Ogni due mesi, il giorno 27, 5 serie TV per tutti i gusti: The Sofa Chronicles è la rubrica dove recensiamo le novità più popolari del momento, consigliandovi quali valga la pena guardare comodamente sul divano e quali no.
Bridgerton, Stagione 3 Parte 1, Netflix (Chris Van Dusen, Shonda Rimes) – recensione di Matilde Elisa Sala
Cari lettori… Lady Whistledown è tornata e porta con sé la prima parte della terza stagione di Bridgerton! Dopo le storie della dolce Daphne, diamante della prima stagione, e del – non più – libertino Anthony, Visconte di casa Bridgerton, adesso è il turno di Colin (Luke Newton). Tornato dai suoi viaggi in giro per l’Europa, giusto in tempo per la stagione mondana, Colin appare subito decisamente cresciuto. Non è più il giovane ragazzino trasudante immaginazione, ma un vero e proprio uomo, curioso e anche piuttosto spavaldo. Sembrano tutti molto contenti del suo ritorno, soprattutto Penelope Featherington (Nicola Coughlan), da sempre segretamente innamorata di lui. Al suo terzo debutto in società, Penelope non ha ancora trovato marito… Insomma, per la società è il prototipo della zitella. Sarà proprio Colin a offrirsi per darle una mano nel sedurre gli uomini di Londra. Chissà che dall’amicizia non possa nascere qualcos’altro… Bridgerton ci era proprio mancata! Tornare nella Londra dell’800, tra scandali, balli e musiche moderne rivisitate in maniera classicheggiante, ormai è un po’ come tornare a casa. Colin e Penelope sono dolcissimi e davvero molto affiatati, e il finale della prima parte lascia veramente con il fiato sospeso. Un ottimo cliffhanger, anche se per i bingewatchers non sarà facile digerire questa divisione e aspettare la metà di giugno per sapere che cosa accadrà (Netflix, non lo fare mai più, la curiosità ci divora!).
Ai più esperti, soprattutto i lettori dei libri, non sarà passato inosservato che il terzo romanzo aveva come protagonista non Colin ma suo fratello maggiore Benedict. I più scettici però non temano questa scelta, tutto ha un senso. Restiamo in attesa ora, con molta pazienza, per scoprire la conclusione di questo capitolo dedicato a Colin. Nel frattempo, continuiamo a schiacciare il tasto play all’infinito
Baby Reindeer, Miniserie, Netflix (Richard Gadd) – Recensione di Michele Cacciapuoti
Mutuando un concetto espresso da Alessandro Tenace, Baby Reindeer è una storia che permette agli uomini eterosessuali di avvicinarsi a capire l’esperienza di stalking, molestie e violenza con più immedesimazione e meno distacco, meno “incredulità” per dirla con Coleridge, meno sensazione di sicurezza.
Ed è così che ci si sente: un senso di ansia che sale a ogni cerchio della spirale che si stringe, ogni segno di follia in più della stalker, ogni passo falso del protagonista. L’esito grottesco è vivere con Donald Dunn l’angoscia per le conseguenze di un messaggio che l’amico ha inviato per scherzare; è l’inquietante incedere di Martha lungo il canale di notte, fino all’abuso che compie su di lui, accompagnata però da una risata infantile e quasi ingenua. Può sembrare incredibile tenendo conto dei temi messi in scena, ma questa serie traspone l’autobiografia dell’autore e attore protagonista. Lasciando fuori le questioni extra-testuali (la speculazione nata sulle identità dei personaggi, le accuse di falsità), Baby Reindeer non sembra una serie apologetica del protagonista, come qualcuno l’ha descritta – parlando strettamente del personaggio, e non del caso reale. Da un lato perché parla di reati sessuali, che non sono mai giustificati da alcuna azione della vittima, uomo o donna che sia – a dispetto del victim blaming che si legge ancora oggi nei commenti alla serie.
In secondo luogo, perché è tutto fuorché manichea: la scrittura riesce a tenere insieme due verità che non si escludono vicendevolmente, ossia che la vittima non “se l’è andata a cercare”, ma che degli errori sono stati compiuti da parte sua. E altre due verità: che il personaggio di Martha soffra plausibilmente di un disturbo quantomeno psicologico, e che abbia coscientemente molestato e usato violenza su Donald. È così che la serie riesce a rendere le difficoltà, le pressioni sociali, gli auto-sabotaggi che nella realtà ostacolano le denunce per reati sessuali: dal punto di vista registico, è la superficiale doppiezza dei personaggi che dovrebbero essere aiutanti e difensori del protagonista a creare, come in un thriller, la sensazione d’impotenza.
C’è da dire che Baby Reindeer dura uno o due episodi più del dovuto: non solo il finale (dopo la chiusura dell’arco di Donald nella puntata precedente e la fine della trama poco dopo) raggiunge il parossismo nella dipendenza di Donald dalla stalker, ma l’intero episodio flashback avrebbe potuto essere diluito. In generale, questo tipo di puntata stacca sempre troppo dal resto della serie, ma in questo caso è come se l’abuso raccontato (per quanto più crudo e cruciale per l’approfondimento del protagonista) intaccasse il peso drammaturgico della scena lungo il canale. Un plauso va certamente all’attrice Jessica Gunning, per l’interpretazione volutamente fastidiosa e insieme profonda di Martha.
