
Giradischi è la rubrica dove vi consigliamo i dischi usciti nell’ultimo mese che ci sono piaciuti.
Fame, Jake La Furia

Quel bravo ragazzo di Leonardo Donatiello
Henry Hill in Goodfellas di Scorsese diceva che fare il gangsta era meglio che fare il presidente degli Stati Uniti, e ci credeva davvero, non lo diceva per scherzo. Jake La Furia ha ripreso e ha fatto suo questo immaginario, trasponendolo nel mondo hip hop, aggiungendoci la musica e soprattutto la penna. “Se ti piace conscious, chiama me, storia dello storytell / Però, se vuoi il gangsta rap, fratè, sono il gangsta re”, due versi che racchiudono l’essenza di Jake, narratore delle strade milanesi, tra crimine e poesia. Il suo nuovo disco Fame va ovviamente a toccare quelli che sono sempre stati i suoi punti di forza: la capacità di raccontare con immagini a volte romanzate, a volte crude e reali, la street life, senza cornici che potessero delimitare il proprio quadro del mondo. La fame è stata senza ombra di dubbio il motore di Francesco, dagli albori ad oggi, la voglia di riscatto e l’odio nei confronti dello stato “Cresciuti con la forza, di corsa / Tutti contro tutti con quella fame nelle ossa/fame per la riscossa”. Anche in quest’ultimo disco del resto le invettive alle istituzioni non mancano, dalle frecciate alla polizia all’esaltazione della ribellione. In questo senso la traccia di chiusura Danza della pioggia racchiude un po’ tutta la voracità di Jake, affamato e pronto a sputare in faccia al potere. Fame è esattamente quello che dovrebbe essere un prodotto hip hop: realtà, strada, rivendicazione sociale e contenuto.
Tropico del capricorno, Guè

Zenit di Leonardo Donatiello
“La musica non è Bach o Beethoven; la musica è l’apriscatole dell’anima. Ti dà una tremenda tranquillità interiore, ti dà la consapevolezza che c’è un tetto sul tuo essere”.
Cosí discorreva Henry Miller in Tropico del capricorno, uno dei suoi più celebri capolavori letterali. Forse la musica è effettivamente l’unica certezza, l’unica roccia a cui aggrapparsi all’interno della cornice descritta da Miller, conosciuto per le sue narrazioni coerentemente confuse, indigeste, pornografiche, ma anche molto profonde. Miller è stato uno scrittore fuori dagli schemi, che ha fatto del suo flusso di coscienza, e delle sue descrizioni assai esplicite, il suo punto di forza. Non è un caso che il suo libro sia stato censurato negli Stati uniti per ben 22 anni. Guè Pequeno è partito esattamente da questa opera per ordinare i propri pensieri e dare luce al nono disco in carriera Tropico del capricorno, uscito non casualmente proprio sotto l’omonimo segno astrologico, il 10 gennaio 2025. L’album rappresenta, come detto dallo stesso Guè nelle interviste post pubblicazione, uno zenit, un culmine di un percorso. La carriera di Cosimo del resto è stata lunga, ma soprattutto costante: non c’è mai stato un momento in cui non sia stato sulla cresta dell’onda. Tropico del Capricorno è uno sguardo malinconico alla luna, è un volo notturno fra i palazzi e le stelle che illuminano Milano, tra personaggi disonesti e squallidi, tra donne per bene e donne per male. Le costellazioni e il sesso femminile sono infatti le vere protagoniste dell’album. I rapporti occasionali scandiscono il tempo del disco, rapporti frivoli ma anche romantici, accomunati dall’assenza di un lieto fine. Guè mette in mostra quello che è il suo, personale, amore per le donne, senza alcuna pretesa di universalità o verità. Racconta senza filtri le sue esperienze, così come Miller faceva nelle sue opere. Il disco suona un po’ retrò, i campionamenti di Pino Daniele e gli Stadio rivisatati in versione black danno quel tocco in più di vintage e ci riportano indietro nel tempo. Tropico del Capricorno è quell’album che va comprato in vinile e ascoltato durante una stellata notte di primavera.
Liberato III, Liberato

