Del: 13 Ottobre 2024 Di: Michela De Marchi Commenti: 0

Dal 14 settembre al 26 gennaio 2025, Palazzo Reale apre le sue porte all’artista norvegese Edvard Munch con la mostra «Munch. Il grido interiore», composta da cento opere prestate dal Munch Museum di Oslo e organizzate in un percorso curato da Patricia Berman e Costantino D’Orazio.

Esponente del simbolismo del XIX secolo e precursore dell’espressionismo, Edvard Munch nacque il 12 dicembre 1863 a Løten, una piccola cittadina norvegese vicino a Christiania. Fin da bambino dovette affrontare lutti famigliari: la madre morì di tubercolosi quando Munch aveva 5 anni, la stessa malattia pochi anni dopo portò alla perdita della sorella maggiore Johanne Sophie, negli anni ’90 del XIX secolo sopraggiunsero poi i decessi del padre e del fratello Peter Andreas. A ciò si aggiunsero anche affanni amorosi causati dalla relazione turbolenta con Tulla Larsen e problemi di alcolismo che lo portarono a isolarsi dal resto del mondo.

Da questi dolori l’artista iniziò a sviluppare la propria poetica basata sull’interpretazione delle ansie e dell’animo umano, realizzando opere immediatamente riconoscibili grazie a caratteristiche peculiari quali i volti senza sguardi, i paesaggi innaturali e l’uso innovativo del colore.

La sua carriera artistica iniziò negli anni ‘80 grazie all’incontro con Christian Krohg, naturalista norvegese, per poi continuare a Parigi sotto influenze impressioniste e post-impressioniste. Il  soggiorno francese gli diede la possibilità di avvicinarsi a numerosi artisti, come Vincent Van Gogh e Paul Gauguin, che lo spinsero a ricercare uno stile personale che lo contraddistinguesse. In seguito, Munch si spostò a Berlino, dove allestì la sua prima personale. L’esposizione fu considerata scandalosa, ma grazie ad essa iniziò a essere conosciuto a livello europeo come artista eversivo che raccontava l’inquietudine dell’essere umano. Isolatosi quasi completamente dalla società, Munch tornò nella sua città natale nei primi anni del Novecento e si dedicò alla pittura di paesaggi e al lavoro sperimentale fino alla sua morte, avvenuta nel 1944 a causa di una broncopolmonite.

Le perdite famigliari, gli insuccessi personali, la solitudine e i problemi di alcolismo e di nevrosi sono i temi principali che occupano le tele di Munch.

Con la mostra esposta a Palazzo Reale lo spettatore può immergersi in questo stile controcorrente, caratterizzato da blocchi di colori uniformi e prospettive discordanti. Le opere di Munch sono suddivise in 7 sezioni, ognuna delle quali pone il focus su una parte della vita dell’artista e sulle influenze che gli hanno permesso di evolvere come pittore.

Nella prima sezione, «Allenare l’occhio», è possibile osservare le sue prime opere come Autoritratto (1881-82), Malinconia (1900-1901) e Il circolo bohémien di Kristiania (1907). In questo periodo, Munch pone al centro delle sue tele la natura, usata come fonte di ispirazione, e ne analizza immagini, suoni, colori e vibrazioni. Inoltre, entra in contatto con i «Bohémien di Kristiania», ovvero giovani intellettuali norvegesi riuniti in un gruppo politico anarchico: questi uomini sono tra i principali soggetti delle sue opere in questi anni e permettono a Munch di diventare pioniere di idee progressista e moderne.

Si passa poi alla stanza «Fantasmi», in cui sono esposti lavori quali Malinconia (1891), Disperazione (1894), L’urlo (1895), Lotta contro la morte (1915) e La morte nella stanza della malata (1893). Ciò che accomuna queste opere è la volontà di Munch di raccontare i suoi ricordi attraverso la pittura: filtra i vari lutti che hanno costellato la sua vita, facendo del dolore il motif della sua poetica, e nei quadri prende spazio la raffigurazione della malattia e dell’agonia.

In particolare, con L’urlo, considerato il suo capolavoro, Munch esprime le proprie emozioni partendo da un avvenimento realmente accaduto.

L’artista infatti affermò: «Stavo camminando per strada con due amici; il sole stava tramontando e, all’improvviso, il cielo divenne rosso sangue. Mi fermai e mi appoggiai alla staccionata preso da un’indicibile spossatezza: c’erano sangue e lingue di fuoco sopra al blu e al nero del fiordo e della città. I miei amici continuarono nella loro passeggiata, e io rimasi li, tremando per l’ansia, e percepii un urlo infinito attraversare la natura».

