
Dal 6 al 23 febbraio, il Teatro Studio Melato di Milano ospita “Semidei”, un’opera di Pier Lorenzo Pisano che porta in scena una riflessione potente e commovente sul ciclo della guerra di Troia, ma non attraverso le sue famose battaglie. Il regista, cresciuto “a pane e miti greci”, esplora le vite degli eroi prima e dopo il conflitto, ispirandosi a un corpus di leggende minori che accompagnano Iliade e Odissea.
Nella prima parte dello spettacolo l’atmosfera è quella di un’infanzia leggera e spensierata, dove eroi greci e troiani giovanissimi cercano di sottrarsi alla chiamata alle armi. Dieci anni dopo, nella seconda parte, l’infanzia lascia il posto all’età adulta: la guerra è finita, ma le cicatrici rimangono. I Greci hanno vinto, ma hanno dimenticato il motivo per cui hanno combattuto. Ormai reduci e disillusi, tornano a casa con un peso che non avevano mai immaginato di dover sopportare: il ricordo di un conflitto che ha avuto un costo insostenibile, un’età adulta che arriva troppo presto e, per molti, la perdita di ciò che era più caro. Le donne troiane, nel frattempo, si disperano e cercano i resti dei loro uomini e e figli tra le macerie della città distrutta.
Lo spettacolo ha inizio a luci spente: i personaggi entrano in scena mentre una voce fuoricampo svela il motivo del loro pianto. Ognuno di loro porta con sé una sofferenza nascosta, un dolore che non può essere dimenticato.
Si assiste a scene intime e quotidiane: Achille impaurito dalla morte che litiga con la madre Teti per non avergli immerso il tallone nello Stige e la risposta ironica della madre: “Perché vai in giro in sandali?”, ironia di cui è costellata tutta la prima parte; Ulisse e Penelope alle prese con un piccolo Telemaco che strilla sempre e non mangia mai; Ettore e Andromaca che cercano di far addormentare il loro piccolo Astianatte; la gelosia dei fratelli Menelao e Agamennone. In queste scene, la guerra è solo un’ombra lontana, e gli dèi, più capricciosi che saggi, osservano e interferiscono nei destini degli esseri umani con comportamenti quasi infantili e vengono richiamati all’ordine da Zeus.
Arriva il momento di prepararsi per la guerra. I due fratelli si mettono al lavoro, ma gli altri re, presi dai momenti felici della giovinezza e dalla paura, non vogliono partire: Ulisse inizialmente esita volendo stare vicino a suo figlio, ma alla fine non può sottrarsi alla chiamata; Achille, aiutato dalla madre, cerca di nascondersi; Agamennone saluta i suoi figli prima di partire, ma il viaggio non ha inizio a causa dei venti contrari, scatenati da Zeus, che si placheranno solo con il sacrificio della figlia Ifigenia.

Il primo atto ha il carattere di una commedia, declinato sui momenti felici dell’infanzia: i personaggi indossano costumi da bagno interi coloratissimi, nello stile del primo Novecento. La scena è ambientata in una serie di spiagge delle città e delle isole su cui vivono gli eroi greci e troiani prima dell’inizio del conflitto. Sulla scena emerge una grande distesa di sabbia che, inizialmente, sembra suggerire l’idea di un deserto ma, a poco a poco, assume i connotati di un luogo dell’infanzia: affiorano un secchiello, un asciugamano, un paio di occhiali da sole, una borsa frigo…; l’ambientazione è luminosa (luci di Manuel Frenda) a dare l’idea di un’immobile età dell’oro.

Nel secondo atto la commedia lascia il posto alla tragedia dell’età adulta: i costumi da bagno sono sostituiti da armature su cui sono come “incrostati” ammassi di macerie, che suggeriscono l’idea che i personaggi, dopo il lungo assedio troiano, siano come relitti emersi dal mare che portano su di sé un decennio di concrezioni marine (costumi di Gianluca Sbicca); la sabbia comincia a sprofondare, lasciando emergere un altro tipo di materiali: armi, immondizia, rifiuti…; la morte e la guerra cancellano il colore e l’ambientazione si fa più buia e cupa; infine il silenzio e l’allegria dell’infanzia lasciano il posto a un rumore incessante di fondo. Particolare rilievo assumono le canzoni dell’infanzia, qui riadattate al contesto della guerra: vengono trasformate le melodie spensierate in inquietanti presagi di tragedia, come la filastrocca cantata da Andromaca sul presagio di morte del figlio:
“lo darò al suo destino di morire ancor piccino, lo darò al mio dolore hanno ucciso il mio amore, lo darò alle onde e al mare che non riesco più a cantare” e come quella sulla distruzione della città di Troia “Ma che bel castello, marcondirondirondello, noi lo bruceremo, marcondirondirondello…”.

Lo spettacolo si conclude con una domanda che rimane sospesa nell’aria: “E allora perché per dieci anni abbiamo fatto tutto questo rumore?”
“Semidei” attinge a un immaginario collettivo che è parte integrante della nostra cultura, riportando in scena temi universali e senza tempo: la paura della guerra, il dolore per la fine dell’infanzia, “per le cose che finiscono”. Il mito, per sua natura, è eterno, perciò, indipendentemente dal momento in cui lo si rappresenta, porta sempre con sé una consonanza con quel che accade nel mondo. Oggi, più che mai, questa consonanza si fa evidente. Guerre e distruzione non sono solo storie del passato, ma immagini quotidiane che rendono attuali quelle stesse paure e ferite. E così, ciò che sembrava lontano, mitico, si sovrappone alla nostra realtà, ricordandoci che certe tragedie non appartengono solo alla memoria, ma continuano a ripetersi, lasciando macerie non solo sulle città, ma anche sulle nostre vite.