Del: 16 Ottobre 2024 Di: Michele Cacciapuoti Commenti: 0

Creare un personaggio, donargli tratti evidentemente antagonistici e negativi, inserire nella storia una morale tanto chiara da risultare quasi manichea, eppure vedere il messaggio sorvolare parte del pubblico, che da quel momento prenderà a idolatrare il villain.

È uno dei rischi a cui si espone lo scrittore (di libri, di film, di serie TV): è più della semplice possibilità che qualcuno simpatizzi con un personaggio grigio e ambiguo (come Piton in Harry Potter), deviato magari da considerazioni extra-morali (l’aspetto estetico) unite ad altre anti-morali (l’archetipo del bad boy, che unisce James Dean a Nikita) – com’è avvenuto con Draco Malfoy nello stesso franchise. In questi casi, infatti, la riabilitazione viene esercitata su personaggi non puramente cattivi, o con la consapevolezza di star agendo in un campo amorale o scientemente anti-etico.

Il rischio maggiore è invece quello di vedere incensate personalità estremamente problematiche o tossiche, qualora il messaggio dell’opera sia appena velato e il villain non sia platealmente disneyano.

Allora l’antagonista non viene cooptato fra i “buoni”, perché anche lui in fondo ha le sue ragioni; piuttosto viene ribaltato (o introdotto ex novo) un manicheismo opposto per cui il cattivo è il vero e unico buono.

L’esempio principe è quello di Patrick Bateman, il finanziere e squilibrato assassino interpretato da Christian Bale in American Psycho (2000), trasposizione dell’omonimo romanzo di Easton Ellis. È piuttosto risaputo che Bateman sia divenuto uno dei riferimenti iconografici della cosiddetta manosphere (un termine ombrello che copre diversi contenuti e correnti di pensiero generalmente maschilisti e misogini): senza eccessivi allarmismi – ché la sua diffusione è in realtà oggi soprattutto ironica e memetica – è opportuno constatare che il killer sia legato soprattutto alla retorica del cosiddetto sigma male.

Patrick Bateman

Quest’ultima si inserisce in un’innovazione della tradizionale ripartizione gerarchica degli uomini fra alfa e beta (e a scendere), ossia fra dominanti e dominati: si tratta di una teoria pseudoscientifica che poggia a sua volta su quella (altrettanto pseudoscientifica) dei lupi alfa, sconfessata da uno dei suoi stessi coniatori; oltre a prestarsi bene a teorie politiche che hanno già dato i loro marci frutti, si tratta di una tesi convalidante comportamenti chiaramente tossici. Nella seconda metà degli anni 2010, più o meno in concomitanza con la diffusione della cosiddetta “rivoluzione beta del gruppo incel (i misogini celibi involontari), è emersa l’idea di un maschio che andasse al di là persino degli alfa, rifiutando la gerarchia, un lupo solitario e introverso: il sigma male, apparentemente nato dall’estrema destra stessa.

L’esempio di Bateman non è però illuminante solo dal punto di vista delle posizioni dei suoi fan sui diritti civili, bensì aiuta a comprendere meglio il fenomeno più ampio della rivalutazione positiva dei personaggi negativi. Partendo proprio dalla sua connessione con i sigma male, va sottolineato che l’idea di una “mentalità sigma” ha subito a un certo punto la crasi con il cosiddetto grindset motivazionale (il grind mindset, ovvero la mentalità che ti fa “macinare”, che ti fa lavorare e guadagnare – la forma mentis per “fatturare”, si direbbe da noi): l’esito chimerico è il sigma grindset, che (seppur ancora una volta soprattutto ironico) unisce mascolinità tossica e atteggiamenti da squalo della finanza o yuppie anni ’80.

Non è un caso che, nella sua denuncia di questa celebrazione di Bateman, El País abbia fatto precedere l’aggettivo «misogino» da «opportunista» (e l’abbia fatto seguire da «consumista»). Diversi dei personaggi negativi indebitamente adorati, in effetti, appartengono all’alveo dei finanzieri senza scrupoli.

