Il 5 di ogni mese, 5 libri per tutti i gusti: BookAdvisor è la rubrica dove vi consigliamo ciò che ci è piaciuto di recente, tra novità e qualche riscoperta.
Madama Matrioska, Anja Boato (ACCENTO) – recensione di Matilde Elisa Sala
Nella nostra quotidianità gravitano ogni giorno persone diverse, che riempiono e arricchiscono le nostre giornate, persone che a loro volta stanno scrivendo il proprio percorso di vita, all’interno del quale fanno parte altri individui e così via, all’infinito. Per dirla con termini letterari, ognuno di noi è il protagonista della propria storia e, al tempo stesso, il personaggio secondario della storia di qualcun altro. Questo è proprio ciò che accade all’interno di Madama Matrioska, un romanzo in cui ogni capitolo approfondisce un pezzetto di vita del protagonista e i personaggi secondari diventano i protagonisti del capitolo successivo. Assassini, padri e madri, malati mentali, amici, bambini e persone infelici: condividono solo il luogo di provenienza, un paese senza nome, e brevi momenti in cui le loro strade si sono incrociate. Se le loro vite sono incastrate come delle matrioske, ciò che il romanzo insegna con grande tatto e sensibilità, è che ognuno di noi è costruito come una matrioska: bisogna andare oltre la superficie, togliere i pezzi e scavare sempre più a fondo, conoscersi e cercare di conoscere gli altri sempre di più, si sa mai che qualcuno abbia bisogno di una mano tesa in aiuto. Con grande empatia e umanità, Boato ci invita a leggere senza giudicare, lasciando che le parole ci smuovino e ci portino a riflettere. Se ne uscirà sicuramente scombussolati ma senza dubbio arricchiti.
V13, Emmanuel Carrère (Adelphi) – recensione di Clara Molinari
Venerdì 13 novembre 2015, una data che sprigiona dolore, rabbia, terrore. Una data marchiata dagli attentati terroristici di matrice islamica che avvennero a Parigi – tra il Bataclan, lo Stade de France e i bistrot – e causarono 130 morti e oltre 350 feriti. Una sofferenza collettiva che ha chiesto di essere raccolta e ascoltata. Carrère ha risposto all’appello: V13 è la narrazione del processo che vide come imputati i complici e l’unico sopravvissuto fra gli autori degli attentati, l’unico che rinunciò ad uccidere e a farsi saltare in aria, per paura o forse pietà. Gli altri componenti del commando morirono tutti: «l’azione della giustizia nei loro confronti si è estinta». Per quasi dieci mesi Carrère ha seguito le udienze del processo, le ha indagate, masticate per poi ricomporle in un libro che si articola in tre parti: «Le vittime», «Gli imputati», «La corte». Una narrazione che si interroga continuamente sul senso di giustizia, a volte in modo scomodo, ma profondamente umano. Mette nero su bianco alcune fra le testimonianze rese dai sopravvissuti o dai parenti delle vittime delle stragi. Sono testimonianze atroci, fatte di kalashnikov, orrore e «lucida agonia» (come in termini giuridici viene designato il sentimento di terrore di chi ha avuto coscienza del carattere ineluttabile della propria fine). Di fronte al peso di queste storie – si chiede Carrère – può trovare spazio l’idea della cosiddetta ‘giustizia riparativa’? Il padre di Lola, una ragazza rimasta uccisa negli attentati, scrive un libro, un dialogo con il padre di uno dei terroristi che si è fatto esplodere sul palco del Bataclan. Carrère registra le reazioni a questa iniziativa degli altri sopravvissuti e si interroga a sua volta: è bene mettere immediatamente a tacere quell’istintivo bisogno di vendetta che alberga in ognuno di noi, senza dargli prima libero sfogo? Il racconto del V13 si sofferma poi sugli imputati. «Dove comincia il patologico? Dove comincia la follia, quando c’è di mezzo Dio?» è la domanda rincorsa da Carrère. Si tratta di scovare nella vita di una persona quel punto di rottura che ne ha causato la deviazione verso il crimine. Tutti si aspettavano che gli interrogatori ai colpevoli sarebbero stati avvincenti, in qualche modo rivelatori. E invece no, gli imputati non hanno avuto quasi niente da dire. E a questo punto Carrère ribalta la questione: sono loro che non hanno nulla da dire o siamo noi che non abbiamo cercato di capire? L’ultima parte è dedicata alla corte: arringhe delle parti civili, requisitoria, arringhe della difesa e sentenza. L’autore rivolge uno sguardo attento a tutti gli attori che si muovono sul palco della giustizia, ne indaga il modo di porsi, le ragioni profonde che li guidano nel lavoro che fanno. Si avverte subito il fascino che il processo ha esercitato su Carrère e che finisce per avvolgere anche il lettore, in un racconto che stimola continuamente a interrogarsi e a non lasciare nessuna risposta intentata.
