La Russia continua a limitare i diritti e le libertà della comunità LGBTQ+. Non è una storia nuova, anzi è l’ennesimo capitolo che si aggiunge ad anni di repressioni e misure contro tutti coloro che fanno parte di questo gruppo. Da molto tempo, infatti, il regime russo agisce contro di esso, ma proprio in queste ultime settimane una notizia ha scosso ulteriormente la comunità: il Servizio federale di monitoraggio finanziario della Federazione Russa, noto anche come Rosfinmonitoring, ha inserito nella lista delle organizzazioni estremiste e terroristiche il «movimento pubblico internazionale LGBT+».
Con quest’ultima mossa si mira quindi a colpire qualsiasi gruppo o persona attiva nei confronti dei diritti LGBTQ+ e il Rosfinmonitoring può arrivare a congelare i conti bancari di tutti coloro che, secondo il regime, ne fanno parte. In passato il governo russo aveva usato il termine “movimento estremista” con l’obiettivo di perseguire le organizzazioni dedite ai diritti umani, i media indipendenti e gli oppositori politici, per esempio tre degli avvocati del dissidente russo Alexei Navalny. La lista citata comprende quindi svariate persone, per la precisione 14mila cittadini, provenienti da vari contesti: membri dell’organizzazione terroristica jihadista al Qaida, dell’azienda tecnologica Meta, che possiede Facebook, Instagram e WhatsApp, e collaboratori dell’oppositore Navalny.
L’ennesimo nemico dello stato russo, la comunità LGBTQ+, già a novembre 2023 era stata vietata da una sentenza della Corte Suprema.
Il ministero della Giustizia, in data 17 novembre, aveva richiesto che il movimento fosse classificato come “estremista”, sostenendo che fossero stati individuati «segni e manifestazioni di natura estremista» nelle attività del movimento LGBTQ+ in Russia, sottolineando anche «l’incitamento alla discordia sociale e religiosa», ma senza fornire alcun dettaglio.
A distanza di mesi, con l’inserimento nella lista, sono stati avviati i primi arresti, partendo da Alexander Klimov e Diana Kamilyanova, rispettivamente direttore artistico e amministratrice di un locale LGBT della città di Orenburg, nel sud ovest della Russia. Il tribunale russo ha ordinato l’arresto dei due con l’accusa di aver allestito una «organizzazione estremista» e di «promuovere rapporti sessuali non tradizionali tra i frequentatori del bar». Siamo di fronte al primo procedimento penale, in quanto i due accusati rimarranno in custodia cautelare fino al 18 maggio e rischieranno fino a 10 anni di carcere. In base all’articolo 282.2 del Codice Penale russo, l’adesione a un’organizzazione estremista può, infatti, essere punita permanendo in carcere da 6 a 10 anni e comporta il rischio di persecuzione per “propaganda di estremismo”.
Ovviamente gli attivisti per i diritti delle persone LGBTQ+ hanno reagito sostenendo che l’espressione con cui il movimento è stato marchiato indica un’organizzazione inesistente, in quanto sono molteplici i movimenti a favore della comunità. Ma proprio questa vaghezza e imprecisione permetterà alle autorità russe la repressione generale delle iniziative legate alla comunità, aggiungendo un ulteriore tassello ai molteplici provvedimenti già inseriti nella strategia di discriminazione e persecuzione della comunità in Russia.
L’ultimo decennio è stato caratterizzato da repressioni e odio promosso dallo Stato che, sotto la guida del presidente Vladimir Putin, ha incrementato queste politiche ostili, arrivando proprio con la decisione della Corte al più drastico provvedimento preso dal Paese. La domanda che sorge spontanea è: da dove nasce questo accanimento e quali sono le conseguenze sociali e politiche? Tornando indietro nel tempo, nei primi anni ’90, la Russia post-sovietica aveva favorito il panorama legale dei diritti LGBTQ+ con la decriminalizzazione (1993) e la depatologizzazione (1999) delle relazioni omosessuali. Con l’ascesa di Putin il trend positivo ha subito un cambio di rotta con l’introduzione di varie misure a discapito della comunità LGBTQ+ con lo scopo di difendere valori morali e familiari tradizionali. Lo Stato dipinge la comunità LGBTQ+ come nociva per il mantenimento della cultura nazionale; quindi, promuove una legislazione repressiva come misura di sicurezza.
