Del: 29 Luglio 2024 Di: Redazione Commenti: 0
Hit Man è la miglior commedia di Richard Linklater

A tratti generali si può dire che sia un’estate con alcune conferme e alcune notevoli sorprese. Il 4 luglio le elezioni nel Regno Unito hanno consegnato ai Laburisti la più grande maggioranza dalla prima elezione di Tony Blair nel ’97. Come, del resto, ampiamente previsto dai sondaggi. Tre giorni dopo il Nuovo Fronte Popolare in Francia è arrivato, inaspettatamente, primo e ha conquistato la maggioranza relativa mandando in fumo le possibilità di un governo Bardella-Le Pen. 

Se poi si attraversa l’oceano, il 13 luglio, durante un comizio, l’ex presidente statunitense Donald Trump ha rischiato di rimanere vittima di un attacco terroristico, riportando una leggera quanto iconica ferita all’orecchio. Come tutti si aspettavano, invece, il presidente Joe Biden si è ritirato dalla corsa presidenziale la settimana dopo.

Domenica 21 luglio è stato il giorno più caldo mai registrato sulla terra. Ognuno decida se questa notizia sia sorprendente o meno.

Sul versante cinematografico, si possono dire pressappoco le stesse cose. Il nuovo film Disney-Pixar Inside Out 2 è andato benissimo (ne abbiamo parlato qui). Reazione diversa per l’atteso film di Yorgos Lanthimos, Kinds of Kindness, che invece è stato accolto con una diffusa delusione. 

Il nuovo film di Richard Linklater, Hit Man, non fa che confermarlo come uno dei massimi esponenti della sua generazione.

Texano, classe 1960, Linklater appartiene alla generazione che ha visto la New Hollywood e ha capito che si potesse fare cinema, spesso grande cinema, senza passare necessariamente dai grandi studios di Los Angeles. Il suo lungometraggio di debutto, Slacker, è un inno al cinema indipendente, con molte idee e poco budget.

Tra i suoi film più famosi vi sono sicuramente le tre parti della sua trilogia con protagonisti Ethan Hawke e Julie Delpy ovvero: Prima dell’alba, Before Sunset e Before Midnight. Nel 2006 ha poi trasposto in una specie di film-acquerello il complicatissimo romanzo di Philip Dick Un oscuro scrutare. Il risultato è A Scanner Darkly che, a quasi vent’anni dalla sua uscita, ha ancora un certo fascino visivo.

Il film che gli ha portato più onori è però Boyhood distribuito nel 2014, dopo dodici anni di riprese, per dare modo agli attori di invecchiare con i personaggi. Il tutto trattato con la maestria e la delicatezza di un artigiano del cinema. Non è un caso che sia considerato uno dei migliori film del decennio scorso, se non il migliore. 

Parallelamente a questi film più impegnati, il regista di Houston ha sviluppato una certa predilezione per le commedie. 

Nel 2003 confezionò il divertentissimo School of Rock con Jack Black. Nel 2016 realizzò Tutti vogliono qualcosa, una specie di sequel spirituale di uno dei suoi primi film, La vita è un sogno.

La miglior commedia della sua carriera, però, l’ha girata quest’anno: Hit Man è uno di quei film capaci di tenere legate così tante tematiche e così tanti stili e registri che sarebbe bastato pochissimo per farlo uscire dai binari.

La sinossi è questa: Gary Johnson è un professore di psicologia di New Orleans che nel tempo libero collabora con la polizia come consulente. I suoi colleghi lo definiscono apertamente noioso.

Tutto cambia quando poco prima di un’operazione sotto copertura il poliziotto Jasper viene sospeso per aver picchiato dei ragazzini. Gary si trova dunque a dover interpretare un killer a pagamento per incastrare le persone che richiedono i “suoi servizi”. Seppur titubante, Gary sostituisce Jasper e scopre di essere molto abile. In particolare, ha talento nell’interpretare il sicario giusto per convincere le persone ad affidarsi a lui, e dunque farle arrestare per tentato omicidio. 

Ma dal punto di vista personale, la creazione di questo alter ego, Ron, sicuro di sé e con la risposta sempre pronta, lo aiuterà a superare anche alcune difficoltà emotive. 

La scena, un po’ didascalica, in cui Gary/Ron spiega la teoria freudiana relativa ad Es, Io e Super Io fa capire esattamente dove la sceneggiatura voglia andare a parare. Tuttavia, l’immancabile complicazione arriva quando Gary/Ron, mentre è in missione, si innamora della donna che, subendo violenze dal marito, gli chiede di ucciderlo.

Gary è interpretato da Glen Powell, qui anche sceneggiatore, che è stato al cinema a inizio anno con il pessimo Tutti tranne te e che ora lo è anche con Twisters. La moglie-killer è invece l’attrice portoricana Adria Aronja, che ha partecipato a qualche serie tv di buon successo mentre per ora al cinema si era legata a produzioni non eccelse: l’insipido Triple Frontier di J.C. Chandor (che sino a quel momento non ne aveva sbagliata una), il chiassoso 6 underground (del recidivo Michael Bay) ed infine il terribile Morbius, in un ruolo che le è valso un meritato Razzie Award per la peggior attrice non protagonista. 

In Hit Man, Powell e Aronja hanno però una chimica invidiabile, e ciò riesce a valorizzare tutte e due gli attori che offrono quella che sino a qui è la miglior prova delle rispettive carriere. 

L’abile sceneggiatura, che prende gli elementi giusti da una storia vera ma ne inventa anche tante altre, è infatti costruita sul rapporto tra i due mentre inserisce nelle sfumature e mostra all’occhio dello spettatore più attento tutte le sue tematiche più interessanti. Il regista e critico francese Francois Truffaut ha affermato che, in passato, era convinto che «un film per essere riuscito dovesse esprimere simultaneamente un’idea del mondo e un’idea del cinema» ed in questo Hit Man è uno dei film più riusciti degli ultimi tempi.

Quando Gary scopre di essere così bravo a fare l’infiltrato, vi è un simpatico montaggio per rendere l’idea. 

Prima Gary crea il personaggio, dunque si dedica ai costumi e all’acconciatura, ed infine passa alla fase più importante: la performance, come la chiama lui stesso, in cui deve convincere l’interlocutore ad esporsi. Tutta questa trafila ricorda piuttosto da vicino quello che accade quando un attore deve interpretare un personaggio in una qualche opera di finzione.

Vi sono poi sottili critiche all’operato della polizia ma anche al funzionamento del sistema giudiziario, finché, durante un dialogo tra Gary e la sua ex, si offre una visione del mondo che sarebbe definibile shakespeariana. Ad un certo punto infatti, si ipotizza che per cambiare i tratti del carattere sia sufficiente impersonare abbastanza a lungo i tratti opposti. Per esempio, una persona introversa potrebbe divenire estroversa semplicemente interpretando una persona estroversa per qualche mese. 

Presupposto logico di questa teoria è una famosa battuta presente nella prima scena de Il Mercante di Venezia di William Shakespeare «Considero il mondo per quello che è, Graziano: un palcoscenico sul quale ciascuno recita la propria parte». 

Linklater propone dunque di prendere atto che siamo tutti attori e di rifiutare i ruoli che non ci piacciono. Un messaggio di grande impatto per una delle commedie più divertenti dell’anno.

Articolo di Matteo Dodero.

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