Per il mese di maggio la redazione di Vulcano Statale vi propone un Da rivedere per la prima volta diverso dal solito: con l’imminente arrivo di giugno, il mese del Pride, vi consigliamo cinque film, alcuni più datati e altri più recenti, che trattano tematiche legate alla comunità LGBTQ+, per acquisire consapevolezza e risvegliare sempre la nostra sensibilità.
Philadelphia, Jonathan Demme (1993) – recensione di Cristina Bianchi
Philadelphia è una delle prime pellicole che tratta il tema dell’AIDS, malattia sessualmente trasmissibile che ebbe il suo apice, per diffusione e contagio, negli anni ‘90. Andrew Beckett, avvocato e associato in un importante studio legale, contrae l’HIV e viene licenziato con “giusta causa” quando i soci scoprono della malattia. Andrew, quindi, li cita in giudizio, facendosi difendere dall’avvocato Joe Miller, il quale accetta l’incarico eliminando i pregiudizi che negli anni ‘80 e ‘90 circolavano sia sulla malattia che sulla comunità omosessuale. Il film prende ispirazione da una storia vera: negli anni ‘80 Geoffrey Bowers, anche lui avvocato, decise di fare causa al suo ex studio legale, proprio per licenziamento illegittimo, dopo aver contratto l’AIDS. Philadelphia è, ancora adesso, un film di straordinaria importanza per la comunità LGBTQ+. Ha saputo fare la differenza, ridefinendo l’immagine della comunità e soprattutto dei malati di AIDS, eliminando dei falsi miti come il fatto che ci si possa contagiare stando vicini alla persona. La paura della malattia e di chi al tempo si riteneva diverso è il filo conduttore del film, che porta lo spettatore a immedesimarsi in Andrew e nel duplice dolore che sta provando, quello fisico della malattia e quello psicologico della perdita. Tom Hanks vinse l’Oscar per Miglior Attore Protagonista e Bruce Springsteen, con Streets of Philadelphia, conquistò la statuetta per Miglior Canzone.
Milk, Gus Van Sant (2008) – recensione di Gaia Bassanini
Nel film biografico diretto da Gus Van Sant, Sean Penn (vincitore del premio Oscar al Migliore Attore Protagonista nel 2009 proprio grazie a Milk) interpreta Harvey Milk, assicuratore newyorkese, che vive segretamente la sua omosessualità. Per amore del giovane Scott Smith si trasferisce a Castro Street, nella San Francisco degli anni Settanta dove le violenze per mano della polizia, e non solo, nei confronti degli omosessuali erano all’ordine del giorno.
Insieme decidono di aprire un negozio di macchine fotografiche chiamato “Castro”.
Le violenze non accennano a fermarsi, e di fronte all’ennesimo assassinio di cui l’autore rimane ignoto, in Harvey cresce la consapevolezza che qualcosa deve cambiare, e qualcosa sta già cambiando in altre parti del mondo. Con l’appoggio di Scott e di nuovi amici decide così di candidarsi alle elezioni per diventare consigliere comunale. Dopo quattro tentativi non andati a buon fine, finalmente nel 1977 viene eletto, grazie al consenso della comunità gay ma anche di giovani e anziani eterosessuali. Diventa così il primo uomo omosessuale a ricoprire una carica istituzionale negli Stati Uniti.
Il suo grande obiettivo diventa ora l’abrogazione della Proposition 6: legge che avrebbe permesso di licenziare gli insegnanti sulla base dei loro orientamenti sessuali. Dopo un’estenuante lotta Milk può gioire della sua vittoria contro questa legge discriminatoria, ma non a lungo.
Milk è una storia di lotta, speranza, sconfitte e passi avanti; passi avanti su una strada tutt’ora ancora da continuare a percorrere nelle vie del Pride che si terrà questo mese: marciare per farsi sentire, per dare solidarietà e sostegno, per promuovere i diritti civili e la parità di trattamento per le persone LGBTQ+, contribuendo così alla lotta per l’uguaglianza legale e sociale.
