Del: 5 Maggio 2024 Di: Matilde Elisa Sala Commenti: 0
Bookadvisor, consigli di lettura di maggio

Il 5 di ogni mese, 5 libri per tutti i gusti: BookAdvisor è la rubrica dove vi consigliamo ciò che ci è piaciuto di recente, tra novità e qualche riscoperta.


Cose che non si raccontano, Antonella Lattanzi (Einaudi) – recensione di Matilde Elisa Sala

Ci sono cose che non si raccontano di solito, perché non sta bene, perché sono argomenti delicati o semplicemente dei tabù. Ma Antonella adesso ha proprio bisogno di raccontare e di scrivere questo libro, più per se stessa che per gli altri. A vent’anni, Antonella decide di interrompere volontariamente due gravidanze. Non era il momento per avere dei figli, il suo interesse era pienamente focalizzato sul suo lavoro da scrittrice e non avrebbe avuto il tempo di dedicarsi a una famiglia.

Ora però, lei e il suo compagno Andrea, scelgono di cercare volontariamente una gravidanza: peccato che il corpo di Antonella ha deciso che il momento non è più quello giusto. Prova a rimanere incinta in modo naturale, per poi ricorrere più volte a fecondazioni assistite, facendo cicli di ormoni e usando medicinali. Pochissime persone sanno cosa le è accaduto in passato e cosa sta affrontando nel presente: queste, come viene ripetuto più volte nel corso della narrazione, sono cose che non si raccontano.

Antonella non vuole subire sguardi di compassione e domande apprensive e, soprattutto, non vuole rinunciare al suo lavoro: vuole finire di lavorare al suo libro e dedicarsi totalmente alla sua promozione. Quando da uno degli ultimi cicli ormonali riesce a ottenere due embrioni, Antonella tenta il tutto per tutto e decide di farseli impiantare entrambi. La situazione si fa problematica nel momento in cui i due embrioni diventeranno tre.

Un romanzo duro, molto crudo ma veritiero: l’autrice, nonché protagonista di questa storia di vita, racconta tutto ciò che è stato per lei l’aborto e accompagna i lettori in questo percorso, nei suoi pensieri e nelle sue emozioni, non nascondendosi più. Nominato al Premio Strega 2024, Cose che non si raccontano è un romanzo autobiografico toccante e schietto, necessario nel mondo attuale dove parlare di aborto rimane un tabù, dove ancora non si capisce che sia indelicata e fuori luogo la tipica domanda “Ma lei è madre? Perché non ha figli? Non desidera una famiglia?” senza sapere nulla della persona che si ha di fronte. Un testo importante per continuare a far capire che l’aborto può – e deve – essere una scelta e che una persona può desiderare – o no – di diventare genitore, di avere una famiglia, ma che a volte le cose non vanno come si vorrebbe, nel momento in cui si vuole vadano in quel modo. Queste sono cose che si dovrebbero raccontare.


Renée addormentata nel bosco, Elene Usdin (Oblomov) – recensione di Emanuele Rossi Ragno

René è addormentata nel bosco, o per meglio dire è addormentatə. Entità androgina in cui si equilibrano maschile e femminile, innocenza e saggezza, giovinezza e vecchiaia, René dorme il sonno secolare della sua stirpe, sottomessa alla potenza conquistatrice di un’autorità invisibile che ha contaminato anche il mondo dei sogni e delle fiabe. Da un semplice pretesto (la scomparsa del suo fedele coniglio di pezza), René sprofonda nella dimensione onirica per fuggire dall’incubo di una realtà che non le appartiene e in cui è stata cacciata a viva forza: una metropoli tentacolare simile al «fazzoletto di un gigante», che non accoglie chi si è visto cancellare il proprio passato.

Elene Usdin parte dal tragico racconto di una pagina di Storia (le rappresaglie perpetrate da governo e istituzioni religiose canadesi contro le tribù dei nativi tra Otto e Novecento) e ne riscrive le coordinate. Tempo e spazio si sfaldano, i personaggi vivono a turno ruoli sociali e famigliari antitetici, padre e figlio, prigioniero e carceriere, servo e padrone, in una dialettica che troverà pace e catarsi solo nell’ultimo dei discendenti del clan. Per meglio trasferire la vicenda su un piano simbolico, l’autrice la maschera da racconto cosmogonico a scatole cinesi, dove il mito sull’origine diventa inchiesta e denuncia accorata sulle cause dello sfruttamento e della barbarie.

A una vicenda tanto dolorosa nei contenuti quanto criptica e angusta per il lettore meno navigato fa riscontro un utilizzo massiccio del colore in chiave espressionista. Usdin dà agio alla più vasta gamma possibile di toni caldi e freddi, modellando ambienti che non potrebbero trovare spazio in altri linguaggi all’infuori del fumetto, talvolta realistici nella sostanza ma sempre psichedelici nella messa in pagina. Tante le ombre e le sfumature, pochissime le linee di contorno, così come labili sono i confini tra oggetti e sentimenti in questo mondo carrolliano affetto da disforia di genere.


