Del: 16 Febbraio 2025 Di: Alice Pozzoli Commenti: 0
La giubiana, una tradizione tra società e comunità

È da poco cominciato febbraio e in gran parte della Brianza si sono appena spenti i bracieri della giubiana, festività celebrata anche quest’anno in numerose piazze cittadine. Tradizione sentita e amata dai brianzoli, che non volendo rinunciare a lei hanno con forza richiesto la modifica nell’anno 2017 dell’ordinanza che impediva di attuare falò rituali nei periodi di forte inquinamento; anche se nelle scorse settimane proprio quest’ultima è diventata pretesto di una polemica assai singolare.

La segretaria del PD di Cantù Francesca Somaini, 25 anni, si è scagliata duramente contro la pratica secolare definendola: “tanto anacronistica quanto pericolosa, soprattutto in un periodo storico dove la violenza di genere è un fenomeno radicato e purtroppo in crescita”.

Prontamente è giunta la risposta della sindaca della città, Alice Galbiati, che ha respinto la richiesta di modificare una così importante tradizione nel suo comune, invitando la segretaria a concentrarsi seriamente sul tema della violenza evitando “formalismi e censure di facciata”.

Non si è fatta attendere nemmeno la risposta delle colleghe del PD, in un comunicato stampa scritto dall’euro parlamentare Isabella Tovaglieri e dall’assessora di Briosco Antonella Casati:

Boicottare i falò tradizionali che caratterizzano il territorio brianzolo nel mese di gennaio in nome di una fantomatica sensibilità ambientale moderna sembrava già una provocazione davvero insensata. Ma qualcuno è riuscito ad andare oltre. (…) le manifestazioni folcloristiche brianzole (…) aderivano perfettamente ai cicli della natura ed erano orientate a placare ansie e preoccupazioni legate al lavoro agricolo e all’allevamento. (…) In origine i fantocci erano simbolo e pegno di fecondità che il fuoco, semmai, sottolineava aggiungendo carica positiva.

La polemica di Somaini è sterile e testimonia come non ci sia stato desiderio alcuno di scandagliare l’origine di questa tradizione per trarne un’interpretazione adeguata.

Facciamo un passo indietro: la giubiana (o festa della giöbia) è una festa tradizionale praticata tra Lombardia (nei comuni del monzese, comasco, alto milanese, varesotto e qualche comune del lecchese) e Piemonte, che si celebra ogni ultimo giovedì del mese di gennaio.

Il nome “giubiana” affonda le sue radici a pratiche pagane precedenti al cristianesimo; sembrerebbe infatti che questo termine derivi dal dio Giove, da cui poi l’aggettivo juviana o jovia che è in seguito divenuto “giubiana” o “giobia”. Altre fonti attribuiscono il nome anche al culto di Giunone ,Giano e Diana.

Il rito è inconfondibile: viene creato un fantoccio di stracci raffigurante una donna, che a seguito della lettura di una condanna (talvolta nel dialetto locale, come avviene nel comune di Canzo, in provincia di Como) viene arsa su un rogo. Il modo in cui il fantoccio arde può simboleggiare o meno un anno fruttuoso.

La tradizione assume però significati diversi a seconda della zona geografica: nel milanese la giubiana era una vecchia strega che amava andare a caccia di bambini, ingannata dalla propria golosità da una madre che per salvare il proprio figlio preparò un gustoso risotto con la tenera carne della salsiccia. La vecchia strega, gustando la pentola di risotto per tutta la notte non si accorse dell’approssimarsi dell’alba e morì bruciata dalla luce del sole.

Invece a Cantù e limitrofi la leggenda assume sfumature più storiche: la giubiana era una bellissima paesana che durante la guerra tra Como e Milano (1118-1127)  chiese asilo e dopo essersi impossessata delle chiavi della città permise ai nemici milanesi di penetrare in essa per poi vincere. I canturini in seguito la catturarono e la bruciarono nella loro piazza.

Addirittura a Valbrona (CO), piccolo comune della provincia comasca, la giubiana prende sembianze maschili e adotta un nome diverso, il ginee, che deve il suo nome proprio al mese di gennaio, declinato secondo il dialetto locale.

Vediamo proprio come, grazie anche a questo peculiare esempio, in questa tradizione non sia presente discriminazione alcuna nei confronti del genere femminile in senso lato.

La tradizione della giubiana era strettamente legata al ciclo delle stagioni, che costituiva un aspetto cruciale nella vita contadina di un tempo. Il rogo simboleggiava proprio l’abbandono delle stagioni morte, più fredde e l’avvento di quelle primaverili, che accompagnavano la rinascita della natura.

Oggi questo rito significa eliminare le negatività dell’anno appena trascorso attraverso il fuoco purificatore e inaugurare quello nuovo, un’occasione per ritrovarsi tra compaesani e condividere una tradizione secolare, legata a un passato di una comunità rurale ristretta, profondamente differente da quella odierna, dove gli individui sono più lontani e diversificati.

Una semplice tradizione che è divenuta teatro dell’ennesima polemica frutto di un’informazione frammentata, oltre che vittima ormai come molte altre, di una strumentalizzazione da parte dei partiti politici. 

Il concetto a cui probabilmente fa appello Somaini è quello di tradizione discrasica, presentato dal filosofo Andrea Zhok nel testo Il senso dei valori, fenomenologia, etica, politica.

