Da giorni in rete è virale un video in cui in parlamento una ragazza inizia a cantare e ballare la haka strappando in due un foglio. Siamo in Aotearoa (nome māori della Nuova Zelanda) e la protagonista del video si chiama Hana-Rawhiti Maipi-Clarke. È la seconda deputata più giovane nella storia dell’Aotearoa, eletta a 21 anni, e milita nel Te Pāti Māori (TPM), un partito che rappresenta gli interessi delle popolazioni autoctone.
Una delle principali questioni di cui si occupa il TPM è Te Tiriti o Waitangi (il Trattato di Waitangi): si tratta di un trattato stipulato nel 1840 tra la Corona britannica e molti leader indigeni, ma non tutti. Questo avvenimento sancì la nascita della colonia inglese di Nuova Zelanda: il governo dello Stato apparteneva alla Regina, ma le popolazioni native potevano mantenere le proprie terre. Oggi l’arcipelago non è più colonia dal 1907 (fu dominion fino al 1947), ma essendo nel Reame del Commonwealth continua a riconoscere come capo di Stato re Carlo III, rappresentato dalla governatrice generale Cyndi Kiro (di origini native).
Te Tiriti o Waitangi rimane uno dei principali fondamenti giuridici per l’Aotearoa, che, come molti paesi di tradizione anglosassone, non ha una costituzione formale scritta, come l’Italia o gli USA, ma si basa su documenti storici e trattati; similmente al Regno Unito con la Magna Charta.
David Seymour, Ministro per la Regolamentazione e leader del partito libertario di destra Association of Consumers and Taxpayers (ACT), che ha sempre mostrato critiche nei confronti di questo Trattato, ha proposto un disegno di legge che è stato approvato il 14 novembre in prima lettura dalla coalizione di cui fa parte. La critica della coalizione governante di centro-destra (ACT, National Party e New Zealand First) troverebbe divisiva una “partnership tra razze”, essendo stato così definito dalla Corte d’Appello il Tiriti, che darebbe troppi privilegi ai māori. «Ciò che tutti questi principi hanno in comune è che conferiscono ai māori diritti diversi rispetto agli altri neozelandesi». Dall’altra parte della Camera, l’opposizione, composta anche da deputati māori (TPM, New Zealand Labour Party e Green Party of Aotearoa New Zealand), teme uno snaturamento del Trattato e il disfacimento del tanto bisogno di sostegno per molte persone indigene.
La comunità nativa ha fortemente criticato la prima approvazione del Bill con un hikoi (una forma di protesta che consiste in una lunghissima marcia) e con una haka, una danza di gruppo māori caratterizzata da grande frenesia ed eseguita in occasioni molto varie, in Parlamento.
Dal punto di vista di ACT, dunque, il Trattato sembrerebbe una sorta di “apartheid al contrario” che divide la popolazione Aotearoana in māori privilegiati da una parte e, dall’altra, i Pākehā (termine māori per indicare le persone discendenti dai coloni europei) con i polinesiani.
Non è esattamente così. Seymour, nel suo discorso al Parlamento, fa riferimento non tanto al Treaty, quanto al suo Act. C’è infatti una tappa importante nella storia di questo accordo: nel 1975 il Parlamento approvò il Treaty Waitangi Act e ne nacque il Waitangi Tribunal, un organismo semi-giuridico che cura il rispetto degli accordi posti nel 1840. Te Tiriti o Waitangi diventa un documento chiave per combattere legalmente le ingiustizie del colonialismo che per anni ha espropriato le terre māori senza rispettare l’intesa del 1840. Ciò è particolarmente significativo, considerando che il modello di common law, adottato dai Paesi del Commonwealth, attribuisce maggiore importanza ai precedenti giudiziari rispetto alle leggi scritte formali, a differenza del civil law, adottato da Paesi come Francia, Italia e Spagna.
Nello stesso anno Dame Whina Cooper, una kuia (anziana tribale) attivista, guidò uno degli hikoi più importanti della Storia, Te Hīkoi mō te Whenua (noto anche come Māori land march). Lungo 680 miglia (circa 1100 km), durato un mese (dal 14 settembre al 13 ottobre) e cresciuto fino a 5000 persone dalle 50 di partenza, aveva come meta il Parlamento; l’obiettivo era quello di presentare al primo ministro di allora, il laburista Bill Rowling, una petizione di 60 mila firme.
«Tutto ciò che posso dirti è: quale terra era rimasta? Di tutta la terra, ciò che rimaneva erano solo 2600 acri di proprietà Māori, tutto il resto era andato. Le montagne, i letti dei fiumi, tutto era stato preso. Arrivavano nella tua zona, costruivano una strada e tu non avevi voce in capitolo».
Così testimonia Cooper-Puru, figlia di Dame Whina Cooper, alla giornalista Mikaela Collins ricordando il periodo anteriore all’impresa di sua madre.