Un anno fa Vladimir Putin ha firmato una legge per rafforzare il divieto alla “propaganda Lgbtq+”, nella quale si sostiene che le cosiddette “relazioni sessuali non tradizionali” sono un crimine. A questo si aggiunge il divieto di rappresentazioni di relazioni LGBTQ+ in film, pubblicità, sui social e, ovviamente, in pubblico.
A causa di questi provvedimenti, il teatro Bolshoi di Mosca è stato costretto a eliminare dal suo repertorio il balletto dedicato a Rudolf Nureyev, omosessuale, e persino le librerie e i cinema hanno dovuto togliere dai loro cataloghi e dalle loro proiezioni contenuti LGBTQ+.
In Russia, tra le altre cose, non si possono tenere i Pride o eventi dedicati alla comunità; inoltre sono i aumento i crimini d’odio e la discriminazione contro i cittadini LGBTQ+, soprattutto dall’introduzione della legge sulla propaganda gay. Con “crimine d’odio”, come definito dall’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti dell’uomo (ODIHR) dell’OSCE, ci si riferisce a reati commessi per pregiudizio nei confronti di un gruppo sociale specifico (per razza, etnia, genere o orientamento sessuale). Si mira all’insieme e, di conseguenza, le leggi che limitano i diritti di un gruppo favoriscono l’aumento di violenza nei confronti di esso. Tra il 2014 e il 2019, i casi segnalati di violenza scaturiti dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere hanno visto un notevole aumento. Ciò anche perché la polizia, nella maggior parte dei casi, non offre una protezione sufficiente. Di conseguenza, gli attivisti, per non correre ulteriori rischi, si sono mobilitati organizzando eventi al chiuso, al posto di manifestazioni pubbliche in strada.
Inoltre, per limitare la diffusione della comunità LGBTQ+ sono state fondate Dodici “cliniche” in tutto il Paese dove si “cura” l’omosessualità. Il paziente spesso viene fatto rapire per volontà della famiglia e ricoverato, si procede con isolamenti prolungati (di almeno sei mesi) e preghiere, contando dell’appoggio di medici e leader religiosi. I contatti con l’esterno sono vietati e le uniche attività quotidiane sono i colloqui con specialisti e trattamenti di ipnosi.
Ma non è tutto. L’estate scorsa, la Duma (il ramo più basso del parlamento) ha anche minato le libertà delle persone transgender vietando gli interventi medici e le procedure amministrative per cambiare sesso. Il testo prevede anche un’eccezione, ovvero operazioni chirurgiche per anomalie fisiologiche congenite nei bambini.
A fronte di tutto ciò, un rapporto del 2021 del Levada Center ha illustrato un atteggiamento generale nella popolazione russa: da una parte la diminuzione degli atteggiamenti neutrali nei confronti della comunità, dall’altra l’aumento vertiginoso dei sentimenti di disgusto verso il gruppo. Inoltre, secondo un rapporto del gruppo Coming Out e della Fondazione Sphere del 2022 una persona su tre della comunità LGBTQ+ ha subito violenze o discriminazioni nel Paese. Il 58% degli intervistati ha anche ammesso che, se in futuro dovessero essere vittime di molestie, probabilmente non denuncerebbero il fatto per paura di riferire informazioni personali alla polizia.
Insomma, la comunità LGBTQ+ non ha vita facile in Russia e la discriminazione di queste persone potrebbe peggiorare sempre di più con il passare degli anni.