Lo scorso 29 febbraio il Leader dei senatori repubblicani Mitch McConnell ha annunciato che si sarebbe dimesso. Per farlo ha pronunciato una frase che rivela tutta la saggezza di un navigato politico di 82 anni: «Uno dei talenti più sottovalutati della vita è sapere quando è il momento di passare al capitolo successivo». La stragrande maggioranza degli studios hollywoodiani non sarebbe d’accordo con tale dichiarazione. E non solo perché McConnell è un repubblicano del Kentucky.
Una delle tendenze più chiare dell’attuale cinema statunitense è la copiosa produzione di sequel, reboot e spin-off o addirittura operazioni di universo narrativo comune tra film e serie televisive (il più emblematico è sicuramente il Marvel Cinematic Universe). C’è chi parla di era dei sequel. Non è quindi per niente strano che la Dreamworks abbia deciso di rilasciare il quarto capitolo di una delle sue proprietà intellettuali di maggior successo: il franchise di Kung Fu Panda.
Dopo tre film d’animazione, tre videogiochi, due serie tv e un adattamento manga gli autori hanno ritenuto che vi fosse ancora qualcosa da dire.
Prima della sinossi del quarto capitolo è però necessario fare una ricognizione minima dei tre film precedenti. Nella Valle della Pace, un’immaginaria regione della Cina, un panda di nome Po viene scelto, a sorpresa, come “guerriero dragone”. Il principale compito del guerriero dragone è quello di proteggere la sua comunità dal malvivente di turno. Nel primo film è Tai Lung, un leopardo delle nevi. Nel sequel è invece un dispotico pavone di nome Lord Shen. Mentre nella terza pellicola è Kai il Collezionista, uno yak ovvero un bovino tibetano.
Ci sono almeno tre caratteristiche che rendono i primi tre film delle pellicole molto valide. In primo luogo, sebbene lo schema degli eventi si ripeta c’è un fil rouge che viene portato avanti: la questione della paternità. Di fatti Po quando viene scelto come guerriero dragone, nel film originale, lavora nel ristorante con Mr. Ping, che è un’oca ed è dunque il padre adottivo. Nel secondo il malvagio Lord Shen fa credere a Po di aver sterminato la sua famiglia d’origine. Mentre nel terzo scopriamo che il suo padre biologico, Li Shan, è ancora vivo. Po si ritrova dunque ad avere due papà.
Un altro tema comune è quello della dimensione spirituale. Po sarebbe fisicamente inadatto ad essere un grande combattente di arti marziali ma la sua forza d’animo è tale da permettergli di superare qualsiasi difficoltà. Perché? Grazie all’attività di supporto del Maestro Shifu che gli insegna ad incanalare la mente. Inoltre, è interessante il rapporto che si sviluppa con i Cinque Cicloni, altri allievi del maestro che aiutano Po a proteggere la valle.
Non meno importante è che i primi tre Kung Fu Panda siano film maturi. O per meglio dire, sono film che riescono a stimolare un pubblico giovanissimo (che tradizionalmente viene ricondotto all’animazione) ed anche spettatori adulti. Una scelta molto coraggiosa è stata fatta nel primo capitolo riguardo la morte del maestro Oogway, il mentore di Shifu.
La perdita, pur non essendo un tabù, quando si tratta di un film d’animazione è affrontata in modo diverso. Ad esempio, la morte della madre di Bambi, ricordata per la sua violenza, avviene nella primissima parte del film quando Bambi è ancora un cucciolo. Ciò avviene per non dare al pubblico il tempo di empatizzare ed affezionarsi al personaggio. Al contrario in Kung Fu Panda Oogway è un personaggio centrale della vicenda sinché, mentre sta discutendo con Shifu, alza tranquillamente lo sguardo al cielo e pronuncia la famosa battuta «È giunta la mia ora» e muore serenamente. Il risultato è un maggiore coinvolgimento emotivo degli spettatori e quindi un maggiore impatto.
Ecco, in Kung Fu Panda 4 non c’è niente di quello che aveva reso grandi i film precedenti. La questione della paternità è stata ormai affrontata ed archiviata con la pellicola antecedente.
Po è un combattente navigato visto che è ormai giunto al quarto salvataggio del mondo. I Cinque Cicloni non sono parte della vicenda e appaiono solo per una comparsata nei titoli di coda. Questi grandi cambi potrebbero essere salutati come “coraggiosi” se venissero sostituiti con inserti validi. Al contrario, si è puntato a fare un Kung Fu Panda “bozza”.
Lo schema narrativo è piuttosto familiare: Po deve salvare il mondo da un nemico ancora più pericoloso dei precedenti: la Camaleonte, dotata della capacità di assumere le sembianze di chiunque voglia. Non essendoci i soliti comprimari a fare da spalla c’è Zhen una volpe dedita ad una vita di furti. C’è anche un accenno al tema adulto del film: il pensionamento di Po. Shifu lo esorta ad indicare un’erede in modo da poter diventare il leader spirituale della regione. Ma la questione è affrontata sbrigativamente e in modo superficiale con giusto un paio di battutine.
La scelta del cattivo, peraltro molto simile a Kai Il collezionista, è funzionale ad una delle operazioni più becere e sfaticate degli ultimi anni. Difatti la Camaleonte rievoca tutti i cattivi dei film precedenti e ne assume le vesti. L’ovvio scopo è quello di suscitare nostalgia ma il tutto appare piuttosto raffazzonato. Ma ancora peggiore è la sorte che subisce la relazione tra Zhen e Po, interpreti di gag fisiche banali, ripetitive e sciocche e che dunque non riescono a sviluppare un rapporto profondo e sincero di cui la storia avrebbe un disperato bisogno.
Alcuni dei momenti più genuini vanno in scena quando i due padri (Mr. Ping e Li Shan) decidono di mettersi in viaggio per seguire loro figlio. Ha senso che i genitori di un abilissimo wuxia si preoccupino della sua ennesima avventura? No, ma conferisce al film un po’ di calore umano di cui altrimenti è scandalosamente privo.
Uno dei pochi motivi per cui ha senso vedere il film è questa curiosa interpretazione. La Camaleonte sarebbe una metafora dell’intelligenza artificiale che impara e imita l’arte prodotta dall’uomo. In questa interessante lettura Po sarebbe il rappresentante dell’umanità che è costretta ad apprendere il Kung Fu attraverso un percorso lento e faticoso. L’IA dal canto suo riesce in pochissimo a tempo a macinare grandissime quantità di informazioni. Po alla fine riesce a trionfare, chissà se anche l’umanità potrà dire lo stesso.
Articolo di Matteo Dodero