Del: 14 Febbraio 2025 Di: Carmine Catacchio Commenti: 0

Lunedì 13 gennaio, a Brescia, degli attivisti di Extinction Rebellion (XR), Ultima Generazione e Palestina Libera bloccarono con una catena umana il passaggio dei camion che sarebbero dovuti entrare e uscire dal capannone di Leonardo SpA (ex Breda).

Di questa vicenda è tristemente noto soprattutto ciò che accadde alle attiviste portate in questura: vennero fatte spogliare e la polizia le fece fare degli squat. Questo trattamento non fu riservato ai compagni maschi.

«Brescia è una città che non è abituata a questo tipo di azioni» mi dice Tommaso, bresciano e “battezzato” da quest’azione. Ma vediamo cos’è successo a Brescia. Come Brescia ha reagito. E per farlo, partiamo dal fatto raccontato da chi l’ha vissuto: Arianna, dentro XR da pochi mesi, ma ben inserita; Tommaso, un neofita, e Marcello, “ixerrino della prima ora”.

Tommaso: Come Extinction Rebellion, abbiamo organizzato un’azione di fronte all’uscita e ingresso dei camion della Leonardo SpA: il nostro obbiettivo era quello di bloccare il più a lungo possibile questi mezzi. Per farlo abbiamo organizzato delle persone che erano legate alle sbarre di questo ingresso [della recinzione che circonda l’edificio ndr] con un lock al collo e queste singole persone – una per lato – erano unite ad altre, sedute per terra, tramite un tubo e delle catene. Questo era il vero e proprio blocco. In più avevamo uno striscione con su scritto «Leonardo distrugge popoli e terre» che bloccava anch’esso l’ingresso camion.

Perché quest’azione? Era effettivamente una protesta antisionista? Immagino ci fossero anche rivendicazioni ambientaliste, perché proprio Leonardo?

Tommaso: Abbiamo pensato come target la Leonardo SpA non solo per la questione palestinese. Leonardo è controllata al 30% dal Ministro delle finanze. Quindi parte delle nostre tasse vanno a finanziare anche quella azienda, nonostante ci sia un divieto normato di vendere armamenti a uno Stato in conflitto, in quanto l’Italia ripudia la Guerra. Leonardo ha continuato anche dopo il 7 ottobre 2023 a mandare [ad Israele ndr] armi, armamenti, munizioni, ecc. In particolare nella ex Breda, ovvero la Leonardo SpA di Brescia, che è gemellata con quella di La Spezia, viene prodotto il “cervello delle armi” cioè i chip e tutta la parte elettronica che consente dei sistemi di guida per i caccia. Quindi il nostro obiettivo era sì attirare l’attenzione sul fatto che questa cosa è illegale e sta continuando ad essere fatta. Ma anche che queste persone lucrano sulla morte di altre e a noi questa cosa non va bene. E poi le guerre hanno un impatto incredibile a livello ambientale e spesso sono iniziate e guidate da interessi sulle risorse di un certo posto. Per esempio, parlando appunto di Israele e Palestina, ENI ha ottenuto l’approvazione di due nuovi pozzi di giacimenti a largo delle coste della striscia [di Gaza ndr] che attualmente sono territorio palestinese. Quindi, non potevano essere concesse e invece lo stato di Israele le ha concesse come se fossero roba sua. Quindi abbiamo pensato [che Leonardo] fosse il luogo giusto perché mette insieme tanti pezzetti.

E tu che ruolo hai avuto nell’azione?

Tommaso: Io sono la prova che anche nelle azioni ad alto rischio è possibile fare cose a basso rischio. Io ero l’accompagnatore stampa. Cioè mi sono incontrato coi giornalisti locali di cui avevamo i contatti e al momento in cui l’azione è cominciata li ho portati sul luogo. Una specie di ufficio stampa. Infatti i giorni successivi ho aiutato a gestire tutte le varie richieste di intervista a causa di quello che è successo poi in questura.

