Posted on: 3 Luglio 2024 Posted by: Michele Cacciapuoti Comments: 0
Papa Francesco è mai stato di sinistra?

Fino al 2013, sarebbe stato difficile pensare che certi ambienti di sinistra avrebbero trovato un riferimento nel capo della Chiesa Cattolica, fino a rimanere delusi dalle sue recenti sortite di stampo omofobo. Nell’arco di due settimane fra maggio e giugno, infatti Papa Francesco ha destato diverse polemiche dopo aver impiegato un termine offensivo per descrivere l’omosessualità dei seminaristi, essersi scusato a metà con una frase sessista e aver poi riutilizzato lo stesso termine.

Se la prima notizia appare più circostanziata rispetto alle successive (riportate da fonti anonime o dal blog vaticanista Silere non possum), si tratta in tutti e tre i casi di supposte affermazioni avvenute durante incontri a porte chiuse con vari membri del clero.

Incontri comunque non informali, in cui il pontefice avrebbe espresso apertamente ostilità all’inclusione delle persone omosessuali, un motivo di polemica che va oltre il solo uso di un termine volgare.

Si potrebbe sostenere che qualcuno a sinistra possa essere rimasto deluso, vedendo quantomeno sbiadire l’immagine progressista che aveva di Francesco (una delusione in realtà non del tutto nuova). È tuttavia sempre necessario verificare la sussistenza e soprattutto l’entità del fenomeno: quanto era diffusa quest’immagine e il conseguente sconcerto?

Tanto fra i semplici commentatori social quanto sulla stampa, a teorizzarlo sono voci soprattutto di destra, quale Il Secolo d’Italia.

Non si può del resto negare che a partire dalla sua elezione nel 2013 Bergoglio abbia incontrato molti umori progressisti. Lo stesso Di Cicco dell’Osservatore Romano lo definiva «di sinistra»: la scelta umile del nome francescano (ma lui è gesuita); la rinuncia all’anello piscatorio in versione aurea (meglio d’argento) e alla Mercedes di lusso (meglio la Volkswagen), persino all’auto blindata; la sua seconda enciclica Laudato si’ (2015), che legava l’ecologismo a una «opzione preferenziale per i più poveri», così come la terza Fratelli tutti (2020), in cui il pontefice ridimensionava la priorità della proprietà privata rispetto all’«uso comune dei beni creati per tutti».

In principio a connotare come progressista Bergoglio fu questa inclinazione anticapitalista, insieme all’atteggiamento accogliente verso le persone immigrate:

dopo il suo primo viaggio extra-diocesano a Lampedusa, intorno alla crisi migratoria del 2015 ebbe luogo uno scontro simbolico con un Salvini allora all’opposizione e in ascesa, ma che non si sarebbe arrestato con il suo arrivo al governo nel 2018-2019.

Fino a tempi più recenti, Salvini in effetti si è sempre rifatto più alla figura di Benedetto XVI, piegandolo a una lettura anti-immigrazionista e anti-islamica, nonché strizzando l’occhio a chi ne disconosceva le dimissioni e rifiutava in modo quasi scismatico il magistero di Bergoglio (apocalittiche profezie di Malachia a parte).

La cooptazione di Ratzinger nell’universo della destra può fondarsi sulla sua attività teologica in campo dogmatico che Salvini non manca di ricordare, o sulla reintegrazione della Fraternità di S. Pio X (vicina a Le Pen, anti-modernista, anti-conciliarista e già scomunicata), più che sulle accuse riguardanti la sua gioventù nella Germania degli anni Quaranta. Tuttavia, è bene considerare che queste categorizzazioni vengono spesso accentuate in modo relativo, in contrapposizione a predecessori e successori: così come l’immagine progressista di Bergoglio è scaturita anche in contrapposizione alla rigidità di Ratzinger, quest’ultima è stata talvolta vissuta in contrapposizione a Wojtyła.

Gioverebbe ricordare dunque che Giovanni Paolo II, tra i fautori della resistenza polacca alla dittatura filosovietica, trasformò quest’eredità in una strenua opposizione al comunismo (negando la specificità di quello berlingueriano), raggelando i rapporti con i Teologi della Liberazione (che conciliavano cattolicesimo e marxismo) in occasione della Conferenza di Puebla del 1979 – il tutto a fianco di Ratzinger, allora a capo dell’ex-Inquisizione.

