La sera di sabato 21 Settembre 2024 il palcoscenico del Teatro Nazionale di Milano ha ospitato lo spettacolo Luci e Ombre, una suggestiva ed emozionante rappresentazione in danza di malattie e disagi della sfera mentale finalizzata a sensibilizzare su tematiche tanto delicate quanto diffuse.
Lo spettacolo, finanziato dalla Commissione Europea, è figlio del progetto Horizon Europe HappyMums ed è stato ideato dalla Professoressa Annamaria Cattaneo, docente del Dipartimento di Psicofarmacologia e Psichiatria Molecolare presso l’Università degli Studi di Milano, responsabile del Laboratorio di Psichiatria Biologica dell’IRCCS Fatebenefratelli di Brescia dove è anche Vice-Direttrice Scientifica.
In particolare, a rendere vivo questo progetto sul palco milanese sono stati:
gli attori di Potsherds – La compagnia dei Cocci, le scuole di arti marziali A.S.D. Scuola di Judo Trezzo e A.S.D. Shentao Scuola di Arti Marziali, e, da ultimo, il corpo di ballo di Dance ‘N Project Company sotto la direzione artistica della coreografa Chiara Pignatelli, che Vulcano ha intervistato.
«Mi è stato chiesto di andare oltre la scienza, rappresentare la parte emotiva, perché altrimenti rischiamo di trovarci troppo tardi a riconoscere questi problemi. […] Per questo puntiamo non sugli articoli scientifici ma sulla pancia delle persone, perché tutte le persone lo percepiscano, perché può capitare a chiunque» ha affermato Pignatelli, mettendo in chiaro da subito l’importanza di un linguaggio suggestivo come quello della danza, «che nasce dall’anima», o di altre forme artistiche, per arrivare direttamente al cuore delle persone e diminuire lo stigma alienante e discriminante su malattie e disagi psichici.
Lo spettacolo, ha sottolineato, è iniziato con la lettura di alcuni fatti di cronaca che, a primo acchito, potremmo ritenere agghiaccianti: figli che uccidono genitori, genitori che uccidono figli.
Ma «perché? Cosa c’è sotto?»:
è questa la domanda da porsi prima di additare e giudicare, e l’intento di Luci e Ombre è proprio quello di diffondere «un passaggio non di parola, ma emozionale, che porti le persone nella condizione di avere maggiore empatia e meno stigmi e giudizi».
Intento, questo, che è stato superato oltre ogni aspettativa in quanto il corpo di ballo è riuscito a far vivere al pubblico, come denotano i feedback assolutamente positivi, il contradditorio e paradossale groviglio di emozioni che può provare una persona in che viva delicate condizioni psicofisiche come ad esempio depressione, bullismo, disturbi del comportamento alimentare o gravidanza.
Per rendere l’esperienza il più autentica possibile, inoltre, non è stata inventata una vera e propria coreografia ad hoc ma sono state esposte delle situazioni ed è stato richiesto ai ballerini di provare a percepirle: «poi il tutto è venuto fuori da sé» ha spiegato Pignatelli a Vulcano, perché «è sincero quando passa prima dall’anima e poi dal corpo, altrimenti sarebbe stata una mera esecuzione, magari tecnicamente perfetta ma morta a vedersi».
Durante le prove, ha raccontato Pignatelli, alcuni ragazzi si sono commossi e hanno pianto, per quanto vicine hanno sentito o fatte loro le tematiche messe in scena. In danza, infatti, «non c’è il bello e non c’è il brutto, c’è solo il vero che esce», e proprio per questo motivo il consiglio è quello di approcciarsi tutti a una qualche forma di danza o movimento libero con musica, per imparare a «trovare il proprio modo di essere» e poter parlare di sé, anche quando le parole non riescono ad uscire.
Inevitabile è una riflessione sul ruolo fondamentale che la società odierna, purtroppo, riveste, con le sue stigmatizzazioni, nel perpetuarsi dei problemi legati alla salute mentale.
Una società che «è molto distratta», dove «i ragazzi si sentono spesso soli nei lori problemi, con un senso di isolamento e solitudine tremendo».
«In particolare» ha proseguito la coreografa , «mi fa arrabbiare quando si dice: “peccato, era un bravo ragazzo…”. Ma no, c’era evidentemente qualcosa che non andava e non è stato notato. Magari era anche un bravo ragazzo, ma forse troppo! […] Così formiamo ragazzini ben informati e con ottime capacità, ma che poi si suicidano non appena si sentono non accettati: bravissimi studenti, probabili futuri scienziati competenti, ma che non arrivano neanche all’università perché gli è già morto tutto dentro…».
E dopo questa forte e cruda riflessione, in conclusione, il messaggio che Luci e Ombre ha portato è stato quello di provare a guardare le persone con occhi diversi: guardarle con empatia per quello che sono umanamente, non con giudizio per come appaiono a livello performativo; chiedere loro come stanno quando notiamo che c’è qualcosa che non va, ma anche, anzi soprattutto, quando sembra tutto perfetto.
I disagi che colpiscono gli individui, danneggiando la loro salute mentale, sono spesso subdoli e invisibili ma non per questo non esistono. Esistono e per di più portano con sé grandi sofferenze. Ma possono anche essere curati e se ne può uscire. Basta solo «che qualcuno ci creda».