Del: 16 Febbraio 2025 Di: Francesca Vigezzi Commenti: 0
Separazione delle carriere: azione di civiltà o invasione politica?

Nelle ultime settimane è stato particolarmente acceso il dibattito, tanto politico quanto giuridico, rispetto alla cosiddetta separazione delle carriere: è stato approvato, in sede di prima deliberazione, dalla Camera dei deputati, giorno 16 gennaio 2025, il testo del disegno di legge costituzionale Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare.

Il testo, presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, e dal Ministro della giustizia, Carlo Nordio, è composto da otto articoli i quali dispongono una modifica degli articoli 87, 100, 102, 104, 105, 106, 107, 110 della Costituzione.

Fulcro del provvedimento è la separazione delle carriere dei magistrati requirenti e giudicanti istituendo due organi di autogoverno distinti: il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente.

Si prevede, a seguire, l’istituzione di un’Alta Corte disciplinare alla quale viene attribuita la giurisdizione esclusiva disciplinare sia nei confronti dei magistrati requirenti che giudicanti.

Ai sensi dell’art.87 comma decimo della Costituzione, modificato, si prevede che il Presidente della Repubblica “Presiede il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente.”

Viene altresì modificato l’art.102 della Costituzione: si ribadisce l’autonomia e l’indipendenza dell’ordine giudiziario da ogni altro potere, mentre si evidenzia la sua composizione distinta tra i magistrati appartenenti alla carriera giudicante ed i magistrati appartenenti alla carriera requirente prevedendo la disciplina delle carriere in base alle norme sull’ordinamento giudiziario.

Gli articoli 104 e 105 della Costituzione, integralmente sostituiti, dispongono l’istituzione di due organi di autogoverno distinti, il Consiglio superiore della magistratura giudicante ed il Consiglio superiore della magistratura requirente, ai quali spettano, rispettivamente, le determinazioni su assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, valutazioni di professionalità e conferimenti di funzioni verso magistrati giudicanti o requirenti.

La presidenza dei due organi è attribuita al Presidente della Repubblica. Rispetto alla composizione degli organi sono membri di diritto il primo Presidente della Corte di Cassazione, per il CSM giudicante, il Procuratore generale della Corte di Cassazione, per il CSM requirente. Gli altri membri vengono estratti a sorte:

per un terzo, da un elenco di professori ordinari di università in materie giuridiche e di avvocati con almeno quindici anni di esercizio, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione, e, per due terzi, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti e i magistrati requirenti, nel numero e secondo le procedure previsti dalla legge.”

I vicepresidenti di ogni organo vengono eletti fra i componenti sorteggiati dall’elenco compilato dal Parlamento.

L’articolo 105 della Costituzione, sostituito, istituisce un’Alta Corte disciplinare con “giurisdizione disciplinare nei riguardi dei magistrati ordinari, giudicanti e requirenti.”; tale competenza, attualmente, viene esercitata da una Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.

L’Alta Corte è composta da quindici giudici: tre giudici vengono nominati dal Presidente della Repubblica, tra professori ordinari universitari in materie giuridiche e avvocati con almeno vent’anni di esercizio; tre giudici vengono estratti a sorte da un elenco di soggetti con gli stessi requisiti, compilato dal Parlamento in seduta comune; sei giudici sono estratti a sorte tra magistrati giudicanti, con almeno vent’anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che o svolgono o hanno svolto funzioni di legittimità; tre giudici, infine, sono estratti a sorte tra magistrati requirenti, aventi gli stessi requisiti richiesti per i magistrati giudicanti.

Il Presidente viene eletto dall’Alta Corte “tra i giudici nominati dal Presidente della Repubblica o estratti a sorte dall’elenco compilato dal Parlamento in seduta comune.”.

I giudici rimangono in carica quattro anni e l’incarico non può essere rinnovato; l’incarico stesso presenta delle incompatibilità rispetto alla qualifica di “membro del Parlamento, del Parlamento europeo, di un Consiglio regionale e del Governo, con l’esercizio della professione di avvocato e con ogni altra carica e ufficio indicati dalla legge.