La neve in fondo al mare, Matteo Bussola (Einaudi) – recensione di Maria Cattano
La neve in fondo al mare è la storia di un padre e di un figlio; un figlio che soffre, che non riesce a combattere la malattia che lo costringe in un letto di un reparto di neuropsichiatria infantile, e un padre che questa malattia non la capisce, che vorrebbe stare vicino a suo figlio ma non ha le parole, è spaesato e non riesce a spiegarsi il dolore della creatura che ama più di se stesso. Non è l’unico in questa situazione; ogni piccolo paziente infatti deve avere un genitore costantemente al proprio fianco, e nelle brevi pause che gli sono concesse le mamme e i papà imparano a conoscersi, si confidano le rispettive paure, si consigliano a vicenda. Raccontano il dolore della malattia da un punto di vista esterno e al tempo stesso più interno che mai; non possono far altro che assistere alla battaglia dei loro figli, ma devono fare i conti con la rabbia, il senso di colpa e la sofferenza che li attanagliano mentre devono svolgere il ruolo di spettatore, di custode, talvolta di “punching ball” per i loro bambini, senza contare il resto delle incombenze quotidiane che non possono lasciare completamente fuori dal reparto. A chi non è mai capitato di pensare “non riesco a spiegare come mi sento, non ho le parole per descrivere questa sofferenza”? Bussola invece le parole le ha, trova un modo giusto per raccontare un dolore che spesso sembra indescrivibile, talmente profondo e disordinato che non si può dire. Ma sarà proprio con il “dire” che i protagonisti riescono ad iniziare il viaggio verso la guarigione, un viaggio che l’autore narra con una serietà ed una delicatezza uniche, regalando al lettore un potente senso di comprensione dopo averlo accompagnato dalla disperazione iniziale alla luce della speranza.
Museo di un amore infranto, Fabrizio Bonetto (ACCENTO) – recensione di Michela De Marchi
Spesso leghiamo la nostra vita ad oggetti e riguardandoli è come se contenessero tutti i nostri ricordi. Museo di un amore infranto di Fabrizio Bonetto parte proprio da questo aspetto dell’essere umano, narrando di un luogo, il Museum of Broken Relationships di Zagabria, museo sociologico peculiare perché espone manufatti che hanno simboleggiato relazioni amorose ormai finite. Si trovano anelli, buste chiuse, lampade a forma di fragola, cartoni di pizza e molto altro: tutti reperti che racchiudono storie uniche di un sentimento provato in passato e che ora risulta inafferrabile.
Da questa premessa l’autore si muove nell’universo intimo di Giacomo e Veronica, una coppia in crisi prossima al divorzio. Dopo vent’anni di matrimonio e due figli, capiscono che il filo che li legava si è ormai rotto, colpevole anche l’intrusione di una terza persona che apparentemente colma i vuoti di affetto di Veronica. La storia inizia dalla fine del loro amore e i capitoli, assumendo il punto di vista di lui o di lei, analizzano la doppia versione della loro relazione che risulta ambigua e incoerente. Da una parte troviamo Veronica, uno spirito libero e imprevedibile che sogna di viaggiare senza darsi itinerari prefissati, dall’altra Giacomo, il quale trova serenità nella sua precisione e nella routine. Bonetto si muove tra passato e presente, ripercorrendo il loro primo incontro, i lutti che hanno affrontato e i momenti del lockdown. Evidenzia, quindi, alcuni episodi salienti nel rapporto di una coppia che sembra vacillare sin dagli inizi, ma che tenta di salvarsi aggrappandosi alla speranza che tutto possa sistemarsi con il tempo. Ciò che il lettore percepisce non è altro che una relazione caratterizzata da brevi istanti di felicità e avventure affrontate insieme, ma costellata soprattutto da incomprensioni, insoddisfazioni e inconciliabilità. Tra i due punti di vista e intermezzi in cui vengono narrate le storie degli oggetti del museo di Zagabria, Bonetto restituisce al suo pubblico episodi di sbagli, malintesi, nostalgia e amarezza immergendosi nelle pieghe di un amore destinato a frantumarsi.
Ci sono cose più importanti, Cathy La Torre (Mondadori) – recensione di Jessica Rodenghi
È un po’ una moda quella di rispondere alle richieste di riconoscimento dei diritti con la domanda “ma non ci sono cose più importanti”? Si finisce così per ascoltare le disperate uscite di Matteo Salvini che non vuole diventare il genitore 1 per paura dell’arrivo del gender nelle famiglie: queste sì, sono cose più importanti. Esistono persone i cui diritti non sono sempre garantiti dalle leggi, che vengono marginalizzate anche dalle istituzioni, la cui presenza è sempre scomoda. Gay, disabili, queer, persone single che vogliono adottare figl3, chiunque voglia terminare la propria vita in modo dignitoso e per come ha deciso di farlo. Non sono poche, sia chiaro, ma sono questioni che vengono continuamente rimandate.
Il Ddl Zan viene accantonato e nessuno si accorge più delle violenze subite dalla comunità LGBTQIA+ ogni giorno, la proposta di legge del 2013 che voleva introdurre la figura dell’assistente sessuale per permettere alle persone disabili di viverla in modo autonomo e soddisfacente viene abbandonata e non si pensa più alla loro sfera affettiva. Il referendum per l’eutanasia, per la cannabis legale, le adozioni per famiglie queer o per persone single, la cittadinanza, il razzismo sistemico: i problemi sono tanti e tutti rimangono inascoltati, come se non esistessero. La politica italiana gioca a nascondere sotto al tappeto le questioni spinose, che si allontanano dall’idea di tradizione, convinte che prima o poi i problemi svaniranno da soli. Non è così: ad oggi milioni di persone rimangono inascoltate, silenziate da un mondo che accusa continuamente categorie marginalizzate di “censura” e “politicamente corretto”, giustificando così il loro non prendere provvedimenti a tutela di tutti i cittadini. Questo testo è del 2022, ma offre una panoramica chiara e lucida di ciò che accade in Italia ancora oggi. I problemi sono rimasti sotto al tappeto e nessuno al governo ha deciso di tirarli fuori, ma non si può continuare con questa strategia per sempre. Le lotte per i diritti non si fermano, soprattutto ora.