Marcello: Io ho avuto un ruolo che noi chiamiamo outreach. Sostanzialmente ho fatto incrociare le varie persone che si imbattono nell’azione per dialogare, spiegare cosa stiamo facendo e dare informazioni sul movimento.

Arianna: Io ero tra le persone che tenevano lo striscione che era cucito ai nostri corpi con delle magliette [sopra i vestiti] per rendere il tutto più difficile nel momento in cui saremmo state portate via. Ricoprivo il ruolo – noi diciamo – ad alto rischio perché contribuivo al blocco dell’ingresso dei camion. Quando poi ci hanno portate in questura, noi ci siamo sedute a terra per fare resistenza passiva e le poliziotte ci hanno strappato lo striscione, poi ci hanno sollevato e portato via.

Ecco hai appena usato il termine resistenza passiva. Mi vuoi spiegare meglio che cos’è?

Arianna: Certo, fondamentalmente, quando scendiamo in azione con XR l’idea è quella di portare avanti una protesta che sia efficace, diretta, ma anche non violenta e che ci esponga a meno rischi legali possibili. Da questo punto di vista è strategicamente molto utile usare la resistenza passiva, quando ti portano in questura, in modo che non ti possano accusare di resistenza a pubblico ufficiale. Anche se ci vengono dati dei capi d’accusa, nel momento in cui i magistrati vedono i video, questi decadono perché di fatto una resistenza a pubblico ufficiale non c’è stata. Tutto questo fa parte di una logica di Extinction Rebellion che è quella della disobbedienza civile: ti prendi i rischi legali delle azioni che porti avanti, ma allo stesso tempo questo è un po’ un modo per tutelarci dalle conseguenze legali.

Marcello: L’idea è anche di non cooperare con le Forze dell’ordine; questo rientra nella modalità di portare il conflitto in modo non violento. La non violenza spesso viene fraintesa come collaborazione o accondiscendenza. In realtà non è così: noi portiamo il conflitto, ma senza aggressività; semplicemente non cooperando con le autorità. Nel caso delle azioni questo avviene con la resistenza passiva: quando ci chiedono i documenti noi li diamo dopodiché la nostra collaborazione si ferma lì. Se ci chiedono di seguire i poliziotti in questura noi ci rifiutiamo. È nostro diritto manifestare, che è ancora sancito dalla Costituzione, e siamo formalmente in una zona grigia, perché le manifestazioni andrebbero preavvisate però – che io sappia – questo non è obbligatorio e andrebbe fatto per questione di ordine pubblico, tipo nel caso di grandi cortei, ma finché siamo poche persone si può anche non fare. Il principio è comunque quello di essere conflittuali senza essere violenti.

Tommaso: Sento solo di dover aggiungere che comunque noi non blocchiamo le persone e i lavoratori; blocchiamo le merci. Quindi i tir che trasportano i materiali.

Ma come fate a gestire tutte quelle tensioni che si possono creare in un’azione del genere? Polizia a parte chiaramente.

Tommaso: Abbiamo un peacekeeper che è una persona o un team che si occupa [come dice il nome] di mantenere la pace. Pensiamo per esempio alla situazione blocco stradale: se tu blocchi una strada i guidatori si arrabbiano e giustamente se il conflitto si alza troppo si mette in pericolo la gente che sta manifestando in quel momento. Quindi serve una persona formata per calmare le acque. Questo in azione a Brescia c’era anche se non è stato necessario perché quella è una zona industriale poco abitata. La gente passava in auto, ma non veniva neanche bloccata, il passaggio era garantito. L’unica cosa che non poteva passare erano i camion. L’altro ruolo che abbiamo è il police contact, una persona un po’ più esperta su quali sono i nostri diritti, quali sono quelle leggi che stiamo andando ad infrangere in quel momento e il suo compito è proprio quello di intrapporsi tra polizia e manifestanti. Perché immaginati una situazione in cui ci sono una trentina di persone a protestare. Il poliziotto cosa fa? Chiede ad ognuno il documento? È un caos. Quindi per semplificare tutto abbiamo questo police contact con una pettorina che lo rende riconoscibile. La polizia sa chi è il police contact e quando si fa una richiesta ai manifestanti si passa sempre attraverso lui.

