The beautiful game è il nuovo dramma sportivo di Thea Sharrock, regista di Io prima di te, uscito il 29 marzo sulla piattaforma Netflix: racconta di redenzione e solidarietà, utilizzando le storie di Homeless World Cup.
I protagonisti sono capitanati da Bill Nighy (Living), che allena la nazionale inglese dei senzatetto di cui fanno parte , tra gli altri Micheal Ward (Empire of Light), Kit Young e Calum Scott Howells. Il film è stato prodotto da Claudine e Colin Farrell (Gli spiriti dell’isola), quest’ultimo ambasciatore del programma e presidente della nazionale Irlandese.
La trama
La nazionale inglese dei senzatetto è pronta a partire per Roma, raffigurata come una cartolina, per partecipare alla Homeless World Cup. Mal, l’allenatore, nota un ragazzo talentuoso di nome Vinny: lo convince quindi ad entrare in squadra e a diventarne la punta di diamante. Vinny, però, non riesce ad accettare la propria condizione di senzatetto e maschera la paura di perdere la dignità agli occhi della figlia e le proprie insicurezze con arroganza e sfrontatezza, non facendo squadra; si sente inoltre superiore agli altri componenti, in quanto ex professionista del West Ham United.
La narrazione usa il torneo internazionale di calcio, organizzato dalla fondazione Homeless World Cup e a cui partecipano senzatetto provenienti da tutto il mondo, come cornice per raccontare in primo luogo cosa significhi essere una persona senzatetto e quanto questo possa impattare negativamente sulla vita degli individui e sulla loro capacità di relazionarsi con altre persone, come emerge dalle parole di Jason: «Quando si vive in strada non si ha nessuno con cui parlare».
In secondo luogo, racconta storie di persone con passati simili a cui sono state concesse seconde possibilità: è soprattutto lo sport ad offrirle agli “invisibili” un Noi, cioè la possibilità di far parte di una comunità all’interno della quale ci si aiuta a vicenda.
Durante la competizione, i giocatori coronano inoltre il sogno di rappresentare la propria nazione.
La Homeless World Cup fu fondata da Mel Young e Harald Schmied nel 2001: Schmied stava allora scrivendo un paper sulle persone senzatetto di Graz e, dopo aver partecipato insieme a Young ad un convegno internazionale sull’argomento, i due decisero di fare qualcosa di concreto. La prima competizione calcistica venne disputata nel luglio del 2003 a Graz in Austria e continua a svolgersi annualmente in varie città del mondo: nel 2024 si disputerà la 19esima edizione a Seoul.
Il torneo è molto competitivo: ogni partita dura 14 minuti, si gioca in 3 giocatori più il portiere e possono essere effettuate un massimo di 4 sostituzioni; la squadra che vince si aggiudica 3 punti. La competizione è, però, basata sulla solidarietà e sulla sportività, che aiutano i partecipanti a realizzarsi e a giocare gli uni per gli altri.
Il programma, che si inserisce in un movimento globale, vuole cambiare la percezione comune nei confronti delle persone senzatetto, eliminando gli stereotipi e restituendo loro dignità.
Thea Sharrock ha dunque raccontato il “bel gioco”, un appellativo che in Inghilterra si riferisce in particolar modo al calcio, che ha il potenziale di rendere il mondo e le persone migliori.
Il punto centrale del film, però, non è la competizione sportiva ma il concetto di squadra, elemento fondante del calcio ma anche della vita perché è ciò che si avvicina di più alla dimensione della comunità e della famiglia. Quest’ultimo argomento è trattato in vari modi nel film: dalla vita di coppia di Mal con la moglie Chiara, al rapporto tra Nathan e la madre, a quello di Vinny e Cal con i rispettivi figli, fino a quello di Aldar con la Siria, che ha dovuto lasciare per sopravvivere.
Il calcio, secondo Mal, è «la sola, splendida lingua universale» ed è usato come metafora più corretta per definire lo spirito di una storia di unione e accettazione, che punta lo sguardo su coloro che sono esclusi dalla società.
Il film ha come fine ultimo quello di permettere al mondo di conoscere una realtà invisibile e una strategia fondamentale per combattere e prevenire situazioni di esclusione e di criminalità. Difatti, è stato importante il lavoro compiuto dalla regista che ha lavorato a stretto contatto con la fondazione, per conoscere le storie dei giocatori e sviluppare i personaggi ispirandosi ad esse.
La regista ha realizzato un film semplice ma diretto su ciò che lo sport può offrire e sull’importanza di riuscire a chiedere aiuto senza vergognarsi, perché «Nessuno può salvarsi da solo. Noi ci salviamo a vicenda».