Del: 21 Settembre 2024 Di: Emma Pierri Commenti: 0

Enrico Berlinguer non ha certo bisogno di presentazioni. Uno dei politici più noti e influenti della storia italiana, la cui eredità lasciata al paese è incommensurabile, è particolarmente ricordato per l’introduzione del compromesso storico tra Partito Comunista Italiano e Democrazia Cristiana, per la questione morale sottoposta a dei partiti trasformatisi in servi del potere, e per la sua politica estera, culminata nell’eurocomunismo.

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Di origine sarda, Berlinguer nacque il 25 maggio 1922 a Sassari. Il suo impegno politico risale al 1943, durante la seconda guerra mondiale, quando a 21 anni aderì al Partito Comunista Italiano e partecipò al movimento antifascista. Cinque anni più tardi, Berlinguer entrò nella direzione del PCI, venendo anche nominato segretario generale della Federazione Giovanile Comunista Italiana. Nel 1972, infine, divenne segretario del Partito Comunista, dando forma a una collaborazione tra forze comuniste, cattoliche e socialiste. 

Berlinguer esercitò i propri incarichi politici in uno dei periodi più complessi della storia del nostro Paese. Negli anni Settanta e Ottanta, la guerra fredda continuava a prendere piede, insieme ai movimenti di liberazione originati dai movimenti studenteschi del Sessantotto e dai movimenti operai del 1969. Inoltre, tra il 1974 e il 1975 si verificò una crisi economica causata dall’aumento del prezzo del petrolio.

In queste circostanze prese forma l’idea di politica estera di Berlinguer, caratterizzata da un allentamento dei legami con il Partito Comunista sovietico – che pure continuava a esercitare un’indiscussa influenza sul PCI. Le prime lesioni nel legame tra comunismo italiano e URSS, infatti, risalgono addirittura al 1968, quando i comunisti italiani espressero il loro dissenso nei confronti dell’invasione della Cecoslovacchia da parte dei sovietici.

Il sogno di politica estera di Berlinguer prese il nome di “eurocomunismo”.

L’eurocomunismo è conosciuto in tutto il mondo come la tendenza autonoma perseguita negli anni Settanta dai Partiti Comunisti italiano, francese e spagnolo nei confronti dell’Unione Sovietica. Grazie all’allentamento della tensione tra i due blocchi in seguito alla fine della guerra in Vietnam e all’invasione della Cecoslovacchia, infatti, i partiti comunisti europei ebbero l’opportunità di operare più liberamente. 

Il progetto ideato da Berlinguer, Marchais e Carrillo nel 1977 si basava sulla concezione di una politica autonoma in grado di superare il capitalismo, e sul riconoscimento della democrazia come fine ultimo in grado di garantire la libertà di ognuno. Berlinguer, insieme ad altri leader comunisti europei, si oppose dunque al comunismo sovietico. La sua idea fu di costituire un modello occidentale di comunismo, trasformando il Partito Comunista Italiano in un punto di riferimento per gli organismi politici analoghi nel resto del continente. 

Questo scisma, naturalmente, minacciò l’influenza dell’Unione Sovietica sull’Europa occidentale; così, Breznev intimò Berlinguer di abbandonare l’eurocomunismo e i suoi progetti di politica estera. Rifiutando i finanziamenti dai sovietici e ignorando l’ultimatum di Breznev, Berlinguer diede il colpo di grazia ai rapporti tra PCUS e PCI. 

Nonostante la rottura con l’URSS, il fronte americano e, nello specifico, il segretario di Stato statunitense Henry Kissinger, rimase diffidente nei confronti del leader comunista italiano. Non a caso, la critica dei comunisti italiani nei confronti degli USA continuò forte e chiara, attribuendo la colpa della fine della distensione esclusivamente al fronte americano.

In questa prospettiva, il PCI assunse la leadership del comunismo europeo, dando vita a un nuovo modello di socialismo, e garantendo pace e sicurezza.

Durante la guerra fredda, l’eurocomunismo di Berlinguer si consolidò come nuova realtà, ma nonostante le speranze del suo promotore, non riuscì ad affermarsi come movimento politico. Il periodo storico in cui prese forma è intricato e pieno di contraddizioni, sia in Italia (afflitta dalla strategia della tensione), sia all’estero. È per questo che l’eurocomunismo si è rivelato un fenomeno anomalo del secondo Novecento; un’eccezione, non la regola.

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