Il posizionamento di Giovanni Paolo II non era del resto così lontano da quello di Paolo VI (Montini):

pur criticando il neocolonialismo capitalista nella Populorum progressio (1967), fu il primo a contrastare le interpretazioni marxiste della sua parola. In questo senso si poneva in modo molto meno innovativo rispetto a Giovanni XXIII (Roncalli), di cui pure aveva proseguito l’opera con il Concilio Vaticano II.

Intrecciate alle posizioni anticapitaliste in campo economico di Bergoglio sono quelle anti-americane sul piano internazionale: già dal 2016 ha iniziato a «scongelare» i rapporti con la Cina (giungendo a tensioni con il cardinale Zen, vescovo di Hong Kong successivamente arrestato), consigliando nel 2023 al popolo cinese di essere «buoni cristiani e buoni cittadini» (una sorta di Caesari Caesaris in versione dittatoriale, con riscontri comunque solo parziali).

È però dall’invasione dell’Ucraina che Francesco ha enfatizzato davvero il suo anti-atlantismo, in nome di un pacifismo motivato di fatto ideologicamente e in cui nuovamente protagonista era la Cina, ma che ha permesso a Salvini di superare la nostalgia per Ratzinger e riallacciarsi a Bergoglio (come su cannabis ed eutanasia), di cui ancora nel 2020 invece faceva imitazioni parodiche.

Una prima conclusione che se ne può trarre è dunque che il progressismo di un papa, almeno storicamente parlando, è sempre relativo:

deve fare la tara con i valori dell’istituzione che guida, va sempre riportato al contesto e agli standard dei posizionamenti ecclesiastici. Questo non toglie le differenze fra l’intransigente Pio IX e il più aperto Leone XIII, fra l’antimodernista Pio X e l’internazionalista Benedetto XV, fra l’anticomunista della Guerra Fredda Pio XII (Pacelli) e Giovanni XXIII, fautore del Centrosinistra.

Induce però a sfumare e rendere più complesso il discorso dell’anticapitalismo di Bergoglio: è in linea con la Teologia della Liberazione di Gutiérrez, con la guerriglia per cui diede la vita padre Torres, con i Cristiani per il Socialismo vicini ad Allende? O piuttosto con il Leone XIII delle Quamquam pluries (1889) e Rerum novarum (1891), a favore sì della giustizia sociale per gli operai ma in senso interclassista, rassegnato alle proprie condizioni subalterne e tenacemente anti-socialista?

Con il Leone XIII dell’Auspicato concessum (1882), che recuperava la riforma sociale francescana ma in senso paternalista e di beneficenza, o con la lotta di classe delle leghe bianche di Miglioli, del socialista utopista Saint-Simon che si ispirava alla comunione dei beni paleocristiana, dei socialisti evangelici Prampolini e Bissolati?

In secondo luogo, Bergoglio potrebbe anche essere leninista ma conservatore sulla comunità LGBT+, anti-atlantista ma ostile alla contraccezione, e soprattutto a favore dell’accoglienza delle persone migranti senza dover essere poi tanto di sinistra su altri temi: come il pacifismo o il solidarismo che esprime potrebbero essere ritenuti blandamente generici, così la sua posizione umanitaria verso chi muore in mare supera semplicemente un’asticella che altri hanno posto molto in basso.

Anche se le sue posizioni fossero più radicali, dunque, non dovrebbe destare sconcerto l’abbinamento del progressismo sui diritti sociali dei lavoratori e il conservatorismo o la reticenza su altri tipi di diritti civili, un binomio di cui non siamo di certo digiuni.

Applicando entrambe queste conclusioni al tema dei diritti civili, che cosa se ne può desumere? Che questo specifico tipo di progressismo non era implicato dalle sue più note aperture in campo sociale e che qualora presente andrebbe comunque relativizzato.

Certo, questo non implica che non vi fossero state aperture notevoli da parte di Francesco anche su questo terreno, e che dunque la delusione e la sorpresa odierne non abbiano qualche fondamento.