Il più iconico di questi è senza dubbio il broker e truffatore Jordan Belfort, nell’interpretazione di Di Caprio all’interno di The Wolf of Wall Street (2007), adattamento della sua vita reale ad opera di Scorsese. Belfort (che del resto l’enciclopedia Know Your Meme lega proprio al fenomeno del sigma grindset, con Bateman) compare nella lista di «personaggi cinematografici idolatrati che non andrebbero ammirati», compilata da ScreenRant nel 2022. Prima di lui, il finanziere e self-made man Gekko di Michael Douglas in Wall Street (1987) è stato trasformato da antagonista (rispecchiante il rampantismo yuppie di allora) a idolo del grindset amorale.

Eppure connotare questo fenomeno in senso esclusivamente economico-politico, se non di classe, sarebbe fuorviante: come si potrebbero conciliare Bateman, Belfort e Gekko con il Tyler Durden di Fight Club (1999), interpretato da Brad Pitt e incluso nella lista di ScreenRant? Il coprotagonista del film di Fincher (adattamento di un romanzo del 1996) condivide chiaramente il messaggio anticapitalista, anticonformista e anticonsumistico del film, a differenza dei sopracitati antagonisti.

Del resto, la sua controparte denominata Narratore (Edward Norton) incarna l’everyman, l’impiegato “colletto bianco” dei piani bassi, non certo uno squalo o un tycoon: più che al grindset, sembra piegato alla hustle culture, l’etica del lavoro iper-produttivo che poco ha a che fare i sigma delle criptovalute e del reddito passivo (se non i post motivazionali contro hobby e riposo, visti come perdita di tempo). Ed è infatti lui a rappresentare davvero l’omologazione consumista, ben più di Bateman.

Eppure anche Durden, per ammissione dello stesso regista, è incappato nell’idolatria di «incel ed estrema destra»: se non è l’aderenza a una linea economica, cosa accomuna allora questi personaggi? Ampliando la prospettiva, vi è in questi un forte individualismo (anarcocapitalista in un caso, meno definito nel secondo).

Questo può essere declinato in senso neoliberista (come all’inizio del recentissimo The Apprentice su Trump, i cui effetti sono ancora da vedersi), o malavitoso (ScreenRant cita Vito Corleone del Padrino), o ancora da vigilante (come Punisher, tanto che la Marvel ha dovuto prendere posizione; in parte come il Michael Douglas di Falling Down; come il fumettistico Judge Dredd).

Più spesso, ad esso si abbina un forte cinismo, che spazia dall’umorismo edgy all’utilitarismo opportunista, passando per il relativismo morale di stampo nietzschiano (proprio con Judge Dredd c’è chi evoca un nichilismo alt-right). In questo panorama possono inserirsi personaggi presenti in un’altra lista, compilata da Buzzfeed nel 2022: il supereroe Deadpool, lo scienziato protagonista di Rick and Morty, Light Yagami dell’anime Death Note; ma anche Cartman dalla serie animata South Park, o il protagonista eponimo di BoJack Horseman.

Fra i villain cinici erroneamente glorificati non può mancare Joker, il cui folle sadismo è stato declinato talvolta in senso anarco-terroristico (nel film di Nolan, tacciato di “bushismo”), talvolta come la riottosa vendetta di un reietto, come nel film del 2019.

Quest’ultimo è stato definito dalla CNN una parabola del fenomeno incel (trumpiano e persino già nixoniano), da altri una denuncia dell’atomizzazione capitalista, da altri ancora una storia di sinistra se non marxista. Se sulle reali intenzioni del regista Phillips si dibatte, sembra esserci consenso sul fatto che il Joker di Joaquin Phoenix sia stato indebitamente idolatrato e che il film sia stato equivocato – dagli incel secondo molti, da sinistra secondo altri. Il sequel appena uscito, per contro, pare aver deluso gran parte del pubblico originario: definito «un audace dito medio alzato contro i fan quanto gli hater del primo film», è stato paragonato dal duo di Tlon a Matrix Resurrections (2024) proprio in quanto volontaria delusione delle aspettative di un pubblico che aveva distorto il film originario.