Non vi ho chiesto quanto è durata l’azione. Per esempio, tu Arianna, che eri in prima fila, quanto tempo sei stata legata all’ingresso?

Arianna: Io sono arrivata in questura intorno alle 10. Quindi sono stata in azione per un paio d’ore.

E invece quanto tempo sei stata in questura?

Arianna: In questura siamo state trattenute per sette ore, nonostante si trattasse solo di un fermo identificativo. Questa è una prassi che si sta affermando, perché l’abbiamo vista anche a Roma. Però nel momento in cui consegni i tuoi documenti, durante il fermo identificativo, trattenerti in questura per altre sette ore è qualcosa che si può configurare come sequestro di persona, perché non c’è un reale motivo per trattenerti. Questa è una di quelle prassi che rientrano in questo clima di repressione che sta crescendo in Italia. 

A proposito di questo: sia dal video di Fanpage, sia da quello che mi state dicendo, mi sembra che la Questura di Brescia si sia comportata in un modo più aggressivo del solito. Hai effettivamente parlato di Roma, ma era mai successa una cosa del genere nella tua “carriera”?

Arianna: Sicuramente a Brescia già dalla gestione della manifestazione ci sono state delle irregolarità: delle cose che non dovrebbero rientrare nella normalità. Per esempio, non sono stati dati tre preavvisi prima che venissimo portati via. Per la prima volta nella storia del movimento, forse, sono state portate via persone con un ruolo a basso rischio: è stata portata via una persona che aveva semplicemente il ruolo di media, cioè riprendere l’azione. È stata portata via una persona che si occupava del benessere delle persone in azione. Hanno tentato anche di perquisire una giornalista. Per quanto riguarda la questura, c’era già stato un caso a Bologna in cui hanno perquisito in questo modo un’attivista [di XR Bologna], però non è ancora una prassi delle questure. [L’attivista bolognese] ha portato avanti una denuncia, che al momento è stata archiviata, ma verrà fatto ricorso contro la richiesta di archiviazione. Oltre questo non c’erano stati altri casi e la questura nelle ore successive si è un po’ rivendicata questa prassi, si parla proprio di una «procedura normale» attuata dalla poliziotta. Credo che questo sia un segnale preoccupante della direzione in cui stiamo andando. Fino a un anno fa faceva scalpore un foglio di via durante le azioni. In questo momento fa scalpore il fatto che solo le attiviste donne o socializzate come donne vengano perquisite in questura. Se continuiamo così non sappiamo se continuerà a fare scalpore ancora a lungo o se diventerà la norma.

Tommaso: Per me era “il battesimo” quindi non riesco a fare un confronto con azioni precedenti. Io ero tra quelle persone fuori dalla questura e ho trovato molto difficile informarmi sulla situazione dei miei compagni essendo giustamente preoccupato. Il più delle volte è stato un: «Sì i vostri amici stanno bene e non hanno bisogno di voi».  Per fortuna a fianco a noi c’è stato un avvocato che ci ha dato una mano e alla fine gli articoli dati come denuncia sono Manifestazione non autorizzata e Concorso. Tutti gli attivisti che prendono parte a un’azione vengono formati sulle leggi che potrebbero infrangere. Quindi quando ci sono stati detti solo questi due articoli come imputazione eravamo sollevati, perché erano due di quelli a cui ci eravamo preparati. E invece poi quando è uscita la prima persona dopo sette ore abbiamo appreso la notizia…

Marcello: Di diverso c’è il trattamento per le attiviste femminilizzate. Purtroppo cose come i fermi di sette ore e i fogli di via stanno diventando sempre più normali, anche se non dovrebbe essere così ed io sono in XR da cinque anni. A Roma, per esempio, erano stati consegnati dei fogli di via che prevedevano che le attiviste si allontanassero dalla città entro due ore. Hanno ricevuto i fogli alle 10 di sera ed entro mezzanotte dovevano andarsene. 