Il testo che ripercorre minuziosamente la costruzione dei valori dell’essere umano a partire dalla nascita e dai primi passi (attraverso l’interazione con l’esterno, la creazione di abiti e ritensioni e protensioni) sino alla creazione dei valori e conseguente crisi di essi, nell’odierna epoca liberale.

Nel V capitolo, dedicato proprio alla costruzioni di questi ultimi, c’è uno spazio dedicato alle tradizioni, alla loro creazione, funzione e sviluppo.

Le tradizioni rientrano nella sfera della trasmissione immediata, che rappresenta per esse un aspetto imprescindibile. Si apprende proprio attraverso il con-vivere, tramite una dimensione decisamente corporea di risposta alle sfide quotidiane, che si presentano nell’ambiente dato. Il contenuto di questo processo non è esprimibile razionalmente e di fronte a uno sguardo che pretende di delucidarne le motivazioni, queste sembrano incomprensibili, proprio perché  la dimensione informale in cui i significati delle pratiche si originano non può essere sviluppata attraverso una decodifica verbale. Wittgenstein chiarisce questo problema mostrando come esista sempre un asimmetria di base tra la limitazione numerica delle spiegazioni che si possono dare e l’applicabilità della regola, che invece è illimitata e legata alla condivisione di un’esperienza.

Perciò, il tentativo di Somaini di ritrovare una componente discriminatoria in una tale tradizione risulta insensato, data la sua natura non normativa.

Zhok prosegue mostrando le diverse tipologie di tradizioni: le tradizioni viventi, ossia quelle che possono prosperare su sè stesse e ampliarsi; le tradizioni morte, che hanno esaurito in loro stesse le capacità di svilupparsi; e quelle discrasiche, ovvero pratiche che presentano in loro dei disvalori.

Per precisare il discorso sulle tradizioni è però necessario chiarire i concetti di comunità e società, e la loro applicazione conseguente ai piccoli comuni dove la tradizione della giubiana è sentita e praticata.

Secondo la definizione di Ferdinand Tönnies, elaborata in Gemeinschaft und Gesellschaft: abhandlung des communismus und des Socialismus als empirischer Culturformen, la comunità costituisce lo spazio intersoggettivo dove sussistono accordi taciti su norme sociali informali, appartenenti a una tradizione orale e accordi che si fondano sulla trasmissione immediata dei valori. Più semplicemente, è la sfera di cosoggetti attuali, ossia soggettività che si riconoscono reciprocamente come simili, che si possono autoriprodurre nel tempo.

La società cui apparteniamo oggi è un passaggio successivo della comunità. Infatti i rapporti di convivenza della società sono infatti per la maggior parte regolati da contratti e burocrazie, dove la cosoggettività è spesso ridotta al nucleo familiare. Anche se al primo sguardo non sembrerebbe, la crescente urbanizzazione è un processo in atto solamente da un paio di secoli. Il testo riporta come nel 1800 la popolazione urbana ricopriva solamente l’1% della popolazione mondiale, percentuale modificatasi nel 2010 dove la stessa popolazione andava a ricoprire però il 50%, tenendo sempre conto dell’elasticità della soglia di definizione di agglomerato urbano.

Non a caso, la tradizione della giubiana è praticata in maniera particolare in comuni ristretti, dove è più facile ritrovare la dimensione comunitaria nella società urbanizzata. Inoltre va precisato che dovunque la società non potrà mai soppiantare in toto la dimensione comunitaria, perché senza quest’ultima, grazie alla quale è stato possibile costruire gli abiti sociali, non si potrebbero comprendere le norme formali che regolano la società di oggi.

Il disvalore presente nelle tradizioni discrasiche può crearsi in forma di contraddizione tra istanze normative non coordinate, oppure attraverso quella che è definita una crescita unilaterale di una dimensione di conferimento di senso a scapito delle altre; in parole più semplici, il conflitto si crea a causa dell’estrema eterogeneità delle componenti presenti in una tradizione discrasica, come pratiche e idee che non sempre riescono a connettersi in maniera coerente e coesa generando contraddizioni. Le stesse poi sono aggravate dalle diverse interpretazioni che possono sorgere nel trascorrere del tempo. Nelle comunità ristrette le fratture sono sanabili attraverso le interazioni tra soggetti, ma nei casi più gravi si attua un processo di mitopoiesi, molto presente nelle tragedie greche, che consente la creazione di miti o favole densi di significato morale intrinseco o esplicitato tramite proverbi.

La tradizione della giubiana dunque può essere fraintesa come tradizione discrasica, quando invece si tratta di una tradizione vivente, in quanto, attraverso i motivi che l’hanno resa possibile un tempo radicati nelle persone che hanno permesso il suo perpetuarsi nei secoli, ha saputo modificarsi ed evolversi al passare del tempo, diventando un momento culturale rilevante e connesso con i bisogni della società di oggi. Anche perché la comunità stessa ridefinisce la propria identità nel tempo attraverso il rapporto con l’eredità storica e le possibilità future, che si rafforza attraverso il mutuo riconoscimento tra soggetti simili.

La tradizione della giubiana è dunque un momento dove comunità autentica e società possono convivere, trasmettendo un messaggio rinnovato, che non necessita di modifiche o riattualizzazioni.

Un tempo utile a scacciare le ansie del vecchio anno e delle stagioni fredde, in una società urbanizzata come la nostra, serve a riallacciare rapporti e ricreare dimensioni antiche e ormai perdute di legame con la natura e con gli altri esseri umani, con cui si condividevano le fatiche del lavoro, ma anche il calore dello stare insieme, oggi sempre più raro.

Alice Pozzoli

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