Giradischi è la rubrica dove vi consigliamo i dischi usciti nell’ultimo mese che ci sono piaciuti
FERITE di Capo Plaza
Ansia, fallimento e paranoie. È difficile farci i conti soprattutto nel mondo dello spettacolo, ancor di più se sei un ragazzo come Luca, in arte Capo Plaza, scaraventato nel mondo dell’industria musicale ancora minorenne. Il trittico soldi, fama e successo che arrivano con il primo disco “20” offrono la possibilità di sistemarsi, di stare più tranquilli. I sentimenti però non si regolano con la fama, le debolezze e le insicurezze non svaniscono con le mazzette di banconote. Luca se n’è accorto nel processo creativo del nuovo album “Ferite”, un racconto di fallimento e consapevolezza molto sentito, soprattutto per un artista considerato “superficiale” liricisticamente parlando. Premesso che ognuno ha il suo linguaggio, l’importante è che i concetti arrivino e siano sinceri. Il disco precedente “Plaza” aveva lasciato dell’amaro in bocca e non era stato totalmente compreso dal pubblico. Un “errore”, se così si può dire, che però è servito per aprirsi e raccontarsi nel nuovo album. A questo proposito è interessante la dimensione del rapper salernitano, in controtendenza rispetto ai suoi colleghi, a volte stereotipati come personaggi pieni di donne e di amici. Capo Plaza è l’esempio opposto, una sola ragazza, di cui tiene a sottolineare la sua vicinanza, e pochi amici, contati sulle dita di una mano. Ma non solo, tante fragilità e ansie, di cui solitamente non si parla, soprattutto se si ha un’immagine pubblica. “Mi hai lasciato solo tra ansie e pacchi sottovuoto” potrebbe essere il verso che riassume tutto il lavoro e forse i recenti anni di vita di Luca, il quale speriamo possa guarire da ogni ferita e godersi un album che sta facendo numeri incredibili.
LA CULTURA ITALIANA PT.1 di Diss Gacha
“Ma che versi fa quando canta, non lo capisco” questo è solo uno dei tanti commenti rivolti a Gabriele, in arte Diss Gacha. Ridurre un artista a dei rumori senza significato è però ingiusto, perché semplifica enormemente un ragionamento che avrebbe bisogno di maggior complessità. Partiamo dall’inizio, il 31 maggio 2024 è uscito il primo disco di Diss Gacha “Cultura italiana pt.1”, un progetto iniziatico che dà il via a una carriera ancora tutta da scrivere. La particolarità del rapper piemontese è l’utilizzo di uno slang tutto proprio, fatto di parole e significati specifici, a partire da termini che abbiamo imparato a sentire come “correre corsa” o “ballas”. Legittimo storcere il naso, non comprendere, ma basta ascoltare e contestualizzare per avere una visuale di insieme sul personaggio. L’album infatti vuole trasmettere vibes positive, che facciano rallegrare e divertire gli ascoltatori. Non solo, il concetto di cultura italiana, che poi conferisce il titolo al disco, è centrale in tutto il viaggio musicale e assume un significato tutto suo. Cos’è la cultura italiana? È la tradizione, i marchi di moda, il cibo e tutto quello che concerne l’artigianato di qualità. Diss Gacha quando parla di cultura però non si riferisce solo al marchio italiano ma anche alla mentalità americana, capace di portare innovazione e stili musicali inediti. Gabriele è ancora all’inizio del suo percorso e avrà tutto il tempo per trasmettere anche contenuti più intimi. Nel mentre possiamo goderci qualcosa di diverso e farci trasportare da uno spirito puro, capace di rallegrarci la giornata.
