Del: 21 Ottobre 2024 Di: Marco La Rosa Commenti: 0
La storia di Palmiro Togliatti: l'uomo "fedele al Partito"

Quella di Palmiro Togliatti, come del resto della maggior parte degli uomini che hanno camminato sul suo stesso suolo, vissuto gli stessi ambienti e osservato quello strano e irripetibile tempo, è una storia che si incardina su moltitudini di strade, conservando in ognuna di esse un filo rosso, una domanda radicata al cuore di quello specchio di mondo che è stata l’epoca fra il 1927 e il 1964: quanto si è disposti a sacrificare per il bene di un partito? Su quante limitazioni alla libertà si è disposti a tacere per resistere ad un ideale?

Di per sé, raccontare il Togliatti controverso e conflittuale, con se stesso e con ciò che si trova vivere, significa soprattutto raccontare di un momento storico il cui perimetro si traccia a partire dall’altro, dal nemico, dal male da combattere, da quella cortina di ferro annunciata da Winston Churchill, che in Italia vide nel segretario del PCI una realizzazione peculiare, rispetto ad altri Paesi.

Nato a Genova il 26 marzo 1893, Togliatti cresce a contatto con realtà completamente diverse quali il capoluogo ligure, per poi passare a Novara e infine sedimentare i propri principi a Torino: realtà diverse ma unite da una tensione, quella volta all’organizzazione proletaria, a quel sogno scoperto con il manifesto di Marx ed Engels nel 1848.

Ai primi anni di aspra giovinezza risale quella sua promessa di appartenenza al partito che più di tutti stava aprendosi alla molteplicità, alla precoce consapevolezza di osservare il reale sotto il filtro di una creatura politica che varcò le soglie dei maggiori parlamenti europei soltanto nei primi del ‘900: la massa.

Il giovane Togliatti aderisce già nel 1914 al Partito Socialista Italiano, preludio di un percorso intellettuale che lo condurrà alla fondazione, nel 1921, del Partito Comunista Italiano. In questo passaggio osserviamo una prima svolta cruciale, che rende conto delle tensioni che dirameranno il sentiero delle scelte politiche di Togliatti: la convinzione di abbandonare il riformismo socialista, in favore della costruzione di una forza partitica comunista sorge dalla credenza di avere, dinnanzi a sé, le premesse per una rivoluzione proletaria. Credenza tuttavia poi evoluta nella consapevolezza della difficoltà, se non impossibilità, di attuare la suddetta rivoluzione nel quadro politico successivo alla Conferenza di Jalta del 1945.

Complice l’intensa attività di irradiamento della cultura comunista attraverso la rivista L’Ordine nuovo, fondata nel 1919, Togliatti, Gramsci e Terracini acquisiscono un ruolo primario nei consigli di fabbrica, fra gli stabilimenti metallurgici che componevano la stragrande maggioranza di forza lavoro del Nord del Paese.

L’idea degli intellettuali torinesi è chiara: assimilare il modus operandi dei soviet che nel 1917 ha cambiato irrimediabilmente le sorti della Russia e di tutta l’Europa orientale, auspicando ad una reale unità con il governo centrale. Si configurano le basi di un programma unico comunista, che pone in essere il sostentamento di un corpo solo, le cui ossa si riconducono ai partiti da ogni angolo dell’Europa. Il proposito è sancito anche da una benedizione:

Lenin approva il settimanale fondato dai comunisti italiani, ponendo ulteriori premesse alla futura collaborazione fra il comunismo sovietico e il PCI.

L’ancora giovane segretario della Sezione socialista torinese si rende conto del prevalere netto, per la prima volta nella storia del Paese, del proletariato industriale e, di conseguenza, capisce di avere redini tali da allentare il compromesso che lo legava alla stretta borghese. La precisa coscienza di un’identità, quella proletaria, da costituire senza filtri e negoziazioni, si rivela però un barlume di speranza fin troppo ingenuo, persino nel momento di massima coesione della classe in lotta come il biennio rosso, e lascerà presto spazio ad un metodo di pensare la politica di cui Togliatti sarà maestro.

La data che segna quel filo rosso, che accompagnerà la vita politica di Togliatti fino alla fine dei suoi giorni, è il 1934: il soggiorno a Mosca, cuore pulsante di quel sogno che gli era stato sottratto dal regime fascista, è emblema di una progressiva scalata che Togliatti compirà fra le fila degli uomini fedeli allo stalinismo, fino ai suoi anfratti più radicalmente totalitari e ossessionati da quell’ideale di unità, che ben presto assorbirà ogni altro spazio di azione del pensiero comunista.

L’inizio del Grande Terrore staliniano, quella repressione violenta e sistematica del regime sovietico per accelerare l’epurazione del Partito, coincide infatti con il periodo di maggiore determinazione ed influenza dello stesso Togliatti nell’Internazionale Comunista, ruolo che lo porterà ad assumere il centro di controllo effettivo sulle operazioni di resistenza della Spagna repubblicana durante la guerra civile, in quanto ambasciatore del Comintern, in cui l’ordine dell’URSS di epurare anche le forze di sinistra anti-staliniste e le opposizioni anarchiche che stavano prendendo piede venne svolto alla perfezione.

È in questa serie innumerevole di atti diplomatici (e non) che, più che in ogni altro momento si evince il l’animo sfaccettato del dirigente: la posizione di massimo portatore della cultura comunista globale si traduceva de facto, allora, nel cedimento, obbligato, alle richieste di un sistema politico che aveva completamente mutato il suo approccio, le sue domande, i suoi stessi elementi costituenti. Se il collega di partito, Antonio Gramsci, dalle carceri degli anni ’30 rifletteva su una rivoluzione che fosse intellettuale, morale, al di fuori di esse Togliatti viveva la sua Rivoluzione, una rivoluzione in cui dovette accettare quel compromesso all’interno, nelle viscere della Rivoluzione stessa.

Così, da simili presupposti nacque il PCI, che poté per un certo periodo essere assimilato quasi a una costola dell’Unione Sovietica; tuttavia si sarebbe poi verificata nel Dopoguerra una situazione più ambigua, per cui il leader del più grande partito comunista occidentale si sarebbe progressivamente distanziato da Stalin, perseguendo vie non direttamente rivoluzionarie e teorizzando infine la “via italiana al socialismo“.

Il PCI venne allora forse a rappresentare una frazione di quel disegno, compiuto con i carri armati di Khrushchev che varcheranno i confini di Budapest nel ’56; ma anche quel sentimento di pura e osservata fedeltà, e quella lotta con se stesso che il segretario Togliatti ha combattuto rimarrà il manifesto di un’idea che, per preservarsi, ha dovuto barattare l’unità per l’ideale.


Fonti:

Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, E.A. Rossi, V. Zaslavsky

Palmiro Togliatti dirigente del Comintern. Democrazia, internazionalismo e nazionalizzazione del comunismo, G. Fiocco

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