I miei giorni alla libreria Morisaki, Satoshi Yagisawa (Feltrinelli) – recensione di Michela De Marchi

Cosa fare quando vengono meno le certezze della nostra vita? È la domanda che tormenta la giovane Takako, venticinquenne che in poco tempo ha perso il lavoro e il grande (e finto) amore con Wada. Senza i suoi punti di riferimento, Takako non sa come reagire e non vede più le ricchezze di Tokyo, città dove si è trasferita dopo molti sforzi. Quando l’unica alternativa sembra essere quella di tornare a casa dai suoi genitori, la telefonata dello zio Satoru cambia i suoi piani: viene invitata a trasferirsi al piano superiore della libreria Morisaki, fondata dalla famiglia nel quartiere di Jinbōchō.

Lo zio Satoru è fuori dalle norme e anche lui deve convivere con un immenso dolore dato dalla moglie Momoko. Proprio dalla permanenza in libreria Takako rinascerà grazie alle tante possibilità che le vengono date e alle conoscenze fatte nel quartiere, come il timidissimo Takano, la bella Tomo e un enigmatico ragazzo. Ogni personaggio presentato nel romanzo è a un punto di blocco della sua vita, in cui deve fare i conti sia con episodi negativi sia con le conseguenze delle decisioni prese. La libreria Morisaki diventa così uno spazio di seconde occasioni, una metafora del percorso che sia Takako che gli altri compiono.

La protagonista trova una sé più autentica e scopre un amore incondizionato per i libri inserendosi nell’ambiente, mentre lo zio Satoru, arrivando a un compromesso con il suo passato, ha la possibilità di aprire nuove strade future. Il romanzo di Yagisawa è caratterizzato da una scrittura chiara e senza fronzoli che fa appassionare i lettori proprio grazie alle sua semplicità, permettendo di mettere in scena la quotidianità della vita. L’opera ritrae un Giappone nuovo e moderno, con una Tokyo movimentata che fa da sfondo agli amori (passati, impossibili o incerti) presentati nel racconto. Il libro non ha un vero e proprio finale: le storie dei personaggi sono ancora in corso e vive, in un incessante susseguirsi di fatti, emozioni e imprevisti.


The Dead Romantics. Il romanticismo non muore mai, Ashley Poston (Sperling&Kupfer) – recensione di Matilde Elisa Sala

Florence Day è la ghostwriter dell’autrice di romance più famosa del momento, ma pochi sanno che lei fa questo lavoro. Il suo nuovo editor, Benji, vuole che lei consegni il manoscritto nel minor tempo possibile, ma c’è un problema: Florence non riesce a scrivere.

La scrittura però non è il suo unico talento nascosto: Florence è in grado di parlare con i fantasmi, capacità che solo lei e suo padre hanno. Non a caso la famiglia è proprietaria di un’agenzia di pompe funebri in una piccola cittadina americana. La vita di Florence viene sconvolta proprio quando il padre viene a mancare ed è costretta a tornare nel suo paese d’origine, luogo in cui tutti l’hanno sempre giudicata. Ma aggiungiamo un tassello! Che altro poteva accadere a Florence che la sconvolgesse ancora di più? Ovviamente, la comparsa di un fantasma! Ma non uno qualunque, proprio Benji, il suo editor.

Un romance molto leggero, scorrevole e diverso dal solito, The Dead Romantics fa emozionare, a volte un po’ tremare (chi in fondo conosciamo che sa parlare con i fantasmi?), ma anche riflettere. Di fronte alle difficoltà o a ipotetici fallimenti, tutti abbiamo la possibilità di risollevarci soprattutto se sorretti anche dalle persone giuste, che talvolta sono anche le più inaspettate.


Wonder Woman, un’amazzone tra noi, Francesco Milo Cordeschi (Armillaria) – recensione di Annachiara Esposito

Francesco Milo Cordeschi, giornalista e autore di Wonder Woman, un’amazzone tra noi sembra offrire una prospettiva interessante sulla rappresentazione di Wonder Woman nel corso degli anni, evidenziando sia gli elementi positivi che le criticità della sua evoluzione.

L’eroina, per come la conosciamo oggi, ha ottenuto un grande riscatto. Ha conquistato il ruolo di protagonista in un’epoca in cui il femminismo della seconda ondata inizia a farsi spazio e in un ambiente prettamente maschile. Le prime comparse, infatti, sono accanto ai grandi supereroi come Superman e Batman, ma poi emerge ed inizia le sue avventure. Lascia il paradiso delle Amazzoni per seguire Trevor e i suoi valori in un nuovo mondo, l’America.

La riflessione riguarda principalmente l’impatto dei cambiamenti politici e sociali sulla caratterizzazione dei personaggi, anche attraverso citazioni di film e opinioni personali dell’autore e il testo risulta coinvolgente soprattutto per i cinefili e gli appassionati Marvel.

Matilde Elisa Sala
Studio Lettere, mentre aspetto ancora la mia lettera per Hogwarts. Amo i gatti, il Natale e la neve, viaggiare, specialmente se la destinazione è New York, leggere e immergermi ogni volta in una storia diversa. Scrivo, perché credo che le parole siano lo strumento più potente che abbiamo.

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