La terza sezione, «Quando i corpi si incontrano e si separano», è dedicata a quella che Munch chiama «grandiosità della sessualità». Qui il focus è sulla raffigurazione della seduzione e della dissoluzione dell’amore. Le opere presenti, tra cui Bacio vicino alla finestra (1891), Coppie che si baciano nel parco (Fregio di Linde, 1904) e Madonna (1895), rappresentano il risveglio sessuale dell’artista e sono organizzate in una serie chiamata prima Amore e poi Il Fregio della vita.

Madonna (1898-1902)

Nella quarta stanza si può osservare il lavoro svolto da Munch durante il suo soggiorno in Italia, notando come la sua pittura venne influenzata dal Rinascimento italiano e dall’arte di Raffaello e Michelangelo; mentre con la quinta sezione, «L’universo invisibile», ci si addentra nel pensiero di Munch secondo cui la Terra è un elemento dotato di coscienza e respiro. In quegli anni dilagava il dibattito in merito al rapporto tra scienza, tecnologia, religione e misticismo: con opere quali Uomini che fanno il bagno (1913-1915), Onde (1908) e Il falciatore (1917), l’artista tenta di spiegare la sua cosmologia basata sull’idea che ambiente e corpi entrano in contatto permettendo alle energie invisibili di interagire con ciò che è visibile.

Nella penultima sezione, «Di fronte allo specchio (Autoritratto)», Munch esplora l’essere umano nelle sue varie sfaccettature prendendo come oggetto di studio sé stesso. In queste opere l’artista posa di fronte a uno specchio, inserisce il suo corpo tra le fiamme dell’inferno e lega il proprio sé al suo stato psicologico.

Autoritratto davanti al muro di casa (1926)

La mostra si conclude con «L’eredità di Munch», ovvero con l’esposizione di alcuni dei suoi capolavori come Donna sui gradini della veranda (1942), Muro di casa al chiaro di luna (1922-1924) e Le ragazze sul ponte (1927).

Munch può essere definito come un artista rivoluzionario per vari motivi. Innanzitutto, inizia ad esplorare l’inconscio e la psiche umana nelle sue diverse sfaccettature, inventando, però, anche un modo innovativo di costruire le scene e di usare il colore.

Munch spezza la prospettiva rinascimentale con una disposizione dei personaggi e una progettazione dello spazio che favoriscono lo sprigionamento di sentimenti negativi e del dolore. In particolare, nei suoi quadri va in scena l’incomunicabilità: i personaggi sono posizionati in gruppo ma non si guardano mai e ognuno vive i propri disagi da solo. Ed è proprio questo aspetto che attrae lo spettatore alle tele di Munch, infatti i volti deformati sono in grado di smuovere emozioni contrastanti in ognuno di noi. Un’altra caratteristica affascinante delle opere del norvegese è la tavolozza di colori utilizzata. I contorni delle figure sono pesanti e i colori rispecchiano il flusso degli stati d’animo dell’artista e la sua agitazione esistenziale: gialli e rossi simboleggiano l’ansia, mentre blu scuri e violacei rappresentano l’introspezione e la malinconia. Tuttavia, nel corso degli anni si fanno strada anche sentimenti positivi e Munch arriva a una pace interiore che viene raffigurata con gialli caldi e rosa opachi, oltre che ai pigmenti più comuni come il bianco e il verde.

Con la sua sperimentazione, Munch cambia lo scenario artistico dell’epoca ponendo sulla tela immagini disturbanti, l’inquietudine dell’essere umano e una concezione dello spazio totalmente innovativa.

L’artista riscosse grande successo presso la critica e il pubblico europeo, influenzando le Avanguardie del XX secolo e aprendo le porte a un nuovo modo di fare arte basato sul racconto di emozioni profonde. Munch è stato un grande maestro caratterizzato dalla singolarità della sua poetica: rifiutando di essere accostato ad altri gruppi di artisti, inaugurò nuove correnti pittoriche lasciando in eredità lezioni fondamentali ancora oggi.

“Con la mia arte ho cercato di spiegare a me stesso la vita e il suo significato, ma anche di aiutare gli altri a comprendere la propria vita”

Michela De Marchi
Studentessa di Scienze umanistiche per la comunicazione che aspira a diventare una giornalista. Sono molto ambiziosa e tendo a dare il meglio di me in ogni situazione. Danza, libri e viaggi sono solo alcune delle cose che mi caratterizzano.

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