Del: 14 Aprile 2024 Di: Giulia Maineri Commenti: 0
Tra le righe de La noia, le sfumature di un sentimento anacronistico

Spesso canticchiamo ritornelli che restano in testa, pezzi di musica che non riusciamo a toglierci dalla mente, ma senza conoscerne davvero il significato più profondo. Il ritmo frenetico della società odierna non ha tempo di soffermarsi sui dettagli e si accontenta dell’involucro, del ritmo.

Proviamo invece ad andare al cuore di una canzone, indagandone il contenuto e analizzandone gli aspetti più nascosti. Prendiamo La noia, vincitrice del Festival di Sanremo, interpretata e scritta da Angelina Mango, insieme a Dardust e a Madame, due artisti che ci stanno regalando numerose perle nel panorama della musica italiana. 

Partiamo dall’inizio. «Quanti disegni ho fatto, rimango qui e li guardo»: l’io parlante si ferma ad osservare i disegni, i progetti realizzati fino a quel momento. Ma «nessuno prende vita», nessuno si avvera e non c’è tempo, «vado di fretta», non si può aspettare «una pagina pigra». 

Riporta poi una frase che le è stata riferita: «Mi hanno detto che la vita è preziosa», che sembra essere uscita dalla bocca di Papa Francesco o da uno spot istituzionale sulla sicurezza stradale. In questo verso si nasconde una forma di scetticismo nei confronti di quella che sembra una frase fatta, una di quelle che si dicono tanto per dire e che alla fine risultano svuotate del loro significato originale, magari anche profondo.

La sfiducia si nota nel fatto che la frase non viene detta in prima persona, ma attraverso terzi: «mi hanno detto che». Anche questa parte della frase – a pensarci bene – è una frase fatta. È una locuzione che si usa spesso per parlare di qualcosa di cui non si è certi, di cui si è sentito dire, voci di corridoio, e l’assenza del soggetto accentua ulteriormente questa sfiducia, che emerge anche dall’affermazione successiva:

la protagonista non ha bisogno di «perle di saggezza».

A lei hanno dato «le perline colorate per le bimbe incasinate con i traumi». Le perline colorate non restano solo tra i versi della canzone, ma diventano parte integrante dell’outfit di Angelina, unico dettaglio rimasto invariato in ogni serata del Festival. Le perline colorate sono simbolo di leggerezza, gioia e sensazioni positive, ma in questo contesto diventano anche una collezione di esperienze, comprese quelle negative che lei chiama «traumi».

Traumi che, nonostante tutto, sono parte integrante della nostra persona e da cui non possiamo separarci: quella collana di perle è qualcosa da indossare «a testa alta sul collo», qualcosa di cui andare orgogliosi. D’altra parte, sono esperienze che ci hanno insegnato qualcosa, lezioni di vita da non dimenticare: le perline vanno snodate piano piano con l’età, per districare ciò che è rimasto ingarbugliato.

L’immagine di una ragazza che snoda le perline di una collana colorata potrebbe far pensare a quella di una vecchia signora che sgrana il rosario. Due immagini diverse, ma con qualcosa in comune: la necessità di uno spirito guida. Eppure, continua la cantante, «sto una Pasqua, zero drammi».

L’unica cosa che la uccide non sono i traumi, ma la noia. La noia. La noia. La noia.

Questo ripetere la stessa parola più volte diventa perfetta trasposizione in musica di ciò che si vuole comunicare: la noia è qualcosa di ripetitivo, sempre uguale a se stesso, che non cambia. La noia è anche qualcosa che stanca, esaurisce, e questa sensazione è trasmessa dal tono diverso, sempre più acuto ed esasperato con cui Angelina Mango interpreta queste parole.  

Ci sono poi due dicotomie, «muoio senza morire» e «vivo senza soffrire», a cui fanno da contraltare «i giorni usati» e le «notti bruciate». Un modo edulcorato per dire che nonostante viviamo un presente consumato da mille problemi e bruciato dagli istinti giovanili, lei se la vive e se la gode tutta la sua gioventù.

Ma sottolinea l’importanza della sofferenza: non soffrire è una croce, altro riferimento religioso che si lega alla corona di spine citata poco dopo. Corona di spine che è simbolo di dolore, di qualcosa che fa male, ma al tempo stesso educa e forma, fa crescere, impone un cambiamento. E allora ecco che nella sua festa, in cui non ci si annoia, il dress-code è una corona di spine. La scelta di questo simbolo non è casuale: si tratta, di nuovo, di qualcosa da indossare con orgoglio, un ornamento che si lega perfettamente alla collana di prima. 

Se è una festa, scateniamoci: è la cumbia della noia. La cumbia è un genere musicale popolare colombiano e panamese, contaminato dalle culture africane. L’origine del termine è incerta ma si pensa abbia a che fare con termini quali “suono” e “rumore”. La cumbia della noia è quindi un invito sotto forma di ossimoro:

un invito a ballarci sopra, alla noia, a trasformarla da tempo perso a tempo dedicato a se stessi. 

La seconda strofa è una frecciatina a chi «vede il male nelle cose», allo snobismo di certe persone che ti guardano male e all’ipocrisia di chi parla di business, ma poi chiude gli occhi per firmare i contratti. Business fa rima con princess, che qui compare in versione slang, a indicare una principessina viziata, che si fa chiamare tale ma in realtà poi lava i piatti. Questo passaggio fa venire in mente un famoso pezzo di Caparezza, che cantava «un uomo deve saper lavare i piatti». 

«Allora scrivi canzoni? Sì, le canzoni d’amore?». Anche quelle possono annoiare, ma qualcuno le deve cantare. Sono necessarie, quasi indispensabili. Ma il rischio di annoiarsi c’è ancora, quindi balliamo la cumbia, ma stando attenti a non inciampare. E questo verso è profetico perché nella serata finale del Festival Angelina inciampa davvero, ma in questo modo ferma la noia. 

Una canzone, La noia, che non può annoiare perché espressione di contesti culturali diversi: si sente la penna caratteristica di Madame, si sente il jingle portato da Dardust, si sente il ritmo puro delle danze popolari indigene, si sente la tradizione della musica italiana. 

La hit di Angelina si appoggia a pezzi di grandi cantautori del passato in cui si affrontano gli stessi argomenti, anche se da un altro punto di vista. Celentano cantava «la cumbia di chi cambia», una canzone a sfondo politico che esprime l’esigenza di evolvere, di dare una svolta al presente.

Un tema diverso, ma con qualcosa in comune con il testo di Angelina: la voglia di ballarci sopra, di dare un tocco di spensieratezza.

Per Califano la noia era la parte di una relazione successiva all’innamoramento. «Il primo bacio, il cuore ingenuo che ci casca ancora, sì, ma poi… tutto il resto è noia». Un punto di vista molto interessante, che mostra un altro lato di un sentimento molto sfaccettato, quello della noia. 

La noia, un sentimento quasi anacronistico nel mondo di oggi. La nostra è una società che tende a riempire tutti gli spazi bianchi, in cui ci sono sempre mille cose da fare, che non dà la possibilità di annoiarsi. E invece la noia può essere terreno fertile per la nascita di nuove idee, tempo dedicato all’io più profondo, spazio vuoto da cui può sgorgare qualcosa di imprevedibile. 

Giulia Maineri
Instancabile curiosona, ho sempre una domanda sulla punta della lingua. Leggo di tutto e di tutti per capire chi sono. Coltivo la passione per la storia dell'arte per capire chi siamo. Studio fisica per rispondere ai come. Esploro il mondo in un’esasperata, ma entusiasmante, ricerca dei perché.

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