Del: 15 Dicembre 2006 Di: Redazione Commenti: 2

Questo mese, mentre voi eravate assorti nella lettura vostro giornale preferito, Argo 42, si stava per consumare una tragedia che noi, amanti della mia rubrica, avremmo considerato di proporzioni oceaniche: uno tsunami informativo, un terremoto giornalistico, una spallata etica alla libertà di stampa di berlusconiana memoria: stavamo per essere censurati. E’ incredibile, lo so; sarebbe stato come chiudere I Robinson nell’89, un telefilm che faceva l’89 per cento di share: l’unica famiglia repubblicana di neri, non discriminati, a New York. Erano ricchissimi, malgrado i genitori (medico e avvocato) mantenessero circa sette figli nullafacenti di cui uno, Theo, pure dislessico. Che non si sentano offesi i nullafacenti dislessici, che so essere la parte più cospicua del mio bacino di lettori. La seconda figlia Denise (Lisa Bonnet) nel 1987 si sposa con Lenny Kravitz: il matrimonio non dura molto ma, per chi fosse interessato, si lasciano e si prendono in continuazione; come anni fa l’Inter e Georgatos, imbarazzante greco che doveva, secondo i piani, risolvere l’annoso problema della fascia sinistra. Stavamo per ricevere lo schiaffo di Anagni, come quello che ricevettero due illustrissime figure: Bonifacio VIII nel 1303 e il cantante Tony Brando. Molti conoscono il primo, spero altrettanti il secondo, indubbiamente più decisivo e più in linea con il tema odierno. Tony Brando, all’anagrafe Ciardulli, è uno tra i personaggi più riusciti del (forse) capolavoro di Carlo Verdone, Compagni di scuola, 1988. Ricorderemo tutti Tony Brando, interpretato da un grandissimo Cristian De Sica, raccontare all’ex compagno di liceo, il cocainomane onorevole Valenzani (Massimo Ghini), dello schiaffo ricevuto da un dirigente Rai, dietro le quinte del Festival d’Anagni, dopo aver cantato la sua hit Collant, collant (cito dal film: collant, collant, mi fanno impazzire i tuoi collant).

Alla domanda del Valenzani sul perché fosse stato schiaffeggiato, Brando narra l’ardito gesto che di cotal castigo fu la causa: durante il finale dell’esibizione, Tony fece scivolare sinuosamente la mano destra lungo il fianco, bloccandola, in posizione plastica, sul pube: in Rai gesto volgare anzi che no. Ebbe in questo modo, secondo la geniale logica della sceneggiatura verdoniana, la colpa di aver anticipato il discorso di Madonna e Prince, che di questi riferimenti si sono pasciuti. L’amara riflessione sul mondo dello spettacolo, Tony la conclude con una profezia, come sempre tetra e di gran classe: “aò, che poi mò se tolgono le mutande e te ‘e tirano in faccia.” La patetica parabola di Tony Brando è l’allegoria dell’ascesa e del declino di quegli artisti italiani disimpegnati che, dapprima osannati e poi proscritti, pagarono l’appartenenza ad un decennio inutile quanto crudele.

Fabrizio Aurilia

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