Il clandestino, Stagione 1, RaiPlay (Rolando Ravello) – Recensione di Nina Fresia
“Il clandestino” è Luca Travaglia, ex ispettore capo dell’unità antiterrorismo, che ha lasciato Roma per approdare a Milano in seguito a un grave attentato all’ambasciata libica dei cui esiti si sente tremendamente responsabile. Travaglia crede di trovare nell’officina di Palitha, meccanico originario dello Sri Lanka, un posto dove dormire e dimenticare nell’alcol le proprie sofferenze, ma in realtà andrà incontro a ben altro: riscoprirà la propria vocazione e ragione di essere improvvisandosi (e riuscendoci a pieni voti) investigatore privato, in collaborazione con l’irrefrenabile padrone di casa.
La serie ha come sfondo Milano, che viene rappresentata sia nella sua appariscenza, sia da un nuovo punto di vista, ossia quello dei cittadini spesso considerati di seconda categoria. Travaglia con le sue indagini, infatti, tocca tematiche molto attuali per la realtà milanese e non solo: immigrazione, difficoltà a integrarsi, corruzione politica, intolleranza, scarsa sicurezza sul lavoro. Il clandestino esplora di puntata in puntata quartieri del capoluogo lombardo spesso oscurati dallo scintillante centro città e che raccontano una versione diversa di Milano, ma forse ancora più reale.
Travaglia, ben interpretato da Edoardo Leo, con un carattere cupo e un atteggiamento scontroso nasconde il suo lato più empatico e altruista, che emerge con chiarezza quando nel corso delle indagini sceglie immancabilmente di schierarsi dalla parte degli ultimi. E questo si riflette nel clima generale della serie: la serietà delle vicende affrontate è spesso addolcita da momenti di scambi umoristici, soprattutto tra il protagonista, esperto e sprezzante del pericolo, e Palitha, nel ruolo dell’aiutante maldestro.
Fiasco, Stagione 1, Netflix (Igor Gotesman, Pierre Niney) – Recensione di Luca Gualazzi
«What a Fiasco!».
Raphael Valand (interpretato dall’ottimo Pierre Niney) è un giovane regista alle prese con il suo primo film, una biografia di sua nonna, eroina della Resistenza francese. Le vicende della nonna vengono narrate attraverso diverse epoche: dalla preistoria all’illuminismo settecentesco fino alla Seconda Guerra Mondiale. Sul set, la troupe si trova a fronteggiare una serie di ostacoli, tra cui intoppi logistici, restrizioni di budget e incidenti che trasformano l’esperienza in un vero e proprio incubo. Tra questi si registrano casi di intossicazione alimentare, difficoltà finanziarie apparentemente insormontabili e molte altre complicazioni. A peggiorare la situazione, un atto di sabotaggio interno, perpetrato da un membro della troupe, rende tutto ancora più difficile.
Questa è la trama della nuova miniserie Fiasco, uscita a fine aprile su Netflix. Scritta e diretta da Igor Gotesman (che nella serie interpreta il cameraman Slice) con la collaborazione di Pierre Nineye François Civil (che interpreta Tom, migliore amico del protagonista). I tre tornano a recitare insieme come ai tempi di Five (in italiano Amici d’infanzia, del 2016). Tra gli altri attori spicca Vincent Cassel, nel ruolo dell’attore protagonista del film.
Gli eventi ci vengono raccontati tramite riprese in stile “mockumentary”, ovvero girando la finzione narrativa come fosse un documentario, come in The Office. Vengono utilizzati video del presunto backstage del film per creare un documentario sugli incidenti e i problemi occorsi sul set. Uno dei punti di forza della serie è l’intreccio delle situazioni folli in una storia estremamente ben congegnata, generando incomprensioni su incomprensioni. Tutto si sviluppa in un crescendo dinamico e frenetico, mantenendo alta l’attenzione dello spettatore.
Il problema dei 3 corpi, Stagione 1, Netflix (David Benioff, D. B. Weiss e Alexander Woo) – Recensione di Cristina Bianchi
Il problema dei 3 corpi è la nuova serie tv targata Netflix che sta facendo impazzire il pubblico. Si tratta del secondo adattamento dell’omonimo romanzo di Liu Cixin: il primo era la serie tv cinese, Sān Ti, uscita nel 2023. Tramite una narrazione non lineare (perché scorre su più linee temporali e si sposta in diverse regioni del mondo), la serie racconta del primo contatto tra una nuova specie aliena e gli scienziati terrestri più talentuosi. Il contatto avviene grazie a molteplici strumenti: innanzitutto, la realtà aumentata, utilizzata come un videogioco, permette a chi è stato invitato a giocare di capire e conoscere la nuova specie. Ma per interagire vengono scelti anche mezzi meno recenti, come la radio o un’antenna.
I tre registi David Benioff, D. B. Weiss e Alexander Woo hanno creato una serie tv che parla di incertezze umane, interrogandosi sui valori fondamentali della vita, e riflettendo sul libero arbitrio e sulle paure esistenziali dell’essere umano.