Del: 3 Dicembre 2024 Di: Redazione Commenti: 0

Che lo si voglia o meno, dalla fatidica decisione di ospitare l’Expo del 2015 a Milano, tutto è cambiato per la nostra città.
Ipotizzando un sondaggio per le strade di Milano, la maggioranza dei cittadini converrebbe che in questi ultimi 10 anni Milano ha intrapreso un percorso che, accettata o meno, l’ha portata ad essere una città dinamica, inclusiva e quindi ad essere più volte definita capitale morale d’Italia.

Da sempre siamo abituati, invece, a pensare al capoluogo lombardo come un semplice vertice del triangolo industriale insieme a Torino e a Genova, a quella laboriosità tipicamente lombarda -molto lavoro e poco svago- che ha giustificato l’epiteto di Milano e di Torino come città grigie, cupe e sempre di fretta.

Il primo vero punto di svolta va ricercato nel passaggio da una società industriale ad una società di servizi: le grandi fabbriche simbolo delle città del nord -la Fiat a Torino, la Falck o la Breda a Milano- ormai sono solo un ricordo e proprio ciò ha fatto in modo che il passaggio al terziario si concretizzasse. precisamente in questo aspetto Milano ha saputo rispondere meglio di Torino o Genova ed è riuscita così a reinventarsi e diventando una città guida nella società post-industriale in cui viviamo. Ne sono testimonianza i continui progetti di riqualificazione e di riconversione di spazi industriali in soluzioni abitative o lavorative come la trasformazione dell’area adiacente alla Bocconi in cui sorgevano le fabbriche OM in condomini progettati dall’architetto Fuksas oppure la riconversione degli spazi dell’ex industria Carminati e Toselli di tram e veicoli a rotaie nella Fabbrica del Vapore, ormai diventato un grande spazio espositivo nonché luogo di aggregazione che ospita mostre, spettacoli e performance.

Un secondo stimolo alla trasformazione di Milano per come la conosciamo noi oggi è stato l’assegnazione dell’Expo 2015 alla nostra città il 31 marzo del 2008. L’indotto calcolato su più anni è stato stimato per la sola città in 16,1 miliardi di euro, con un valore aggiunto di 7,4 e un impatto occupazionale di 115 mila unità di lavoro ed è stato pertanto definito dall’ex presidente della camera di commercio Sangalli come un “acceleratore di 15 anni”.

L’IMPATTO  ECONOMICO  DI  EXPO A LIVELLO NAZIONALE

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(Fonte: Camera di commercio di Milano, Expo, Sda Bocconi)

Diretta conseguenza dell’Expo è la crescita inarrestabile del turismo che ha quasi visto raddoppiare gli arrivi nel giro di pochi anni: -5.400.000 arrivi nel 2014 contro gli 8.500.000 del 2023– con una maggioranza di turisti internazionali che prevalgono su quelli nazionali.

Expo 2015, a prescindere da tutto, è riuscito a creare un “brand Milano” mescolando terreno fertile per gli affari, una sempre crescente offerta culturale oltre che il sempreverde shopping di lusso. 

Altro fattore positivo che caratterizza il turismo di Milano rispetto ad altre città è che, sebbene la dimensione della città sia ridotta e quindi la densità nella zona centrale sia maggiore, il cosiddetto turismo “mordi e fuggi” ancora non è prevalso: il turista medio che visita Milano infatti è tendenzialmente altospendente e si ferma in città per più giorni portando quindi valore aggiunto, cosa che purtroppo accade sempre di meno in altre città d’arte italiane ormai ostaggio di un turismo sempre più predatorio e di basso profilo. La sfida quindi per il futuro del turismo a Milano non è tanto quello di ridurlo, ma di “impreziosirlo”, valorizzando l’identità della città e le perle nascoste che offre. A testimonianza di ciò, la nostra città negli ultimi anni, ha saputo organizzare eventi capaci di soddisfare i più diversi interessi, spaziando da offerte commerciali a offerte culturali, offrendo prodotti come il Salone del Mobile, la Fashion Week e Bookcity.