Il ritorno di Liberato di Carlotta Brugin
Il 1º gennaio 2025, allo scoccare della mezzanotte, Liberato ha sorpreso tutti con il rilascio del suo terzo album in studio, Liberato III; composto da nove tracce, questo progetto rappresenta un viaggio sonoro che fonde tradizione e modernità, omaggiando la cultura napoletana e sperimentando nuove sonorità. L’album si apre con Turnà, in cui il cantante esprime il desiderio di voler ritornare a Napoli, tra i vicoli della sua amata città, come se fosse stato lontano per un periodo e ora fosse giunto il momento di tornare indietro sui suoi passi: Liberato è stato lontano dai suoi fan ed è ritornato senza preavviso a far parlare di sé, con una lettera d’amore a Napoli e ai suoi abitanti. Il brano campiona Voglia ‘e turnà di Teresa De Sio, una delle voci più rappresentative della musica folk napoletana, e incorpora riferimenti a icone locali come Ciro Rigione e Salvator Rosa. È impossibile non cogliere anche la citazione delle Pussycat Dolls con Don’t Cha, trasformata in “don’t you wish your girlfriend was from NAPOLI?”, unendo così mondi musicali diversi in un’unica traccia. In Essa, Liberato collabora con Maria Nazionale, rivisitando Penzo sempe a isso dell’artista napoletana. Questo brano unisce la tradizione musicale partenopea con sonorità perfette per un djset, in cui il tema è, come spesso succede, l’amore. Tre è una ballata piano e voce che allude a un intreccio amoroso: “Già sta complicato si stammo i’ e te / comme accumminciammo ‘sta cosa a tre?”, canta Liberato. Nel finale, il brano diventa tanto intricato quanto la storia che racconta, riflettendo la complessità delle relazioni umane; con Sì tu (It’s you), si torna a ballare su ritmi irresistibili e bassi potenti, con richiami evidenti all’epoca d’oro del french touch e a gruppi come i Daft Punk. ‘A fotografia contiene un’altra citazione alla cultura pop partenopea: Liberato riprende un inciso tratto dalla commedia Napoli milionaria con il grande Eduardo De Filippo, di cui Liberato riprende (“Diasillo, diasillo / signore, pigliatillo / cavaliere della Croce / ascoltate la sua voce”). Questo omaggio sottolinea l’importanza delle radici culturali nella musica di Liberato. L’album si chiude con ‘O diario, un brano essenziale in cui Liberato abbandona effetti, filtri, autotune e vocoder, scegliendo un approccio più diretto e intimo, quasi a voler sottolineare la genesi autentica del progetto. Un pezzo che, più che una conclusione, suona come un manifesto, in cui lui si apre parlando del suo passato e delle sue fragilità. Liberato III è un ritorno in grande stile dell’ignoto artista partenopeo, e rappresenta una tappa significativa nel suo percorso artistico. Attraverso una combinazione di omaggi alla tradizione e sperimentazioni sonore, l’album offre una panoramica sulla complessità e la ricchezza della cultura partenopea, proiettandola in una dimensione contemporanea e internazionale.
Indi, Gazzelle