Arianna: Aggiungerei anche che viviamo delle cose che per la polizia sono prassi e non sono totalmente legittime, nel senso che non c’è una supervisione dell’operato della polizia da questo punto di vista. Sia a Roma che a Brescia siamo stati portati in luoghi che sono anche uffici migrazione e quello che emerge è che le persone che si espongono politicamente entrano a contatto con un mondo di repressione che in realtà è già presente e molto pervasivo per le persone più marginalizzate. Dal mio punto di vista è importante che queste esperienze siano un modo per dare voce anche a loro che non ne hanno. Nella questura dove siamo state portate a Roma ieri è morta di freddo una persona che era in coda per chiedere un rinnovo del permesso di soggiorno.

Ma XR sta facendo qualcosa per tutelarvi? Sia a livello legale che psicologico.

Arianna: Nelle ore successive a quello che è successo a Brescia sia da XR che da tutta la rete che lo circonda è arrivata tantissima solidarietà. Per esempio ci sono arrivate proposte di psicologhe che offrivano consulenze gratuite a chi aveva subito questo trattamento. Per quanto riguarda XR, uno dei nostri valori è quello di creare una cultura rigenerativa al suo interno. Fin da subito dopo l’azione ci si prende dei momenti per pratiche di cura collettiva, come i cerchi emotivi. Da questo punto di vista mi sono sentita molto bene e molto tutelata dalle persone con cui sono scesa in azione. Sull’aspetto legale invece, abbiamo una rete di avvocati che ci segue e in questo momento stiamo capendo con loro come muoverci per sporgere denuncia. 

Tommaso: Confermo. In XR trattiamo molto l’aspetto di cura. Questa è una delle cose che mi ha avvicinato di più a questo movimento: si dà importanza a come stiamo, a quello che proviamo e non si spinge nessuno a fare più di quello che si sente. Spesso non passa, ma dentro XR c’è un ventaglio di possibilità e ruoli possibili. Non tutti ti portano in questura ed io ne sono la prova. 

Marcello: Su tutto quello che è stato detto, Extinction Rebellion ha questa Carta dei dieci principi su cui si basa l’organizzazione interna e la visione di XR. Il terzo punto dice che abbiamo bisogno di una cultura rigenerativa, come diceva Arianna. Mentre lottiamo e facciamo le nostre azioni, cerchiamo di decostruire tutto ciò che di tossico c’è all’interno del sistema in cui siamo cresciuti. Cerchiamo di stimolare la collaborazione, l’ascolto e atteggiamenti sani rispetto a quello che accade purtroppo nel sistema. Ci formiamo anche per gestire i conflitti in modo costruttivo e non distruttivo. Sono entrato in XR anche perché provengo da molte realtà che trascuravano questo aspetto. A microfoni spenti continuo a riflettere con loro tre – conversazione che purtroppo non posso riportare per intero – e chiedo se i fatti di Roma fossero accaduti prima o dopo l’applicazione del “ddl Sicurezza”. Tommaso mi risponde – facendomi realizzare la mia ignoranza – che non è ancora stato applicato, ma approvato da una delle due Camere. Stiamo veramente crollando in un clima di repressione, come se le Forze dell’ordine cominciassero a “tastare il terreno” prima di una nuova cultura dell’oppressione?

“Norma anti Gandhi”; questo è stato il primo nome dato dai giornali a questo disegno. Eppure ricordo Gandhi narrato come un modello, come un esempio di civiltà, di lotta non violenta. Com’è possibile che l’ideatore della Satyāgraha sia diventato un nemico da sopprimere?

Carmine Catacchio
Faccio lettere e mi piace commentare il mondo.

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