Tuttavia, l’effetto collaterale più problematico della “turisticizzazione” delle città va a toccare proprio il tessuto socio-economico: da un lato va segnalata la continua crescita dei prezzi, che sebbene sia stato un problema internazionale e non solo milanese dovuto alla ripresa post-pandemica , è altrettanto vero che ha colpito di più laddove il costo della vita era già alto.

Va poi considerato che l’Italia è l’unico paese europeo in cui i salari reali sono diminuiti rispetto al 1990 con il -2,9%, dati OCSE, per l’esattezza. Da ciò è evidente l’erosione del potere d’acquisto. 

Per soddisfare dunque una domanda sempre crescente di alloggi proveniente dal turismo e da studenti o lavoratori fuori sede, a fronte di un’offerta che rimane stabile, è semplice intuire come il prezzo per un alloggio sia in continua crescita. Le registrazioni dei contratti di locazione a Milano infatti sono passate da 40mila nel 2015 a quasi 56mila nel 2021 ed il canone medio registrato dall’osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia dell’Entrate registra un aumento del 34%.

https://www.comune.milano.it/-/casa.-le-nuove-strategie-messe-in-campo-dal-comune-per-contrastare-il-caro-affitti)

Vivendo inoltre in un sistema economico prevalentemente liberista – viene infatti incoraggiato il libero mercato con la libertà dell’iniziativa economica purché essa non si svolga in contrasto con l’utilità sociale o rechi danno- risulta difficile imporre un tetto ai canoni di locazione, mossa peraltro già tentata nel ’78 con la legge equo canone criticata ed infine abrogata, in quanto aveva contribuito alla proliferazione dei contratti in nero e alla paralisi del mercato delle abitazioni.

L’unica soluzione percorribile è quindi quella di aumentare l’offerta di soluzioni abitative da parte dell’amministrazione comunale; ad oggi il numero di studenti fuorisede a Milano sfiora i 90 mila a fronte di un’offerta di posti letto nelle residenze universitarie di circa 11mila (sebbene alcune ricerche stimino i posti in 16 mila). Pertanto un’azione risolutiva deve coinvolgere il comune nonché le università stesse. Il comune di Milano ha presentato nel settembre 2023 tre progetti: il bando “casa ai lavoratori”, il progetto “studentato diffuso” e la riforma del canone concordato. Col primo l’intenzione è di arrivare a zero sfitti nelle case di proprietà pubblica in modo da ristrutturare e abitare attualmente 316 unità abitative a cui se ne possono aggiungere altre 2 mila entro il 2024; il progetto “studentato diffuso” dovrebbe prevedere di creare entro l’anno accademico 600 nuovi posti letto ad una tariffa tra i 250 e i 350 euro al mese riqualificando oltre 300 alloggi in complessi di edilizia popolare, condizionale d’obbligo in quanto l’obiettivo almeno in termini temporali non è stato rispettato, ma che sicuramente verrà concluso entro il 2026 in quanto si tratta di un investimento tra i 10 e 15 milioni di euro finanziati attraverso i fondi del PNRR

Bisogna sempre ricordare che l’aumento dell’offerta dei posti letto per studenti deve essere considerato come un imperativo imposto dalla nostra Carta Costituzionale: essa all’art 3 comma 2 afferma il principio di eguaglianza sostanziale, cioè la rimozione degli ostacoli di ordine economico-sociale. Da qui l’impegno da parte di tutti gli apparati della repubblica a ridurre le disuguaglianze, attuando politiche che garantiscano uguali punti di partenza. 

In quest’ottica deve essere letta l’offerta, garantita dallo stato, di posti letto facilmente accessibili ai meno abbienti, in modo da rendere concretamente effettivo il diritto universalistico allo studio e il principio di eguaglianza sostanziale.