Si prevede un regime di impugnazione contro le sentenze dell’Alta Corte in prima istanza, anche per motivi di merito, solo davanti all’Alta Corte la quale giudica “senza la partecipazione dei componenti che hanno concorso a pronunciare la decisione impugnata.”.

In coda al testo, è disposta una disciplina transitoria la quale dispone il termine di un anno per poter adeguare le leggi sul Consiglio superiore della magistratura, sull’ordinamento giudiziario e la giurisdizione disciplinare; fino all’entrata in vigore, di queste disposizioni, si osservano le norme vigenti al momento della entrata in vigore del disegno di legge costituzionale.

I sostenitori della riforma evidenziano come, grazie ad essa, vi sarà: una maggiore imparzialità del giudice, allontanando, anche culturalmente, il soggetto che accusa dal soggetto che giudica; un avvicinamento al modello accusatorio anglosassone, tipico dei paesi di common law, con un pubblico ministero avvocato dell’accusa andando a bilanciare il confronto rispetto alla difesa; evitare i passaggi dei magistrati dal ruolo di pubblico ministero a giudice e viceversa.

Al contrario, i detrattori della riforma vedono come pericoloso l’avvicinamento del pubblico ministero all’esecutivo, perdendo la sua indipendenza, ed un rallentamento nella definizione dei processi per maggiori complicazioni nel coordinamento tra pubblico ministero e giudici; evidenziano come, essendo la magistratura unitaria ai sensi dell’art.104 della Costituzione, sarebbe necessaria una modifica costituzionale e, a seguire, la creazione di distinti CSM, come previsto dal disegno di legge, che potrebbe aumentare la burocrazia. È fondamentale sottolineare come le norme dell’ordinamento giudiziario, nel corso del tempo, siano divenute molto più limitative rispetto ai cambi di funzione, da magistratura requirente a giudicante e viceversa, e come, di conseguenza, sia cambiata la fisionomia del rapporto tra pubblico ministero e giudice.

Vi sono due interventi normativi da considerare, in questo senso: il decreto legislativo n.160/2006, in attuazione della legge delega n.150, 25 luglio 2005, la riforma Castelli, la quale vietava il passaggio di funzioni nello stesso distretto e nei distretti della stessa regione; ai cambi di funzione durante la carriera del magistrato era posto il limite massimo di quattro e, ogni passaggio, doveva essere preceduto da un periodo di permanenza di almeno cinque anni nelle funzioni nelle quali si chiedeva di mutare.

La riforma Cartabia, legge n.71/2022, con la delega di riforma dell’ordinamento giudiziario, ha velocizzato il processo di divisione del corpo della magistratura: essa stabilisce la regola generale per la quale il passaggio può avvenire una sola volta durante la carriera, entro nove anni dalla prima assegnazione delle funzioni. Trascorso questo periodo il passaggio è consentito per una sola volta da funzioni giudicanti a requirenti, se il soggetto non ha mai svolto funzioni giudicanti penali, e da funzioni requirenti a giudicanti civili o del lavoro, in diverso ufficio giudiziario, diviso in sezioni, se il magistrato non svolga, neanche come sostituto, funzioni giudicanti penali o miste.

Vi sono, da ultimo, due elementi ai quali prestare attenzione: il ruolo del pubblico ministero, nella fase delle indagini preliminari, il quale se, da imparziale, divenisse invece parziale, o avvocato dell’accusa, potrebbe ridimensionare il suo ruolo e a valorizzare quello della polizia giudiziaria, diminuendo le garanzie per la difesa; la separazione delle magistrature potrebbe, in secondo luogo, aumentare la crescita del ruolo singolo del pubblico ministero, creare una casta di pubblici ministeri autoreferenziali, “proprio in quanto corpo isolato e autonomo da ogni altro potere”,  (P. Ferrua, Il modello costituzionale del pubblico ministero, cit., p. 33.) con una discrezionalità incontrollata nell’esercizio dell’azione penale.

Francesca Vigezzi

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