L’indi(e) è morto? di Carlotta Brugin
Il 24 gennaio 2025, Gazzelle ha pubblicato il suo quinto album in studio, intitolato Indi. Con undici tracce, l’album rappresenta un viaggio introspettivo che mescola malinconia, amore e riflessioni sulla maturità, temi cari all’artista romano. L’album si apre con Grattacieli meteoriti gli angeli, un brano introspettivo, nostalgico e romantico che riflette tipicamente il suo stile. Il testo riflette sulla maturità e sul tempo che passa, temi ricorrenti nel disco. Come il pane invece racconta di come gli sbagli alla fine portino da qualche parte, e che se potesse avere la possibilità di rifarli, imboccherebbe comunque quella strada, perché in qualche modo quelle scelte hanno portato alla realtà attuale. Da capo a 12 è la rappresentazione sincera della confusione che chiunque può provare quando si vivono momenti negativi con la consapevolezza che prima o poi passeranno. Il brano ha delle sonorità allegre, in contrapposizione con un testo più profondo. In Stammi bene, l’artista affronta il tema dell’accettazione di sé, cantando: “Io sto bene da quando l’odio che provo per me è diventato qualcosa di buono”. La melodia armonica accompagna una riflessione sulla crescita personale e sull’autostima. Il mio amico si sposa inizia con una marcia nuziale, introducendo un tono più leggero e ironico, raccontando la storia di un amico che si sposa e suscitando nel narratore riflessioni inerenti alla possibilità che lui stesso dovrebbe sposarsi e mettere la testa apposto. Il brano Noi no è probabilmente l’emblema del disco: qui Gazzelle riflette sulla nostalgia di un periodo passato, con il verso “Il 2017 sai non ritornerà” che allude a una stagione musicale significativa per l’artista e per la scena indie italiana che è forse giunta al termine. La canzone esprime la consapevolezza del tempo che passa e delle esperienze che non possono essere replicate. L’album si chiude con Non lo sapevo, in cui Gazzelle canta: “In questa nostalgia ci ho costruito casa mia”, sottolineando come la malinconia sia diventata parte integrante della sua identità artistica. Alla fine dell’ascolto, il quesito da porsi è solo uno: l’indie è davvero morto? La verità è che, come ogni genere, anche questo ha subito importanti variazioni negli ultimi dieci anni, e i più nostalgici faranno meglio ad abituarsi. Indi rappresenta un ritorno alle radici per Gazzelle, con sonorità che richiamano l’indie-pop degli esordi, ma con una maturità e una consapevolezza nuove. L’album diventa un ponte tra passato e presente, per ricordare gli albori con una mentalità diversa.
DeBì TiRAR MaS FOToS, Bad Bunny

Lorenzo Bogo
A cosa pensiamo quando sentiamo il termine “reggaeton”? probabilmente a una musica di facile ascolto, con ritmi coinvolgenti e testi a cui non serve prestare grande attenzione. Col suo ultimo album il cantante portoricano è però riuscito ad ampliare i confini di questo genere, utilizzando la musica originaria della sua isola per affrontare temi di attualità economica e politica non di secondo piano. Il perno del disco è appunto la nazione di Portorico, ritratta in tutte le sue complessità, paradigmi e contraddizioni, ma anche culture e bellezze. Importante è il tema degli esuli, la comunità portoricana emigrata verso gli stati uniti continentali, che si può percepire nella title track DtMF, dove anche il titolo, letteralmente “avrei dovuto scattare più foto”, ci racconta della nostalgia di casa di un’intera comunità che per certi versi rimpiange l’espatrio e il non aver conservato più ricordi della terra d’origine; nostalgia dipinta appunto tramite la metafora delle foto. Altri temi sociali sono poi centrali, come la gentrificazione a cui l’isola è andata incontro negli ultimi decenni, a causa di massicci investimenti da parte di corporazioni statunitensi per lo sviluppo dell’industria turistica, o la lotta per l’indipendenza di Portorico, che ad ora è ancora appunto un territorio USA, letta da molti in chiave anticolonialista. Tema centrale dell’album è anche la storia dell’isola, narrata non solo attraverso i testi ma anche con la musica: se gran parte dei brani ricalca sonorità del reggaeton moderno, certi pezzi, come BAILE INoLVIDABLE e LA MuDANZA, fanno trasparire il passato della nazione attraverso generi come la salsa caraibica, ricca di percussioni e ritmi intrigati più difficili da carpire a pieno. Con il suo ultimo lavoro Bad Bunny è riuscito a raccontare le varie sfaccettature di un’isola che, pur non essendo particolarmente ricca o popolosa, si è trovata negli ultimi anni più volte sotto i riflettori mondiali, sia per questioni musicali ma, pensando alle ultime elezioni americane, anche politiche e sociali.