Mine Vaganti, Ferzan Özpetek (2010) – recensione di Cristina Bianchi
Riccardo Scamarcio è il protagonista di uno dei film più belli di Ferzan Özpetek, ambientato in una cittadina in provincia di Lecce, che mette a nudo tutti i preconcetti di una famiglia. La storia è incentrata su Tommaso Cantone, che da Roma torna a Lecce per confessare alla famiglia l’abbandono degli studi universitari, ma soprattutto il suo orientamento sessuale. Il fratello Antonio, però, durante un pranzo di famiglia lo precede manifestando la sua omosessualità. Il padre dopo la notizia lo caccia di casa per disonore e viene ricoverato in ospedale per un infarto. Özpetek ha regalato una pellicola che sa far ridere e allo stesso tempo pensare e riflettere. Mine Vaganti è il coraggio di essere se stessi senza nascondersi e cerca di eliminare l’ipocrisia di una famiglia, che solo in apparenza è perfetta, ma nasconde segreti e dipendenze. La storia principale è intervallata da flashback della nonna da giovane: quest’ultima è vestita da sposa e cerca l’uomo che ama davvero, provando a scappare dal matrimonio di cui è la protagonista. Özpetek, come per ogni sua pellicola, ha scelto un cast straordinario: ad accompagnare Scamarcio ci sono Alessandro Preziosi, Nicole Grimaudo, Elena Sofia Ricci e i compianti Ennio Fantastichini e Ilaria Occhini.
Laurence Anyways, Xavier Dolan (2012) – recensione di Emanuele Rossi Ragno
Alla soglia dei 35 anni, un insegnante di liceo, Laurence Alia (Melvil Poupaud), non può più fingere di riconoscersi nel proprio corpo maschile e decide di diventare una donna. Accettato il rischio di inimicarsi colleghi e famigliari, Laurence ne deve dare notizia a Fred (Suzanne Clément), la compagna di una vita, che lo aiuterà come possibile, a fasi alterne, accettando di mettere in discussione se stessa fino al punto di rottura. Al suo terzo film da regista, il ventitreenne Xavier Dolan condensa in poco meno di tre ore i dieci anni più travagliati della vita di Laurence, che pur diventando “altro” da sé rimane fedele ai propri principi (“anyways“), pagando lo scotto di una privazione affettiva, più che dello stigma sociale – che pure impara a combattere. Il melodramma hollywoodiano viene preso a modello e stravolto, complice una messa in scena barocca, sempre sul punto di implodere nel cuore dell’immagine (formato 1.33:1), e una regia sovraccarica che flirta con l’estetica da videoclip (memorabile la colonna sonora, che mescola Cure, Depeche Mode, Visage e Duran Duran a Brahms, Vivaldi, Prokofiev, Beethoven). Queer Palm e premio per la migliore attrice a Cannes 2012.
Chiamami col tuo nome, Luca Guadagnino (2017) – recensione di Matilde Elisa Sala
Basato sul romanzo bestseller di André Aciman, Chiamami col tuo nome racconta una genuina storia d’amore ambientata in Italia nel 1983. Il giovane Elio (Timothée Chalamet) trascorre le vacanze con la sua famiglia in una villa di campagna vicino a Crema e il padre di Elio è un professore universitario che ogni anno ospita nella villa dei dottorandi. Arriva così Oliver (Armie Hammer), studente affascinante e dal carisma non indifferente, che subito suscita l’interesse ma allo stesso tempo anche l’antipatia di Elio, infastidito dall’esuberanza del nuovo coinquilino.
Nonostante ciò, i due cominceranno a passare molto più tempo insieme e interessarsi pian piano l’uno all’altro, fino ad arrivare a provare il sentimento più puro e spontaneo: l’amore. Entrambi molto spaesati all’inizio, iniziano a viversi e conoscersi realmente, anche se di nascosto. Elio sembra più propenso ad accettare questo nuovo sentimento, laddove invece Oliver si manifesta sempre più frenato.
Forse il film più famoso del regista Luca Guadagnino, Chiamami col tuo nome è una meravigliosa storia di scoperta e accettazione di sé. Come in ogni film di Guadagnino, l’interiorità umana viene mostrata in tutta la sua complessità, ma sempre con grande delicatezza, lasciando sul finale lo spettatore decisamente scosso e pieno di quesiti. Se l’amore è un sentimento così bello, che porta con sé dolore e felicità, che importa che sia tra due uomini? Forse sta proprio in questo la potenza di questa pellicola: per un certo lasso di tempo nemmeno ci si accorge che siano due uomini a volersi bene e ad amarsi così. La storia di Elio e Oliver però ci porterà comunque a chiederci perché sia così difficile accettare e accettarsi nella propria omosessualità, ma la cosa migliore che ci rimane è un forte invito ad amare nonostante tutto, le difficoltà e i giudizi, senza privarsi di un sentimento così bello.