Del: 21 Marzo 2025 Di: Filippo_Belgrano Commenti: 0

Negli ultimi anni, la parola “democrazia” è diventata frequente nel lessico quotidiano, assumendo un ruolo centrale nel discorso pubblico e costituendo il punto di riferimento ideale per le scelte politiche e sociali.

Oggi, però, mentre la crisi della rappresentanza politica si acuisce, assistiamo a un crescente scetticismo nei confronti delle istituzioni democratiche, percepite da molti come inefficaci o compromesse.

I sinistri rumori di cedimento della struttura istituzionale che per decenni ha garantito stabilità e libertà in Occidente si fanno sempre più evidenti, e così la parola “democrazia” diventa inflazionata, usata come uno slogan ambiguo, evocato tanto per difendere i suoi valori fondanti quanto per giustificare pratiche autoritarie mascherate da consenso popolare.

Professarsi democratici oggi dovrebbe significare aderire a un sistema di valori incentrato su eguaglianza, solidarietà, altruismo e libertà. Ma la democrazia è sempre stata sinonimo di virtù politica? Ha sempre goduto di una connotazione positiva?

L’idea che la democrazia sia la miglior forma di governo è relativamente recente: nell’antichità essa era spesso considerata instabile e pericolosa, associata all’idea della massa egoista, ignorante e incontenibile, facilmente influenzabile da passioni e interessi immediati suscitati da demagoghi.

Non a caso, Platone, nella Repubblica, dipinge la democrazia come un regime destinato a degenerare: quando tutti si considerano uguali e pretendono di governare, l’ordine si sgretola e il potere finisce nelle mani di chi sa lusingare meglio il popolo, non di chi sa guidarlo con saggezza. Così, la democrazia si trasforma in oclocrazia, il governo della folla irrazionale, facile preda di un singolo tiranno.

Se la democrazia in questa forma non era ancora considerata un modello ideale, cosa è cambiato nel corso dei secoli?

In Europa, la limitazione del potere assoluto dei sovrani ha segnato le prime tappe del cammino democratico. Un momento cruciale fu la Magna Charta (1215), che costrinse il re d’Inghilterra a condividere il potere con i baroni, gettando le basi per lo Stato di diritto e per il riconoscimento di diritti fondamentali.

L’Illuminismo accelerò questo processo: i filosofi iniziarono a ripensare la sovranità popolare, ma con strumenti appropriati per evitare le derive demagogiche che tanto spaventavano gli antichi Greci.

Montesquieu, ad esempio, teorizzò la separazione dei poteri come argine contro il rischio che il potere si concentrasse nelle mani di una sola persona o di una maggioranza incontrollata. Questa idea, oggi, è un pilastro dello Stato di diritto.

La democrazia moderna nasce come un sistema fragile, bisognoso di equilibri e limiti per evitare di autodistruggersi. Dopo la Seconda guerra mondiale, con la sconfitta delle dittature totalitarie di destra, la democrazia si è affermata in Europa come modello politico. Le costituzioni liberali occidentali hanno cercato di equilibrare la partecipazione popolare con istituzioni indipendenti e diritti inalienabili. 

Ma cos’è dunque la democrazia?

Non esiste una definizione univoca, perché la democrazia non è un sistema rigido, ma si regge comunque su principi irrinunciabili in un processo in continua evoluzione. È partecipazione, condivisione, eguaglianza sostanziale e attenzione alla diversità delle persone.

In generale, possiamo dire che la democrazia è una forma di governo basata sulla sovranità popolare, in cui ogni cittadino ha il diritto di partecipare in condizioni di uguaglianza all’esercizio del potere pubblico. Non è un dogma né si fonda su valori assoluti, bensì è un insieme di principi che nella loro essenza consistono in dedizione alla cosa pubblica e disponibilità a destinarvi le proprie energie e a mettere in comune una parte delle proprie risorse per garantire a tutti, soprattutto ai più fragili, la possibilità di vivere in modo libero e dignitoso, nella piena disponibilità di diritti sociali.

