Del: 6 Luglio 2024 Di: Marco La Rosa Commenti: 0
Lo strano caso delle elezioni europee, dal ’79 ad oggi

Ancora una volta, tra critiche, polemiche e slogan polarizzanti, le elezioni europee ci hanno insegnato, innanzitutto, a volgere lo sguardo ad un dato della nostra politica che si disvela sempre di più: la minor affluenza degli aventi diritto.

Se infatti è vero che quest’anno la partecipazione politica ha toccato la soglia di un preoccupante 49%, che quantomeno chiede l’apertura ad un interrogativo vero e sentito, la nostra storia dimostra che l’Italia dal 1979 ad oggi si è animata a più riprese di una certa timidezza nell’adesione ad un progetto comune, nel riconoscimento di un valore unitario al quale fare riferimento.

Un sondaggio rivolto all’intera comunità europea, all’alba delle ultime elezioni che hanno visto trionfare Fratelli D’Italia, ha fatto luce su un euroscetticismo che, nonostante i discreti successi delle coalizioni europeiste, appare fortemente esasperato se posto a confronto con gli altri Stati membri: rispetto ad una media negli altri Paesi del 67%, solamente il 48% di italiani ritiene che il proprio Paese abbia voce in Europa. 

Come siamo giunti a questa disillusione?

Aderire ad un progetto implica come premessa necessaria il desiderio di esserci, la consapevolezza che la propria libertà dipende anche dalla propria partecipazione.

Partecipare significa anche affermare il proprio io, accettare di entrare nella dinamica dell’incontro con gli altri, del dialogo, che quel dialogo ci sia e che addirittura possa servire. Sottovalutare un aspetto così rilevante condurrebbe alla solita e fin troppo approssimativa retorica del “cittadino superficiale, che critica ma poi sceglie di non scegliere”.

Le prime elezioni del Parlamento Europeo, succeduto alla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), pur dimostrando una presenza ben radicata degli italiani alla vita politica (con un’affluenza del 85,65%, solo del 5,3% inferiore rispetto alle precedenti politiche), causarono alcuni dubbi circa l’utilizzo di questo nuovo strumento.

A problematizzare il sentimento di sostanziale vanità della votazione, fu ad esempio il corrispondente del The Guardian, Cole Palmer, che in un editoriale contemporaneo alle elezioni, le definì come «comodo sondaggio nazionale per interpretare il consenso riguardo a temi nazionali».

In Italia, invece, un video informativo diffuso nel 1979, poche settimane prima delle elezioni, mirava a promuovere una cognizione circa il valore del tema: «I grandi problemi di oggi non li abbiamo solo noi. In Europa per esempio ci sono oltre 6 milioni di disoccupati, e la maggior parte di essi sono giovani. Tutti i paesi della comunità ne sono consapevoli, e cercano insieme le soluzioni per uscire dalla crisi: perché ogni problema diviso per nove è un po’ meno grosso».  

I dati dell’affluenza a quelle prime elezioni europee spazzarono via, almeno apparentemente, i dubbi avanzati dalla classe intellettuale e giornalistica.

Durante gli anni ’80, le percentuali di affluenza si mantennero entro l’80% (82,47% nel 1984; 81,07% nel 1989).

Una nuova svolta si osservò in occasione delle elezioni del 1994, con una diminuzione dell’affluenza del 7,47 % rispetto al 1989.

In questa occasione, la mancanza graduale di fiducia verso le istituzioni, assunse i tratti della disgregazione di una stagione della nostra Repubblica.

Nell’anno della discesa in campo di Silvio Berlusconi, della frammentazione della DC e dello scioglimento della più antica forza partitica italiana, il PSI, l’elettorato apparve quasi deprivato di quelle certezze che i partiti di massa avevano garantito durante la Prima Repubblica.

Quello che poteva assomigliare ad un fisiologico calo di consenso, proseguì durante la prima metà degli anni Novanta, quando la cittadinanza italiana stessa fu  sconvolta dallo scandalo di Mani Pulite, l’indagine che dissolse una classe dirigente ormai impreparata ad educare agli strumenti della politica, alla consapevolezza dei propri problemi e alla capacità di affrontarli.

Le elezioni del 1994 subirono il peso di una stagione di processi, di omissioni, di quelle lacune che via via lacerarono l’iniziale partecipazione del 85% della cittadinanza italiana, che aveva inaugurato la posizione della Repubblica rispetto a quei grandi problemi che, divisi per 9, incutevano meno timore.

Il periodo di malessere, alimentato da quelle speranze vane che il governo Berlusconi aveva eretto, lasciò presto spazio ad una costante nel nostro Paese.

L’elettorato coinvolto in quel tumulto di scandali, in quel vuoto mai più colmato, parve in seguito più restio a prendere una posizione, in una costante crescita di astensionismo: dall’inaspettata vittoria del centro-sinistra di Romano Prodi del 2004, fino ai giorni nostri infatti è possibile osservare come l’astensionismo sia aumentato del 25,29 % (https://results.elections.europa.eu/it/affluenza/).

Quello insinuatosi nelle ultime 4 legislature europee, è più di un semplice dubbio: questo tipo di numeri dà conto di una vera e propria lacerazione fra il parlamento e gli aventi diritto al voto.

Stupisce dunque e necessita di una riflessione il caso di aumento di affluenza del 2019: l’aumento più significativo ha infatti riguardato la fascia fra i minori di 25 anni e fra i 26 ed i 39. Le cifre osservabili in tutta Europa, hanno dimostrato che il ricambio generazionale è avvenuto, e ha condotto ad un nuovo corso europeista, ad una nuova visione di mondo caratterizzata dall’adesione ad ideali comuni: la questione ambientale, per esempio, pur avendo caratterizzato il dibattito pubblico fin dagli ultimi anni ’90, si è recentemente intensificata nel quadro europeo.

Emergono così sfide che non possono essere affrontate nell’ambito dello scetticismo che ha dominato le scene politiche precedenti: risulta oggi necessaria, piuttosto, una nuova consapevolezza che impegni l’agire collettivo.

Lo strano caso delle elezioni europee si ricompone proprio qui, proprio in una politica che sorge dal modo di pensarsi Europa: a prevalere non è quella “disillusione giovanile” a cui troppo spesso la dialettica di cronaca ricorre.

A questi dati se ne affianca un altro, ancor più attuale: quello legato al voto, nel 2024, degli studenti fuori sede, che rimarca un’adesione pressoché indiscussa in favore degli attuali partiti di opposizione (la lista più votata è stata quella di Alleanza Verdi-Sinistra, con il 40,35%, seguita dal Partito Democratico con il 25,27%, mentre il partito vincente, di Fratelli D’Italia, ha raggiunto solo il 3,37%) 

Le elezioni europee potrebbero allora svilupparsi in una nuova direzione, alla luce della speranza che la nostra voce possa essere accolta.

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