Notoriamente, nel 2013 il neo-eletto pontefice rispose «Chi sono io per giudicare?» a un ipotetico credente omosessuale, ma un’intervista ad Associated Press dieci anni più tardi ha chiarito i termini della questione: Bergoglio ha condannato le leggi che criminalizzano l’omosessualità (e se ci stupisce, anche qui l’asticella era bassa), perché «Non è un crimine […] Ma è un peccato».

Se è apprezzabile e non scontata la distinzione laicista fra le due cose, da una prospettiva interna alla Chiesa si tratta comunque di un forte ostracismo verso i fedeli omosessuali, considerati in virtù del proprio orientamento lontani da Dio e dunque da «accompagnare», feriti da «guarire», bisognosi di «assistenza […] per capire ed eseguire pienamente la volontà di Dio nelle loro vite» (parole del Papa, che nel 2018 ha anche consigliato la psichiatria per i bambini omosessuali).

Non è un caso che Francesco si sia detto a favore delle unioni civili e nulla più:

è dal 2014 che le intende come strumento per ottenere un miglior welfare, ma ben distinte dal matrimonio; qualcosa da poter benedire ma, diceva giusto l’anno scorso, assolutamente non validare (ché, per citare Meloni, «Hai già le unioni civili»).

Per carità, va considerata un’evoluzione nel tempo delle posizioni di Bergoglio (che smentisce l’idea di un Papa anziano ormai succube della Curia):

nel 2010, da arcivescovo di Buenos Aires, aveva guidato l’opposizione alla legge sul matrimonio fra coppie omosessuali in Argentina (cosa di cui si era pentito, ma solo in quanto aveva portato all’approvazione della legge). Allo stesso modo, il Papa ha più volte evocato il complotto della teoria gender, giungendo però nel 2023 a permettere alle persone transgender di fungere da madrine e padrini (pur tornando nel 2024 a indire inchieste sul gender).

In altri casi, a dire il vero, l’evoluzione sembra essere andata nel senso opposto: nel 2013 Bergoglio è divenuto il primo Papa a lavare i piedi a una donna, nel 2021 si è detto favorevole alla presenza di accolite donne ma non nel clero “ufficiale”, frenando però poi al diaconato femminile (e ribadendo lo scorso maggio che sono già «di grande servizio come donne», basta così – come con gli omosessuali).

È vero che l’anno scorso si è tenuto il primo sinodo con suffragio femminile e che a gennaio Bergoglio ha definito il «piacere sessuale» un «dono di Dio», minato però dalla stessa prostituzione che nel 2019 riconduceva tout-court alla schiavitù. Dopo timide aperture sui contraccettivi nel 2022, l’anno seguente Francesco ha riaffermato la linea dell’Humanae vitae, l’enciclica con cui nel 1968 Paolo VI aveva condannato i sistemi anticoncezionali, ignorando le proposte conciliariste.

E quella «cultura dello scarto», tanto decantata come l’attacco di Francesco al consumismo capitalistico nella Fratelli tutti, è diventata la locuzione con cui il Vaticano ha descritto l’aborto nel 2022, applaudendo la Corte Suprema americana che aveva appena cancellato il diritto federale all’interruzione volontaria di gravidanza.

Si intrecciano dunque due miti:

quello di una sinistra innamorata di Bergoglio, che ha delle basi di realtà ma circoscritte a un tipo di sinistra moderata (e cattolica, non liberal: Francesco è stato in genere più radicale sull’economia che sui diritti) e che plausibilmente si è gradualmente disamorata ben prima dei recenti commenti; e il mito di un Papa riformatore profondo se non rivoluzionario, da solo a combattere contro una Curia reazionaria e oscurantista (quasi un novello partito romano come quello di Ronca, Siri e Ottaviani che tramava dietro i papi Pacelli e Roncalli).

Quest’ultima immagine, nonostante la riforma curiale proprio del 2013, è stata recentemente contestata da ambiti agnostici e “illuministi” come la rivista MicroMega e oggi appare più adatta a un libro di Dan Brown.

Per tutti questi motivi, non solo non c’era da stupirsi dei commenti omofobi di Bergoglio – è difficile immaginare che qualcuno si sia effettivamente stupito.

Michele Cacciapuoti
Laureato in Lettere, sono passato a Storia. Quando non sto guardando film e serie od osservando eventi politici, scrivo di film, serie ed eventi politici.

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