Del: 17 Gennaio 2025 Di: Giacomo Pallotta Commenti: 0

La sicurezza in Italia e in particolare nella città di Milano è tra i temi più caldi degli ultimi anni. Ci si imbatte ogni giorno in video di denuncia sulle piattaforme social e in articoli pubblicati dai vari giornali nazionali che affrontano la questione in termini allarmanti. Ma quanto c’è di vero? 

L’indice sulla criminalità 2024 pubblicato da Il Sole 24 Ore mostra come nel 2023 a Milano siano state presentate 230.394 denunce, ovvero più di 7.000 ogni 100.000 abitanti, confermando il primato della città meneghina sulla Capitale (con circa 6.000 denunce ogni 100.000 abitanti) e sulle altre città italiane.

Il numero di denunce è dunque in crescita rispetto al 2019, registrando un + 4,9% e attestando il capoluogo lombardo al 1° posto per numero di furti, al 2° per rapine e al 3° per stupri.

Tuttavia, la tendenza in crescita riguarda l’intera penisola.

Si registra infatti a livello nazionale non solo la crescita di truffe e frodi informatiche (+ 10,3% rispetto al 2022 e + 42 % rispetto al periodo pre-Covid) ma anche un aumento dei crimini violenti: le rapine in pubblica via crescono del 9,5% rispetto al 2022 e del 24,5% rispetto al 2019, mentre le percosse del 3,1% dal 2022 e del 15,6% dal 2019, registrando un aumento del 3,1% anche nel primo semestre 2024.

 I numeri, presentati in questo modo, sembrerebbero dare ragione a chi sostiene che in Italia, e a maggior ragione a Milano, ci sia un problema di sicurezza ma gli esperti non sono d’accordo. Secondo quest’ultimi, infatti, i dati andrebbero letti alla luce del drastico calo di reati – e quindi di denunce – durante la pandemia e della conseguente crescita negli anni successivi. Dopotutto il numero di reati è nettamente inferiore rispetto a 10 anni fa (- 17% rispetto al 2014), anche se la tendenza è in costante aumento negli ultimi anni e non va presa con leggerezza.

Allora a cosa è dovuta la forte percezione di insicurezza da parte dei cittadini? 

È difficile trovare una risposta soddisfacente, ma molto potrebbe dipendere dalla natura stessa dei reati in crescita: perpetrati principalmente in strada, sempre più da giovani e giovanissimi e sempre più di natura violenta.

A tal proposito il sociologo Marco Dugato, ricercatore presso l’osservatorio Transcrimine dell’Università Cattolica di Milano, parlando dei crimini commessi dai giovani tra i 18 e i 24 anni, ha affermato che nel post-Covid è emerso «un aumento degli agiti di natura violenta, a partire da rapine e lesioni: non ci sono livelli di pianificazione molto forti, piuttosto comportamenti legati alla difficoltà di relazionarsi con gli altri». Secondo Dugato, inoltre, questi crimini sono connessi più alla difficoltà di relazionarsi con gli altri che alla dimensione socio-economica di partenza, visto l’aumento di ragazzi presi in carico provenienti da situazioni non particolarmente problematiche.

Il disagio economico e sociale sembra invece alla base del forte aumento di reati compiuti dagli stranieri nel capoluogo lombardo. Questi, infatti, sarebbero responsabili, secondo il questore Giuseppe Petronzi, di più del 70% delle rapine commesse in strada e di più del 90% dei furti con destrezza, commessi principalmente sui mezzi pubblici. A ciò si aggiunge il fenomeno delle baby gang, gruppi di giovani, italiani e stranieri, che agiscono in gruppo e con estrema violenza, riproducendo le dinamiche tipiche della microcriminalità organizzata: secondo l’Osservatorio nazionale adolescenza il 6,5% dei giovani tra gli 11 e i 19 anni dichiara di far parte di una banda, mentre il 13% ha compiuto atti di vandalismo e il 30% ha partecipato a una rissa.

Il frequente ricorso alla violenza, la giovane età e, spesso, la provenienza straniera di chi commette rapine e aggressioni sembrano dunque incidere fortemente sulla sensazione di insicurezza avvertita in città, amplificata fortemente dalle piattaforme social e dalle testate nazionali che fanno da cassa di risonanza a questi atti criminosi.

Social e quotidiani tendono, infatti, a non analizzare le cause profonde che si celano dietro questi fenomeni, preferendo un superficiale sensazionalismo.

Il nostro paese non è nuovo a queste forme di accusa contro giovani e stranieri, i primi rei di essere svogliati e privi di etica lavorativa, mentre i secondi di essere pericolosi e di preferire il crimine a un impiego stabile. Ancora una volta i dati ci vengono in aiuto: secondo la Fondazione Studi Consulenti sul Lavoro, tra il 2021 e il 2023, su un milione e 26mila posti di lavoro in più circa 439mila hanno riguardato giovani under 35 e l’occupazione giovanile ha registrato un tasso di crescita del 8,9%, ovvero il doppio di quello generale. Per quanto riguarda gli stranieri invece il XII Rapporto Annuale sugli stranieri nel mercato del lavoro in Italia, pubblicato dal Ministero del Lavoro, mostra, per il 2021, un tasso di occupazione degli stranieri del 57,8% e di disoccupazione del 14,4%, molto simili a quelli degli italiani (rispettivamente del 58,3% e del 9%).

Perché allora assistiamo ad un aumento del disagio giovanile e alla mancata integrazione degli stranieri? Negli ultimi anni poco o nulla è stato fatto in tema di politiche sociali per i giovani. A livello nazionale non sono state introdotte nuove borse di studio universitarie per meriti sportivi, non è stato reintrodotto il sistema del prestito d’onore per studenti universitari e non è stato approvato un programma di investimento e potenziamento dell’impiantistica sportiva, anche scolastica e universitaria (tutte proposte ventilate in campagna elettorale dalla coalizione di centrodestra). A livello locale, invece, la maggior parte dei progetti sono ancora in fase di programmazione.

La situazione non è migliore per gli stranieri. Nella città di Milano già due anni fa mancavano personale e risorse per la regolarizzazione degli immigrati e le politiche nazionali del centrodestra sembrano piuttosto rivolte alla repressione che all’integrazione.

La forte tensione sociale, la mancanza di politiche in grado di risolvere le criticità e il sensazionalismo di social e mezzi di informazione sembrano dunque concorrere al cupo clima di insicurezza che si respira in città e che porta i cittadini a polarizzarsi su episodi come quello della morte di Ramy Elgaml (ne parliamo nell’ultimo episodio del podcast Magma di Vulcano) e più in generale su ogni notizia incentrata su nuovi atti di violenza.

La soluzione non sembra essere vicina e di certo non può consistere nella sola repressione poliziesca. Milano ha bisogno di una nuova coesione, di nuove prospettive e di nuove proposte da parte dell’amministrazione cittadina e nazionale. Questa città, in fondo, merita di meglio. 

Giacomo Pallotta

Commenta