Le proteste dell’opposizione non sono quindi il risultato di un’etnia che non vuole perdere i propri privilegi, quanto la preoccupazione di un ritorno alla situazione pre-1975. «Quando sei abituato al privilegio, l’uguaglianza sembra oppressione. Questo è ciò che c’è dietro questo disegno di legge.» dice Chlöe Swarbrick, co-leader del GPANZ, come esordio del suo intervento alla Camera.
La haka era già nota al resto del mondo grazie alla nazionale di rugby XV dell’Aotearoa, gli All Blacks, che dal 1888 la esegue per intimorire la squadra avversaria e darsi forza prima di ogni partita dopo l’inno nazionale. Non sono gli unici in Oceania: le Fiji eseguono la Cibi, le Tonga la Sipi Tau e le Samoa la Siva Tau.
Questo ha reso la danza non solo notissima al grande pubblico che non segue il rugby, ma anche un fenomeno globale – spesso mercificato. La celebre squadra ha saputo sfruttare questa risonanza anche a fini politici, in passato, e continua a farlo ancora oggi. Il 23 novembre 2024, contro l’Italia, il kaihaka (chi guida la haka), TJ Perenara, ha gridato parole significative: «La sovranità del Paese è intatta, l’indipendenza è intatta, il Trattato di Waitangi è intatto». Questa scelta del giocatore, condivisa dai compagni di squadra, ha creato non poche polemiche in patria.
La haka, ad occhi estranei potrebbe sembrare solamente la danza degli All Blacks e non una danza tradizionale. Non si tratta infatti un rituale di guerra o un grido di battaglia, come spesso si crede a causa dei rugbisti, ma può essere fatta in diversissime occasioni: per iniziare una lotta politica, una guerra, quando ci si sente bene e lo si vuole esprimere (come nel caso della versione Ka Mate eseguita molto spesso dalla nazionale) o per esprimere lutto a un funerale. Perché compiere un gesto del genere in un contesto come quello parlamentare
Eseguire un gesto tradizionale in un ambito ufficiale può fungere da malta tra mattoni dello stesso popolo. Soprattutto se si parla di un rito collettivo come una danza: la haka ha un ruolo identitario. Tra gli All Blacks, ad esempio, a guidarla non è il capitano della squadra, ma colui che ha il sangue māori più anziano.
Posta così sembrerebbe allora un atto esclusivo nei confronti di altre etnie non māori.
L’Aotearoa è infatti soggetta a molti flussi migratori dall’Asia e dal Pacifico (nel 2024 si registra un incremento del 91% degli arrivi di migranti rispetto all’anno precedente), cosa che rende il Paese piuttosto multietnico tra Pākehā, māori, indiani, cinesi, filippini e sudafricani. Storicamente, tuttavia, non risulta che i māori siano stati i principali attori nella persecuzione di questi gruppi. «Siamo una società multiculturale costruita su una base biculturale – qualcosa che non può essere alterato» ha dichiarato Winston Pond alla BBC, mentre era impegnato nell’hikoi di novembre. Tornando alla performance della squadra di rugby, questa non viene eseguita solo esclusivamente dai giocatori māori, ma da tutti indipendentemente dall’etnia. Per gli All Blacks la haka è la danza della squadra, non la danza dell’iwi (insieme di tribù): che un giocatore sia pākehā, māori, polinesiano o asiatico può ballararla in quanto membro della squadra.
Il disegno di legge proposto è, inoltre, un atto anti-Māori:
la haka viene in soccorso come fiera risposta al nemico, come una sorta di provocazione. Non è un caso che nel video la kaihaka si posizioni proprio di fronte a Seymour, seduto in primo banco, guardandolo direttamente negli occhi.
Quest’ultima, come detto prima, è una danza volta ad esternare, più o meno liberamente, un sentimento collettivo. Dunque la haka si presta perfettamente ad essere messa in atto durante un dissenso politico di questo tipo. Inoltre, il mondo la associa allo scontro, alla battaglia, al rugby e usarla come dichiarazione di guerra politica è un’ottima strategia per mostrare forza di fronte media internazionali, dove la prospettiva occidentale ha sempre avuto più spazio.
Si è trattato è stata un gesto di protesta radicale o una furba strategia di “marketing”? Le volontà di Maipi-Clarke sono insondabili, ma a una prima veloce analisi i risultati sembrerebbero aver soddisfatto entrambi gli obbiettivi: attenzione internazionale e unificazione nella lotta. Inoltre, come segno dell’efficacia di questa azione, che, nonostante abbia passato la prima lettura, gli altri membri della coalizione di ACT hanno indicato che smetteranno di sostenere questo Bill.
Maipi-Clarke non fa altro che prendere energicamente un testimone, che arriva dalle mani di Cooper, te Whaea o te Motu (la Madre della Nazione), ma anche dagli All Blacks; per dimostrare e consolidare che la haka non è solo una performance atletica tradizionale, ma anche identità, antimperialismo e cultura, che non può, anzi non deve, essere ridotta in macerie.
Articolo di Carmine Catacchio