Il vero grande problema, per una città che ormai ha intrapreso una strada di internazionalizzazione e dinamismo, sta proprio nel non far saltare quel patto sociale che garantisce la convivenza pacifica ed eterogenea. L’erosione del potere d’acquisto del ceto medio infatti non è un buon segnale, e i primi effetti si vedono nel fenomeno della gentrificazione che comporta un cambiamento di una zona o un quartiere attraverso investimenti e riqualificazioni di solito sia private che pubbliche.

Se da un lato ovviamente è visibile il beneficio estetico, è più nel lungo periodo che la situazione può complicarsi. Infatti il ceto medio che abita quelle zone si vede costretto a spendere di più per riuscire a vivere nel medesimo quartiere, se non addirittura a lasciarlo e a spostarsi più in periferia o addirittura fuori città (i dati istat del 2023 mostrano che in quell’anno quasi 35mila milanesi hanno cancellato la residenza).

È in fin dei conti un sistema di esclusione sociale, perché quelle stesse persone saranno costrette a trasferirsi più lontano dai luoghi di lavoro e di affezione contribuendo così a creare malcontento ed ulteriore disuguaglianza.

In un’epoca storica in cui a dominare è la polarizzazione socio-culturale e di conseguenza quella politica, ogni azione che vada a riunificare e a creare collanti tra le persone deve essere perseguita. Bisogna recuperare il valore dell’eterogeneità a partire dalle nostre città per evitare di creare quartieri dormitorio o di comunità chiuse.

Il Comune quindi deve continuare a puntare su soluzioni di social-housing, come la riconversione in studentato del villaggio olimpico che ospiterà gli atleti delle olimpiadi nel 2026. Ottima l’intenzione, un po’ meno il risultato: secondo i dati attualmente in possesso, secondo la convenzione firmata tra il comune e il fondo porta romana gestito da COIMA SGR, il prezzo per una stanza singola potrà arrivare fino a 995 euro mentre per una doppia 740 a persona con un canone medio comunque intorno agli 827 euro.

La strada da seguire non può essere pertanto solo quella di un continuo sviluppo finanziario che porti in città solo grandi fondi con scopi speculativi e predatori che ovviamente non portano valore aggiunto in termini di ricaduta sociale, né tantomeno una battuta d’arresto che sarebbe controproducente. Pur con la consapevolezza che un’amministrazione comunale non ha poteri di indirizzo sul sistema economico e che non può bloccare investimenti privati, essa però può e ha il dovere di indirizzare le risorse che riceve attraverso interventi che abbiano come obiettivo la realizzazione del progetto costituente. 

L’obiettivo da seguire è quello di uno sviluppo socialmente sostenibile, che non ceda all’immobilismo di cui l’Italia purtroppo continua a soffrire, ma che nemmeno renda Milano una città esclusiva che lasci indietro chi non ha risorse.

Ad oggi sono offerti dal Comune contributi economici per il contrasto alla povertà come l’assegno di inclusione o altre misure di sostegno al reddito collegate a percorsi di inclusione e riattivazione sociale. Ancora poche e sporadiche le iniziative di cittadinanza attiva offerte dal settore pubblico, attività che pertanto rimangono ancora confinate ad enti privati del terzo settore, come ad esempio l’iniziativa di partecipazione attiva degli abitanti di 6 residenze Social Housing e 6 residenze universitarie gestite dalla società benefit Redo Sgr, durante la Pre-COP del 2021, in cui erano presenti delegazioni di circa 40 Paesi.

Solo attraverso quindi un intervento di sostegno pubblico sul fronte economico e un impegno attivo su quello della partecipazione sociale si può ricucire quel collante di comunità che Milano, luogo perfetto per un carrierismo individualista, sta perdendo.  L’accoglienza e l’inclusione sono nel dna di questa città già dagli anni ’50, con la grande immigrazione dal meridione che ha contribuito a fare grande Milano. Tanti sono passati di qui, vi hanno trovato realizzazione e poi finalmente una casa. Questa è quindi la sua identità e questa deve essere pronta a declinarsi declinata al passo con i tempi che cambiano. 

Articolo di Edoardo Ansarin

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