta, monitorando i risultati ed infine valutando l’impatto a lungo termine. 

Un lavoro di analisi che richiede competenze giuridiche, economiche, manageriali, sociologiche e di scienza politica. Quest’approccio si è sviluppato inizialmente negli Stati Uniti ed in Inghilterra, arrivando poi in Europa, e con un notevole ritardo in Italia. Una ragione per cui la policy analysis fatica ad imporsi in Italia, è la pervasività della logica giuridica nella macchina statale. 

Infatti, spesso si definisce l’Italia come un regime di legalismo burocratico, con riferimento  alla tendenza della burocrazia ad aderire strettamente  ai dettami normativi, senza altre considerazioni. 

Inoltre negli ultimi anni oltre alla logica giuridica si è inserita con forza la logica finanziaria, essendo l’Italia un paese con un elevato debito pubblico e di conseguenza con stringenti vincoli finanziari da rispettare. 

In questo quadro generale, il management e la policy sono sostanzialmente sottoutilizzate nel contesto italiano. Infatti nel 2018 la Commissione europea dichiarava che «La qualità della definizione delle politiche in Italia non è cambiata e gli indicatori evidenziano bassi livelli di utilizzo delle politiche basate sull’evidenza […] La valutazione attraverso l’analisi di impatto della regolazione (RIA) è spesso più formale che sostanziale e basata prevalentemente su indicatori economici» (pag.528). 

Tutti questi problemi strutturali si riflettono anche nell’impostazione del Pnrr, come evidenziato  dall’esempio dei finanziamenti per i macchinari ospedalieri. Più che la logica del problem solving viene seguita la logica dell’emanazione dei decreti e quella del controllo della spesa, che in questo caso si trasforma nella logica del “più soldi riusciamo ad accaparrarci, meglio è”. 

Ma il Pnrr offre anche le possibilità per un’inversione di rotta, che sarebbe uno spreco non cogliere. Dovendo l’Italia raggiungere obiettivi stabiliti in arene sovra-nazionali, ha l’occasione per confrontarsi con meccanismi ben oliati di progettazione e monitoraggio delle politiche pubbliche presenti nelle istituzioni europee. 

Un’opportunità quindi per ridurre il gap con gli altri Stati membri e anche per far ricredere Bruxelles. 

Il Pnrr necessita di politiche basate sull’evidenza e quindi anche di una istituzionalizzazione di questo strumento, evitando così di rivolgersi a società di consulenza private, con i rischi che ne conseguono. 

Fortunatamente negli ultimi mesi sta arrivando qualche segnale positivo rispetto alla fase iniziale del Pnrr, che sembrava ricalcare il tradizionale modus operandi italiano. Infatti già con la legge di bilancio per il 2023 sono state aperte delle posizioni nel Mef per analisti politici che si occupino di analisi e valutazione delle politiche pubbliche. Ma ancor più significativo è l’istituzionalizzazione della pratica della policy analysis nella Ragioneria Generale dello Stato

Quest’ultima ha intrapreso infatti dei percorsi volti a rafforzare l’utilizzo dell’analisi e della valutazione delle politiche pubbliche. Piccoli passi verso un auspicato cambio di mentalità.

Fonte: Capire le politiche Pubbliche, Gloria Regonini, Il Mulino, 2001.

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