Del: 12 Giugno 2024 Di: Annachiara Esposito Commenti: 0
Povertà e Occupazione in Italia, un'analisi del Rapporto ISTAT 2024

L’ultimo rapporto dell’Istat dipinge un quadro complesso e preoccupante della situazione socio-economica in Italia. Nonostante la crescita dell’occupazione, il fenomeno del lavoro povero continua a espandersi, evidenziando profonde disuguaglianze e sfide strutturali.

Nel biennio 2022-2023, l’occupazione in Italia è cresciuta a un ritmo sostenuto, con un aumento di circa 10 punti percentuali rispetto allo scorso decennio. Questo incremento è stato trainato principalmente dai settori dei servizi e delle costruzioni, quest’ultimo favorito dai generosi bonus edilizi.

Tuttavia, la crescita dell’occupazione non ha portato a un miglioramento delle condizioni di vita per tutti i lavoratori. Il lavoro povero, definito come quello che non consente ai lavoratori di soddisfare le esigenze della propria famiglia, è in aumento. Oggi, il tasso di occupazione è del 61,5%, in crescita rispetto agli anni precedenti, ma ancora distante dai livelli di paesi come la Germania. 

Redditi e Inflazione

Nonostante alcuni segnali positivi, le retribuzioni contrattuali orarie non tengono il passo con l’inflazione, portando a una significativa erosione del potere d’acquisto delle famiglie. Negli ultimi dieci anni, infatti, è diminuito di quasi il 5%, mentre l’inflazione è cresciuta. Nel triennio 2021-2023, le retribuzioni contrattuali orarie sono aumentate solo del 4,7%, mentre i prezzi al consumo sono saliti del 17,3%.

Questo squilibrio è stato particolarmente evidente nel 2022, quando l’inflazione ha raggiunto il 7,6%. Negli ultimi mesi, tuttavia, la forte caduta dell’inflazione ha iniziato a invertire questa tendenza, sebbene molti settori restino in attesa del rinnovo dei contratti collettivi. A marzo 2024, il 34,9% dei dipendenti aveva il contratto scaduto, un dato che riflette l’urgenza di aggiornare le retribuzioni in vari comparti.

Questo ha portato a una situazione in cui molti lavoratori, nonostante abbiano un’occupazione, sono a rischio povertà.

La percentuale di persone in questa situazione è dell’11,5%, rispetto all’8,5% della media europea. Inoltre, il numero di famiglie in povertà assoluta è aumentato, raggiungendo i 2 milioni 235 mila famiglie e 5 milioni 752 mila individui. Ad aggravare le difficoltà dei lavoratori in merito alla retribuzione vi è una crescente situazione di precarietà, incentivata da contratti a tempo determinato che non creano stabilità e non concedono garanzie ai lavoratori e ai lavoratori part-time.

Necessità di un Salario Minimo Legale

Il Partito Democratico (PD) ha sottolineato la necessità di introdurre un salario minimo legale per affrontare il problema del lavoro a bassa retribuzione. Questo richiamo è rivolto al governo guidato da Giorgia Meloni, con l’invito a non ignorare le difficoltà economiche dei lavoratori. L’introduzione di un salario minimo è vista come una misura essenziale per garantire una retribuzione adeguata che possa sostenere una vita dignitosa per tutti i lavoratori.

Difatti in accordo con il M5S è stata portata avanti, a seguito della direttiva europea, una proposta di legge che garantisse un salario minimo pari a 9 € l’ora, ad oggi affossata in Parlamento dalla maggioranza, giustificando l’aspetto controproducente della misura, che porterebbe a una riduzione degli stipendi maggiore rispetto agli attesi miglioramenti.