LONEWOLF di Madman
Lupo solitario, lupo mannaro o entrambi? Il titolo del nuovo disco di Madman “Lonewolf” andrebbe intuitivamente nella prima direzione. Un ascolto attento e oculato dell’album ci fa scoprire però qualcosa di diverso: vi è una dualità, un doppio filo che fa da sfondo a tutto il lavoro. Ciò potrebbe ricordare la vita di un vero e proprio lupo mannaro, di giorno uomo e al plenilunio lupo. L’album non arriva subito, questo perché la scrittura di Madman non è semplice, è fatta di incastri e citazioni, tutti a una velocità non poco sostenuta. Bisogna dunque impegnarsi per comprendere i vari significati nascosti fra le parole. La prima parte dell’album risulta più centrata su dinamiche sentimentali/sessuali in cui vengono esplicitate le esperienze carnali dell’artista pugliese. La seconda parte invece diventa nettamente più cupa e intima, raccontando le fragilità e la sofferenza di chi si sente solo nel suo mondo, ma anche di chi vuole stare bene con sé stesso. In generale però il tema della solitudine emerge anche nelle canzoni in cui tale sentimento non viene esplicitato; vi è una malinconia di fondo per fino nel racconto delle continue esperienze sessuali di Madman, racchiuse in un continuo circolo vizioso di vuoto e dopamina che sembra non potersi più fermare. Sono proprio i continui riferimenti al sesso che rendono il disco per alcuni stucchevole, per altri sincero, per alcuni un racconto bestiale per altri il racconto di un essere umano.
CVLT – HELLRAISERS di Salmo e Noyz Narcos
“Il dolore vi verrà fatto assaggiare fino a raggiungere vette così alte da diventare piacere assoluto”. Questa era l’avvertimento contenuto nel film horror Hellraiser, pellicola da cui hanno preso spunto Salmo e Noyz Narcos per dare il titolo alla repack di Cvlt, il disco con cui sono usciti nel novembre del 2023. Se Cvlt, come ci si poteva aspettare, aveva tantissimi riferimenti al mondo del horror, nella riedizione lo splatter delle rime viene meno. Salmo e Noyz sono ormai maestri nell’Hip Hop italiano, non hanno più bisogno di dimostrare nulla, i soldi sono stati fatti, la musica pure, i concerti sono una bomba, ma la voglia di divertirsi non si è mai spenta. Questo è stato il motore di Cvlt, che ha avuto la sua conclusione con Hellraisers, 5 tracce da ascoltare tutte di un fiato. Tra queste dobbiamo per forza citare “L’odio”, outro del disco. Se nelle commedie ciò che nutre il lieto fine è senza dubbio l’amore e le sue manifestazioni, non si può dire la stessa cosa dei film horror, che per quanto a volte possano anche concludersi bene, lasciano sempre sentimenti contrastanti. Non è un caso che sia infatti l’odio a chiudere il cerchio, un odio descritto per quello che è, “la via più facile”.
LA DIVINA COMMEDIA – IL PARADISO di Tedua
Uno degli errori di valutazione che sono stati fatti ascoltando la Divina Commedia di Tedua, è stato quello di confrontarla immediatamente con il capolavoro di Dante. Lo stesso sbaglio non deve essere fatto con il Paradiso. Tedua nella riedizione del suo ultimo disco, non vuole imitare il poeta fiorentino, ma scrivere la propria storia, certamente anche attraverso citazioni e reference, ma senza volersi mettere a stretto paragone con l’opera dantesca. L’unico filo conduttore è la narrazione di un percorso, di un lungo viaggio che ha portato l’artista a diventare una persona compiuta. Il sinonimo di Paradiso potrebbe essere consapevolezza. Siamo abituati a vedere il Paradiso come un luogo idealizzato in cui tutto è perfetto, ma all’interno non vi è solo beatitudine, vi è tutto, anche le sofferenze. La differenza con l’inferno è che nell’Eden il dolore è stato metabolizzato, è una ferita guarita, un tatuaggio da sfoggiare al mare. Non è un caso che Tedua con questo disco chiuda un cerchio, forse con i suoi amori, forse con suo padre, forse con sé stesso. Mario è nel suo prime, come da lui stesso dichiarato. Anche musicalmente parlando gli ultimi due anni lo hanno avvicinato a numeri incredibili, per questo possiamo comunque perdonargli la mancanza di fotta e di cattiveria che lo hanno sempre contraddistinto. Del resto il Paradiso non poteva essere certamente una repack hardcore. Ora però tocca tornare sulla terra, Tedua riuscirà a portare il Paradiso a Milano? Non ci resta che aspettare qualche giorno quando dovrà vedersela con l’ippodromo Snai di San Siro.