E in effetti già si vedono interpretazioni per cui il vero problema del film non sarebbe altro che la comprimaria femminile, Harley Quinn, distante dall’incompreso Joker – senza con ciò voler dare eccessiva rilevanza né accusare di sessismo pagine di meme peraltro generaliste e non strettamente cinematografiche; d’altronde, si tratta di battute che insistono più che altro sull’incongruenza fra trama e formato del musical.

Qualcosa di analogo si può registrare nel comparto televisivo, con la ricezione delle ultime stagioni della serie The Boys: il principale antagonista Patriota, parodia dei supereroi e ormai caricatura satirica sempre più evidente della destra trumpiana, inizia a raccogliere qualche consenso apparentemente meno critico.

Circolano ad esempio montaggi de facto celebrativi della sua superiorità rispetto a quello che viene percepito come girl power forzato sui personaggi femminili (che ricorda, fra le altre, alcune polemiche riguardanti Captain Marvel e Miss Marvel). Su pagine ancora una volta generaliste (a differenza dei fan di Bateman o Fight Club, spesso sedicenti cinefili, nerd o di nicchia), l’apprezzamento per il personaggio di Patriota appare confondersi con quello per il suo interprete Anthony Starr.

Ancora, è su queste stesse pagine che si è particolarmente insistito sugli attacchi estetici all’attrice protagonista Erin Moriarty riguardanti la chirurgia plastica; con ciò non si vuole accusare neanche queste piattaforme tout-court di sessismo, né tantomeno di responsabilità dirette nel temporaneo ritiro di Moriarty dai social lo scorso gennaio, a seguito di ben altro bullismo estetico (che abbiamo trattato su Magma). Altre pagine che hanno attaccato l’attrice, peraltro, si sono rivolte anche contro l’aspetto di Laz Alonso, interprete di Latte Materno.

Eppure viene spontaneo chiedersi come sia possibile che un prodotto con dei villain così chiaramente delineati e ormai divenuto un’allegoria anti-trumpiana quasi didascalica venga travisato da certi fan,

al punto da spingere l’attore Tomer Capone a difendere la bisessualità del suo personaggio (Frenchie), o l’attrice Valorie Curry (Firecracker) a dover spiegare l’inammissibilità della replica reale di alcuni comportamenti osceni di Patriota nei suoi confronti.

La risposta sta forse nella problematizzazione del verbo appena utilizzato, “travisare”: secondo il sopracitato articolo di Buzzfeed, gli utenti in questione «non capiscono» l’opera, non ne comprendono la satira più o meno velata, non afferrano che il regista ha dipinto quel personaggio come negativo. In alcuni casi può essere vero, ma resta la possibilità di una cosciente risemantizzazione di un simbolo usato negativamente dagli avversari (una pratica che dura dal Seicento dei Geuzen, passando per il neofascismo fino ai Repubblicani weird).

Ancora, non va confuso con la celebrazione il mero fascino per un personaggio oscuro, che non è una novità almeno dai tempi degli studi sulla dark triad del 2002, così come non è nuova la confusione fra attore e personaggio (innescata dagli albori del cinema hollywoodiano, secondo gli studi di Staiger negli anni Ottanta). Gridare al “pericolo emulazione” ogni volta che esce un film su Joker non è esagerato quanto la crociata boomer contro i videogiochi sparatutto (che d’altronde trae origine proprio dagli studi su cinema e TV)?

Ancora più in generale, sostenere che questa parte del pubblico “si stia sbagliando” implica che esista un senso univoco e oggettivo nell’opera artistica (scaturito dall’ispirazione dell’autore in senso crociano, o intrinseco al testo in senso formalista), cui il lettore non partecipa in alcun modo: una tesi oggi quantomeno relativizzata, se non superata dalle teorie della ricezione e dagli studi sul contesto.

E allora forse sono proprio l’esclusione e la demonizzazione risultanti dal loro ruolo di villain a rendere appetibili questi personaggi a chi vuole farne un simbolo d’individualismo, cinismo e pensiero fuori dagli schemi.

Michele Cacciapuoti
Laureato in Lettere, sono passato a Storia. Quando non sto guardando film e serie od osservando eventi politici, scrivo di film, serie ed eventi politici.

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