Siccome permette e garantisce libertà di espressione, la democrazia è suscettibile di accogliere e far valere i valori di ognuno. Per questo, «nichilismo o scetticismo diffusi nella società ne rappresentano una minaccia», scriveva il professor Gustavo Zagrebelsky nel libro Imparare democrazia del 2016. Domandandosi: «se non si ha fede in nulla, perché difendere una forma di governo rispetto ad un’altra; in particolare una forma di governo come la democrazia che presuppone l’aspirazione dei singoli a promuovere ed affermare le proprie posizioni e convinzioni?».

Chi non ha una visione chiara del mondo in cui vorrebbe vivere non percepisce differenza tra democrazia e autocrazia, e la sua scelta sarà guidata solo da interessi individuali, spesso influenzati dalla disinformazione diffusa dalla propaganda mediatica. La manipolazione dell’informazione, attraverso algoritmi che amplificano contenuti divisivi e creano camere d’eco dove le persone si confrontano solo con opinioni che confermano le loro convinzioni, è una delle minacce più gravi per le democrazie moderne.

Se il dibattito si appiattisce e la società si trasforma in una massa informe, se rinunciamo al ragionare insieme, discutere, e deleghiamo ad altri il pensiero per paura di confrontarsi con un’opinione differente, perdiamo la più stretta essenza democratica: la tolleranza dell’opinione altrui e il confronto.

In questo senso, Benito Mussolini definiva il Parlamento un luogo di «ludi cartacei», ridicolizzando il dibattito democratico in una tesi sprezzante dello stesso esercizio di voto, classificato come un inutile e dispendioso esercizio.

Oggi, questa critica ritorna sotto nuove forme.

Si accusa la democrazia di essere troppo lenta e incapace di tenere il passo con i ritmi frenetici dei social media e della comunicazione digitale. Ma la lentezza del Parlamento è davvero un difetto? Non è forse il segno di un sistema che pondera le decisioni attraverso il confronto tra opinioni diverse? L’efficienza non può diventare un pretesto per concentrare il potere nelle mani di pochi, sacrificando il dibattito democratico.

Frasi sconsiderate e spregevoli come “abbiamo vinto, se ne facciano una ragione” o “se vogliono parlare, si candidino” riflettono una concezione di “democrazia al rovescio”, in cui il potere passa dai deboli cittadini ai potenti, i quali, una volta trascorso il momento del suffragio, ritengono di avere un potere a tutto campo che legittima un uso arbitrario delle istituzioni, e un potere di modificare le leggi per eliminare i vincoli al proprio operato.

Democrazia non è il governo della maggioranza contro la minoranza: è un sistema che tutela anche chi dissente e garantisce spazi di discussione a tutti. E proprio nell’attività delle minoranze e di tutti i cittadini sta la differenza con regimi autocratici, nei quali non si hanno cittadini attivi ma sudditi incapaci di prendere una qualsiasi decisione. 

Le moderne sfide geopolitiche ci pongono una domanda cruciale: stiamo assistendo a una nuova fase di degenerazione della democrazia, come descritto da Polibio e Platone?

Il crescente scetticismo verso le istituzioni, l’ascesa di leader populisti che scavalcano i corpi intermedi e il ruolo pervasivo della disinformazione sembrano spingere il sistema verso una crisi profonda.

Ma la democrazia non è un dono che viene dal cielo. Per affermarsi, ha sempre dovuto lottare contro oligarchie e tentazioni autoritarie. La sua degenerazione inizia con l’apatia e l’assuefazione a piccole concessioni che, nel tempo, preparano il terreno per rinunce più grandi. 

Il futuro della democrazia dipenderà dalla nostra capacità di rinnovarla senza tradirne i principi, rafforzando la partecipazione consapevole e contrastando le tendenze autoritarie. Non è un processo inevitabile: la democrazia vive e muore nelle scelte quotidiane di chi la anima.

Articolo di Filippo Belgrano

Filippo_Belgrano
Studente di giurisprudenza, affascinato dalle connessioni tra società, diritto e attualità; uso la scrittura per esplorarle e condividerle.

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