La maggioranza, inoltre, non ritiene il salario minimo un aspetto prioritario, anche perché riprende i tre motivi citati dall’istituto del CNEL: il consiglio ritiene che sia errato parlare di povertà lavorativa dovuta a salari insufficienti; tale povertà deriverebbe, invece, da fattori come i tempi e i luoghi di lavoro, la composizione familiare e l’azione redistributiva dello Stato. Dunque la maggioranza si difende dichiarando di lavorare «a sostegno di un ordinato e armonico sviluppo del sistema della contrattazione collettiva» piuttosto che su un salario orario minimo.

Cosa stabilisce la direttiva europea riguardo l’introduzione di un minimo salariale?

La Direttiva Europea 2022/2041 stabilisce nuove norme per promuovere salari minimi adeguati, con l’obiettivo di garantire condizioni di vita dignitose. Gli Stati membri hanno tempo fino al 15 novembre 2024 per recepire questa direttiva nel diritto nazionale. L’iniziativa rappresenta un passo significativo verso il miglioramento delle condizioni di lavoro (anche in controtendenza rispetto alle normative del lavoro) per cui sebbene non impone l’introduzione di un salario minimo legale, lascia la decisione ai singoli Stati per intervenire in merito.

La direttiva introduce, dunque, una definizione accurata di salario minimo adeguato che oltre a garantire i bisogni di prima necessità deve essere in grado di coprire: «necessità di partecipare ad attività culturali, educative e sociali». Per cui definisce un salario minimo adeguato non inferiore al 50% del salario medio e al 60% del valore mediano; e nel caso di contrattazione collettiva nazionale la copertura di tale contrattazione col valenza erga omnes deve essere superiore al 70%

La commissione Europea spinge gli Stati all’introduzione di un salario minimo preferibilmente contrattuale, come quello ad oggi presente in Italia, in quanto parlando in maniera teorica, le parti sociali interessate dovrebbero avere maggiormente a cuore gli interessi dei lavoratori e le cifre stabilite non sarebbero senza criterio (come la proposta di legge abrogata). Il problema è che la commissione Europa non è realmente a conoscenza della situazione italiana, in cui nonostante la copertura dei contratti collettivi nazionali superiore all’80%, il lavoro a basso salario è in crescita e, insieme ad esso, il fenomeno del dumping contrattuale. 

Per dumping contrattuale si intende una tipologia di competizione sleale legata alla contrattazione collettiva. Le associazioni sindacali e datoriali poco rappresentative infatti, pur di entrare nella scena del mercato del lavoro, firmano accordi con poche tutele per i lavoratori e con dei salari al di sotto della soglia di povertà ISTAT.

Tali contratti riducono il costo del lavoro per i datori di lavoro, che avendo libertà di scelta del contratto collettivo di riferimento, applicano quello meno tutelante e per loro più vantaggioso.

Per concludere, nonostante la contrattazione collettiva e la sua ampia copertura, la sinistra italiana, guidata dal M5S e dal PD, sta spingendo per l’approvazione di un salario minimo legale. Questa misura potrebbe limitare i problemi della precarietà e contribuire alla riduzione del lavoro nero. L’Italia rimane uno dei pochi Stati in Europa (assieme a Danimarca, Finlandia, Cipro, Svezia e Austria) a non avere un salario minimo legale. 

Sebbene esistano i prerequisiti per un sistema contrattuale efficiente, questi non sono sufficienti a garantire il rispetto del principio dell’articolo 36 della Costituzione, che sancisce il diritto a una retribuzione proporzionata e sufficiente per assicurare un’esistenza libera e dignitosa a se stessi e alla propria famiglia. L’introduzione di un salario minimo legale rappresenterebbe quindi un passo fondamentale per colmare le lacune attuali e migliorare la qualità della vita dei lavoratori italiani.

Annachiara Esposito
Sono Annachiara, per gli amici Anna e studio scienze politiche. Fuorisede trapiantata a Milano, cerco di districarmi tra studio e passioni. Impegno tutto il mio tempo libero scrivendo, leggendo e lamentandomi del brutto tempo. Scrivo articoli su argomenti del cuore e parlo di femminismo in qualsiasi occasione.

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